Storia e Politica

Posts written by Seiano

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    Eccezion fatta per Dauno, vorrei sapere chi ha dato il 2° voto a Bassiano :D ...
    Oltre il fratricidio, ho studiato Caracalla durante l'esame di Istituzioni di Diritto Romano: celeberrima la sua Constitutio del 212 con la quale concesse la cittadinanza romana a tutti gli abitanti dell'impero.
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    Ragazzi/e vi chiedo qualche parere su un nuovo testo di storia che dovrei acquistare.
    Le opzioni ricadevano su:
    1) Guerra greco-gotica;
    2) Ottone il Grande;
    3) i Goti.
    Premesso che, per chi mi conosce, sa che sono un amante della storia altomedievale, mi sono venuti in mente questi 3 avvenimenti di notevole importanza del periodo storico che mi interessa.
    Per quanto riguarda la prima, ho trovato un testo risalente allo storico Procopio di Cesarea; sconsigliato da un caro amico che mi ga riferito che sia per il lessico adoperato da Procopio, sia per la traduzione ottocentesca, risuoterebbe un testo pesante e di difficile interpretazione.
    Ottone mi è venuto in mente pensando alla sua amata sposa, Adelaide di Borgogna, una vera e propria eroina di quell'epoca storica sia dal punto di vista umano che religioso, che riuscì ad andare contro gli usi e le consuetudini del tempo e che vedevanbo la donna, quand'anche di alto lignaggio, succube e subordinata alla ragion di Stato.
    Per esclusione mi è venuto in mente un saggio sull'origine dei Goti.
    Qualcuno può darmi qualche spunto in proposito? Eventualmente mi potete consigliare un qualche
    altro personaggio storico che non sia il classico Carlomagno e i suoi emuli?
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    CITAZIONE (Romeottavio @ 15/6/2012, 09:10) 
    Ottima recensione, la "Storia d'Italia" dovrebbe essere in tutte le librerie di chi si interessa di Storia e non solo, è un'opera snella e leggera, che per sua natura, dichiarata apertamente dall'autore, non può esaurire nessuno delle miriadi di argomenti trattati, ma proprio qui stà la sua forza, è un filo conduttore per la conoscenza della nostra cultura, per capire perchè oggi siamo così, per stimolare l'approfondimento e la curiosità storica.

    Concordo. L'ho letto tutto e l'ho trovato un testo discorsivo e di facile lettura. In alcuni punti approfondiva anche alcuni tratti specifici di alcuni personaggi storici. Per fare un piccolo esempio su Carlo il Grosso (deposto nell'887) non sapevo che si fosse sottoposto ad un intervento (se così si poteva definire allora) alla testa con conseguente trapanazione del cranio.
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    Anche se poco attinente all'oggetto del thread, chioso proponendovi la visione del film "La Papessa" di qualche anno fa. Vi invito a vedere la Roma altomedievale di fronte S. Pietro durante la visita di Joannes Anglicus (il supposto Giovanni VIII) nella capitale della cristianità: una sorta di slargo dove razzolavano oche, anatre, galline. Una Roma papalina totalmente diversa da quella dei fasti rinascimentali.
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    In Italia al fine di arginare l'avanzata della lega antimperiale dei Comuni, Federico riunì a sé i maggiori feudatari ghibellini il cui più importante sostenitore era rappresentato dalla famiglia dei Da Romano che governava sulle città di Padova, Vicenza, Verona e Treviso. Nel 1237 la vittoria arrise gli imperiali nella battaglia di Cortenuova, presso Brescia. ma dal momento che la politica del sovrano diventava sempre più aggressiva, il papa Gregorio IX decise per una scomunica (1239) e la decisione di indire un concilio che avrebbe dovuto mettere definitivamente al bando della cristianità l'imperatore.
    Addirittura la città di Pisa, ghibellina, fermò alcuni prelati che via mare si recavano al concilio; quasi contemporaneamente papa Gregorio IX anche se il suo successore Innocenzo IV continuò la politica antifedericiana indicendo il concilio che si tenne a Lione, città fuori dalla portata dell'imperatore, anche se formalmente soggetta al suo dominio in quanto appartenente al regno di Borgogna. Nell'assise fu confermata la scomunica di Federico e la sua deposizione, anche se non tutta la cristianità era daccordo sulla legittimità di un concilio di dubbia costituzione.
    In effetti il pontefice aveva fino all'ultimo una riconciliazione col sovrano; nel frattempo il figlio Enrico l'aveva abbandonato, mentre riteneva (non senza ombra di dubbio) che il suo fidato consigliere in Sicilia, Pier delle Vigne, lo avesse tradito. Minato nell'animo e nello spirito, sempre sospettoso di essere vittima di congiure e tradimenti, sconfitto più volte nella lotta contro i Comuni a Vittoria e Fossalta (1248 e 1249), lo accompagnarono negli ultimi mesi di vita alla tomba. Morì a Fiorentino di Puglia nel dicembre 1250.
    Ma la corte di Federico, la cd. Magna Curia, fu luogo di ritrovo ed espressione della cultura del tempo. Presso di essa si fusero la poetica francese con quella araba e greca da cui sorse una delle prime forme di letteratura italiana, espressione di un poetare in lingua siciliana aulico ed elevato.
    Inoltre presso la Curia convenivano i più grandi filosofi e scienziati dell'epoca: il filosofo ed astronomo Michele Scoto che tradusse alcune opere di Aristotele; Toeodor, un arabo cristiano; Juda ben Salomon Cohen, grande enciclopedista ebreo; inoltre egli interrogava i più grandi nomi del'arte, delle letteratura, delle scienze, sparsi nel bacino del Mediterraneo per ottenere risposte ai suoi quesiti.
    Lo stesso Federico fu autore di un'opera di ornitologia, il De arte venandi cum avibus, che non aveva nulla a che vedere con quei trattati zoologici chiamati "bestiari", in cui gli animali erano considerati, a seconda dei casi, esempi di virtù o vizi.
    Dalla fazione guelfa egli fu visto come un empio, un eretico, che avrebbe preferito l'Islam al cristianesimo; addirittura, secondo la corrente profetica che faceva capo a Gioacchino da Fiore, un esponente dell'Anticristo. La fazione ghibellina, al contrario, supportata anche da movimenti ereticali, lo considerava come una sorta di Reparator Orbis, colui che avrebbe abbattuto e punito i prelati e la Curia corrotta. Addirittura una leggenda voleva che Federico non sarebbe mai morto ma, sopravvissuto fino alla Fine dei Tempi, avrebbe portato alla vittoria la Cristianità contro le forze del male.
    Nel frattempo nei Comuni, già alla fine del XII sec. coloro originari del contado erano giunti in città con le proprie attività, facevano sentire la loro voce nel governo comunale. Erano esperti nell'attività manifatturiera, commercianti della lana e tessitori, imprenditori che prestavano denaro (quelli che più tardi sarebbero stati definiti "banchieri"), insieme a coloro che svolgevano libere professioni come i magistrati e i medici: ben presto si costituirono in Arti (o corporazioni) al fine di ottenere un qualche posto di prestigio e partecipare al governo cittadino. Erano chiamati anche populares o mediocres, in contrapposizione ai potentes che già detenevano ruoli di potere al vertice del Comune. A partire dai primi del XIII sec. essi costituirono una società giurata (il "Popolo"), parallela al Comune, e desiderosa di contendere ai magnati il potere. Nel 1228 si costituì a Bologna il Comune del Popolo con un suo magistrato, il Capitano del Popolo, accanto al Comune guidato dal podestà. Ma i rapporti tra le due fazioni non erano sempre di antitesi: spesso si combinavano anche matrimoni tra rappresentanti dei due partiti, nell'interesse dell'una e dell'altra famiglia.
    Si crearono, così, nuovi ceti imprenditoriali che andavano dal banchiere, all'artigiano, all'imprenditore, al mercante, etc. In particolare quest'ultimo cambiò fisionomia: non più simile al commerciante venditore ambulante, che poteva avere una piazza anche piuttosto ampia, girovagando nei vari paesi limitrofi o di fiera in fiera; ma un imprenditore che viaggiava, intessendo nuovi rapporti commerciali fuori la propria regione, eventualmente aprendo anche nuove filiali all'estero, ma comunque legato alla sua terra d'origine allo scopo di non perdere il contatto politico col governo cittadino.
    I Comuni, d'altro canto, avevano tutto l'interesse di manutenere le strade e le vie di comunicazione per facilitare gli scambi commerciali; addirittura Firenze fece in modo di modificare l'itinerario della via Francigena facendola passare per il suo Comune allo scopo di incrementare l'afflusso di pellegrini e, quindi, la sua economica.
    Nel contempo si era andata creando la "compagnia", società mercantile-imprenditoriale sostanzialmente a base familiare ma anche aperta ad estranei, che aveva succursali e filiali nelle maggiori città europee e mediterranee: grazie ad essa chi aveva bisogno di credito, versava il proprio denaro presso la sede di zona; raggiunto il luogo di destinazione poteva richiedere la somma che gli serviva presso l'altra filiale di zona: nasceva, così, la "lettera di cambio" (un esempio chiaro lo si può ritrovare anche nell'organizzazione finanziaria dell'Ordine Templare, n.d.f.).
    I commerci si svolgevano principalmente tra le città dell'Italia settentrionale e quelle portuali del Mare del Nord e Baltico. Presso il porto di Bruges, ad esempio, giungevano le stoffe italiane e le aringhe salate e le pellicce dell'area baltica.
    L'alleanza tra i mercanti italiani e quelli anseatici portarono alla ripartizione tra "economie dominanti" e "economie dominate", con la netta supremazia delle prime.
    Ben presto all'interno del Comune si intrecciavano contese accese tra gli appartenenti al ceto magnatizio e quelli del popolo; questo, lentamente, aveva raggiunto il potere a tutto scapito di coloro che una volta si fregiavano del titolo nobiliare. Ma all'appartenenza a casate di alto rango non era sinonimo necessariamente di ricchezza economica: poteva accadere che i nobili erano caduti in disgrazia mentre al contrario la classe emergente del "Popolo" era formata da mercanti che possedevano ingenti e cospicui capitali. Come accennato sopra induceva a matrimoni che spesso erano di interessi tra rappresentanti delle due fazioni. Quando nel corso del '300 la situazione mutò anche dal punto di vista economico si rese necessario affidare il potere ad un personaggio, in genere estraneo alle contese comunali, al quale si usò affidare, magari per un certo periodo, il potere assoluto (la "balìa"): tale personaggio fu chiamato "signore".
    In genere e inizialmente il "signore" si ergeva al di sopra delle parti ma col passar del tempo tese a rafforzare il proprio potere mutandolo in dinastico. Le Signorie si svilupparono in Lombardia (i Torriani o Della Torre prima e i Visconti poi a Milano), nella pianura padana (i Gonzaga a Mantova e i d'Este a Ferrara), in Veneto (Scaligeri a Verona e Da Carrara a Padova), nell'area umbro-marchigiana (Ordelaffi a Forlì, MAlatesta a Rimini, Da Polenta a Ravenna, Montefeltro a Urbino, Da Varano a Camerino); molto meno nelle città marinare e in Toscana dove l'autonomia comunale era poco propensa alla nomina di un dittatore come era ormai divenuto il Signore.
    Anche i sistemi e i mezzi di navigazione nel corso del XIII sec. erano mutati. Mentre precedentemente le vie di comunicazione erano prevalentemente di tipo terrestre, successivamente ci si rese conto del grande vantaggio che arrecava il trasporto per via marittima e fluviale. Questo non solo a vantaggio delle città costiere che ormai avevano adottato già da tempo questo veloce tipo di comunicazione, ma anche per quelle dell'entroterra intenzionate come erano a smerciare i loro prodotti, derrate, manufatti in ogni dove sfruttando il veloce mezzo di spedizione della via marittima.
    Le navi erano principalmente di 2 tipi, seppure con alcune varianti ed aggiustamenti: vi era la galea, tipo di imbarcazione allungata e bassa, adatta al trasporto di passeggeri e pochi marinai, ma aveva bisogno di un gran numero di rematori 150-250 ca.) per renderla veloce e maneggevole; il rovescio della medaglia era che un così gran numero di rematori e la velocità che poteva raggiungere richiedeva di fermarsi in ogni porto per farli riposare.
    Il secondo tipo di nave era quella "rotonda", adottata come cargo, adatta, quindi, al trasporto di grossi quantitativi di merce; era poco maneggevole, pesante e indifendibile; aveva un'unica grande vela, ma lenta; il vantaggio era che aveva bisogno di poco personale. A queste due si aggiungevano gli "uscieri", adatte al trasporto di animali, di cavali da guerra .in particolar modo, che avevano grosse sportelli lungo le fiancate per consentire il caricamento degli animali. Bisogna ricordare, inoltre, che la costruzione di una nave e la correlata attività cantieristica necessitava di moto materiale, legname in primis: ma anche canapa per le gomene, pece, e tela per le vele, con l'impatto economico che ne conseguiva.
    Già a partire dall'anno 1000 molte città costiere italo-bizantine avevano cominciato a espandersi commercialmente: Amalfi, ma anche Salerno, coniavano moneta propria simile al tarì arabo. Successivamente, con la conquista normanna, lo sviluppo commerciale non andò di pari passo con l'autonomia politica, a differenza di quanto avvenne in altre città marinare quali, ad esempio, Venezia, Genova, Pisa. In particolare la prima seppe intessere strette legami commerciali con Costantinopoli, ma non solo. Nonostante i numerosi divieti da Occidente a Oriente, Venezia intrattenne rapporti commerciali con il mondo arabo al quale esportava legname, ferro e schiavi principalmente provenienti dall'Istria, dalla Slovenia e dalla Croazia. Venezia aveva propri empori e rapporti commerciali con Costantinopoli, la costa siro-libano-palestinese, col Nord Africa e la Sicilia.
    Non è un caso che la litigiosità tra queste città marinare italiane non sorse nell'XI sec. quando, ad esempio, Pisa e Genova erano alleate per sconfiggere il comune nemico corsaro; ma successivamente quando bisognava conquistare il monopolio commerciale in una certa regione o territorio.
    in genere le città marinare avevano propri quartieri, come accadeva a Costantinopoli, con proprio personale, propri marinai, in genere posizionati vicino al mare.
    Molto spesso la politica commerciale influiva anche la politica estera. Ad esempio Venezia non vedeva certamente di buon occhio la prima crociata che avvenne con l'appoggio delle navi pisane e genovesi: in questo modo si sarebbe potuto estendere l'egemonia delle sue due rivali nel bacino del Mediterraneo. Analogamente, nonostante l'amicizia con l'imperatore bizantino, Venezia non vedeva di buon occhio l'appoggio dato ad Ancona contro il Barbarossa: di lì a poco Ancona avrebbe potuto creare un proprio potentato commerciale nell'Adriatico. Situazione analoga accadde quando Pisa e Genova stavano creando dei propri avamposti commerciali nel Nord Africa: Venezia non ne sarebbe stata danneggiata direttamente, ma indirettamente; un monopolio commerciale e anche militare nel canale di Sicilia avrebbe reso difficoltoso l'accesso delle navi e dei traffici commerciali dal bacino occidentale a quello orientale del Mediterraneo.
    Con la IV Crociata i Veneziani, ottenendo oltre 1/3 del territorio di Costantinopoli, avevano ottenuto il controllo di alcuni punti chiave come le isole dell'Egeo e le coste del Peloponneso.
    Quando alla fine del XII sec. Cipro divenne sede di una monarchia di una famiglia originaria del centro della Francia, vassalla del duca d'Aquitania (ch'era anche re d'Inghilterra), i Lusignano, Genova e Venezia vennero alle armi per accaparrarsi i monopoli commerciali su quell'isola.
    Inoltre se Venezia aveva esteso il duo dominio su Costantinopoli grazie alla IV Crociata, Genova e Pisa estero la loro influenza su Alessandria e Damietta, subendo le ire del papa che vietava di stringere accordi commerciali con il mondo arabo, quantomeno in tempo di crociata.
    Genova tendeva a estendere la sua influenza oltre il Bosforo, nei porti del Mar Nero, a contatto con i tatari dell'Orda d'Oro e con i principati russi. Alla fine del Duecento le sue vittorie contro Pisa (Meloria, 1284) e Venezia (Curzola, 1298), sembrarono assicurarle il dominio sul Mediterraneo.

    Frattanto la situazione in Francia era mutata. Il defunto re Luigi VII era riuscito a riunire tutto il regno e di questi si avvantaggiò il figlio ed erede al trono, Filippo II Augusto. Oltre la riforma burocratico-amministrativa del suo regno prioritario per lu era il problema dell'Inghilterra. Di questa grande isola era signore un suo feudatario, in quanto duca di Normandia dall'XI sec., conte d'Angiò e del Maine in quanto appartenente alla famiglia dei Plantageneti feudatari di quelle terre, duca d'Aquitania e di Guascogna, conte del Poitou in quanto erede di Eleonora d'Aquitania: a questi i grandi feudatari francesi guardavano per sottrarsi alla subordinazione gerarchica del re di Francia.
    In Inghilterra Enrico II aveva posto fine ad un periodo di torbidi che ripresero con la sua morte avvenuta nel 1189. I suoi successori ed eredi non avevano certamente il carisma del loro genitore: Riccardo, detto Cuordileone, era un abile cavaliere ma crudele e mediocre in battaglia; morì nel 1199 succedendogli il fratello Giovanni detto Senzaterra. In vita lo stesso Riccardo aveva dovuto sedare una rivolta di feudatari capeggiata dallo stesso fratello Giovanni. Quest'ultimo ben presto si inimicò le simpatie della nobiltà laica e delle gerarchie ecclesiastiche: addirittura osò confiscare i beni appartenenti al clero. Scomunicato da papa Innocenzo III, tornò sui suoi passi si riconciliò col pontefice, rendendo omaggio feudale al papa.
    Filippo II Augusto colse l'occasione e nel 1202 accusò Giovanni di "fellonia", illecito di cui si macchiava il vassallo infedele, privandolo di tutti i suoi feudi in Francia con esclusione dell'Aquitania. Giovanni non cedette sulle prime ma con la capitolazione di Rouen nel 1204 finì con l'accettare le gravose condizione impostegli da Filippo.
    Egli non si arrendeva, ma era più che mai deciso a rivendicare ben presto quelle ricche terre. Egli intervenne nella guerra civile scatenata pochi anni dopo per cingere la corona imperiale tra i successori della casa di Svevia e i discendenti di Enrico il Leone con cui nel frattempo si era imparentato.
    Si giunse, così, alla battaglia del 27 luglio 1214 presso Bouvines una località francese poco distante da Lille. Si vedevano contrapposti gli eserciti del giovane re di Germania Federico II alleato con Filippo II Augusto da un lato, e di Ottone di Braunschweig e Giovanni Senzaterra (con cui nel frattempo Ottone si era imparentato), dall'altro. Questa battagli fu decisiva non soltanto perché aprì le strade all'impero di Federico II, ma perché stabilì il potere del re francese sui feudatari suoi vassalli senza che questi potessero chiedere aiuto oltremanica ad un altro sovrano.
    Giovanni Senzaterra continuò a governare ma con alterne fortune. Come visto, in politica estera era stato fallimentare il suo tentativo di schierarsi contro il re di Francia di cui era vassallo. Nel contempo se durante la sommossa organizzato contro il fratello aveva fatto promesse nei confronti dei baroni, poi prontamente ritrattate, adesso si trovava costretto a concedere gli stessi benefici e favori rilasciati anni addietro; in oolitica religiosa aveva confiscato i beni ecclesiastici, inimicandosi le simpatie della Chiesa di Roma.
    Fu per questo che con la Magna Charta fissò l'obbligo di consultare i suo feudatari (i baroni) prima di imporre loro nuove tasse; si stabilì che per i reati commessi essi dovessero essere giudicati da una tribunale composto da loro pari; infine, la tutela dei diritti dei feudatari e della Chiesa fu fissata per iscritto.
    La Magna Charta fu emessa nel giugno 1215; fu istituito un Magnum Consilium, un organismo di governo avente lo scopo di affiancare il sovrano ogniqualvolta si dovessero imporre nuove tasse, quindi come un organo di controllo sulla politica fiscale del re. Più tardi, nel 1242, esso sarebbe stato chiamato Parlamento.
    Non bisogna pensare che in tal modo si pongono le basi una monarchia nel senso moderno del termine; la vera modernizzazione dello stato (monarchico) in senso moderno si ha in Francia.
    Il successore di Giovanni, Enrico III, non fu migliore del padre. Dopo un periodo in cui accentrava la politica fiscale, appoggiato da un consiglio di favoriti provenienti dai suoi feudi nel Poitou,, nel 1258 scoppiò una rivolta cui il re dovette dare numerose concessioni alla classe nobiliare mediante l'emanazione delle "provvisioni di Oxford". Con queste si diede adito alla riforma dell'amministrazione in quanto la politica del sovrano doveva ottenere l'assenso di una commissione di baroni.
    La politica altalenante continuò fino al 1264 quando si decise di nominare un cnsiglio di reggenza e un parlamento di cui facevano parte 2 cavalieri per ogni contea e 2 rappresentanti per ciascuna città.
    La situazione non mutò allorquando il nuovo sovrano, Edoardo I Plantageneto, tentò di rafforzare il potere regio in politica interna; contemporaneamente fu ordinata la cacciata degli ebrei del regno a tutto vantaggio dei mercanti tedeschi dell'Hansa e di quelli fiorentini. La situazione non mutò con il figlio Edoardo II.
    Già qualche anno prima Edoardo I aveva tentato di estendere il suo predominio a nord sulla Scozia, attraversata da un serie di guerre civili. Mise a capo del regno uno dei suo contendenti, John Balliol. Ma quando decise di impadronirsene personalmente sorse una rivolta scozzese capeggiata prima di William Wallace, poi da re Robert Bruce, fondatore della dinastia regnante in Scozia degli Stuart: era il 1371.
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    Ad ogni modo Enrico era stato il principe tedesco a capire che il la Germani doveva guardare verso Nord ed Est a differenza degli intenti espansionistici di Federico che volgevano verso sud e il Mediterraneo. Ad ogni modo anche la figura di Enrico fu presa a modello durante il periodo romantico come il fautore e promotore di una politica pangermanista che tendeva a riunire sotto l'egida tedesca tutti i popoli a Nord ed Est della Germani.
    Federico, nel frattempo, non era immemore del suo impegno verso l'Oriente bizantino. O meglio rettificò i suoi propositi verso Bisanzio volgendo le sue attenzioni a Gerusalemme. Durante l'ennesima Crociata per liberare la Città Santa conquistata dal Saldino alla quale partecipavano i più importanti sovrani europei, da Riccardo CuordiLeone a Filippo Augusto di Francia, Federico si impegnò di persona nella lotta contro gli infedeli. Durante il guado di un fiume in Anatolia, forse per rinfrescarsi dall'arsura, si tuffò nelle acque gelide del fiume annegando forse per un arresto cardiaco. Era il giugno del 1190.
    Secondo le intenzioni dl padre, Enrico Vi era divenuto re di Sicilia nel 1186 col matrimonio con Costanza d'Altavilla e re dei romani nel 1190 alla morte del padre Federico.
    Mentre la situazione in Germania risultava pacificata in quanto il padre, cadendo in battaglia durante una Crociata, ave acquisito dopo la morte un valore e prestigio mai ottenuti prima, in Sicilia Enrico contendeva la corona dell'isola da ben 8 anni in quanto le forze locali, con a capo Tancredi di Lecce, osteggiavano l'ascesa al trono siculo di un sovrano svevo. La situazione giovò a suo favore sia con la caduta nelle sue mani di Riccardo Cuordileone, parente di Enrico il Leone e cognato di Guglielmo II di Sicilia, e la morte di Tancredi di Lecce.
    L'incoronazione a re di Sicilia avvenne nel Natale del 1194; il giorno seguente la regina Costanza dava alla luce l'erede al trono, il piccolo Federico Ruggero. Era palese a tutti che Enrico Vi stava tentando di rendere la corona imperiale e quella siciliana da elettiva a ereditaria. Il suo sogno fu infranto quando nel 1197, per un banalissimo incidente, morì.
    Federico divenne erede di vasti domini, almeno potenzialmente. In quanto successore di Enrico VI, appartenente alla dinastia degli Hihenstaufen era pretendente alla corona germanica; in quanto figli di Costanza, di quella siculo-normanna. La corona imperiale era una diretta conseguenza di quella tedesca ma era più formale che sostanziale: infatti se il nuovo sovrano non fosse riuscito ad ingraziarsi le simpatie dei grandi feudatari germanici e delle ricche e prosperose città autonome renane, la corona sarebbe rimasta soltanto un titolo e nulla più. Diversa la situazione in Sicilia, dove Federico, in quanto legittimo erede di Costanza, ne divenne il successore; ma anche qui forse centrifughe rappresentate dai feudatari locali non vedevano di buon occhio l'unione ra la corona imperiale e quella normanna, con palese subordinazione della seconda alla prima. Contemporaneamente il nuovo papa, Innocenzo III, nemmeno gradiva una unificazione delle due corone che avrebbe stretto come in una morsa i territori della Chiesa che comprendevano, grossomodo, il Lazio, l'Umbria, la Toscana e 'Emilia Romagna. Ad ogni modo Innocenzo appoggiò la candidatura del giovane Federico come sovrano di Sicilia.
    In Germania, nel frattempo, la corona era contesa tra Filippo di Svevia, zio di Federico, e Ottone di Braunschwig, figlio di Enrico il Leone; i grandi feudatari germanici appoggiarono il secondo il quale, per ingraziarsi le simpatie del papato, lasciò le più ampie liberta alla Chiesa in territorio germanico.
    Ma quando sopraggiunse la morte di Filippo e forte della sua alleanza col re d'Inghilterra, Ottone, già sovrano di Germani col nome di Ottone IV, revocò le promesse fatte al papa. Di conseguenza papa Innocenzo, col la solida alleanza di Filippo II Augusto re di Francia, ritornò sui suoi passi, offrendo la corona di "re dei romani" a Federico, figlio di Enrico VI, che nel 1213 garantì al pontefice che mai si sarebbe ingerito nelle questioni ecclesiastiche in territorio tedesco e che avrebbe rinunziato alle elezioni episcopali in Germania. Inoltre, promise che avrebbe tenute ben distinte le due corone di Sicilia e quella imperiale.
    Dopo la battaglia di Bouvines divenne unico padrone dell'impero.
    Finché visse Innocenzo III la politica di Federico fu decisamente attendista se non acquiescente nei confronti del pontefice romano. Ma già alla morte di questi, col mite Onorio III, egli si fece in coronare imperatore, indusse i feudatari tedeschi a nominare re il figlio Enrico, ma mantenne per sé la corona siculo-normanna, sia perché era stato allevato più alla corte siciliana che a quella tedesca, sia perché era ben consapevole delle grandi potenzialità dell'isola italiana.
    In due assise, tenutesi a Capua e Messina tra il 1221 e il 1222, decretò la restituzione dei diritti regi confiscati dai feudatari; introdusse il diritto romano e fondò una nuova Università a Napoli per l'istruzione dei futuri funzionari regi, onde evitare che dovessero spostarsi fino a quella di Bologna; riorganizzò la Scuola medica Salernitana.
    Adesso Federico si rivolgeva ai riottosi Comuni del Nord che all'ingiunzione di obbedire al nuovo sovrano risposero in una riunione tenutasi a Cremona nel 1226 dove, in sostanza, fu rifondata la lega lombarda.
    Solo l'intervento di Onorio III evitò un nuovo conflitto con i Comuni.
    Nel 1227 scomparve Onorio III e l'anziano, ma energico, Gregorio IX mostrava di non sopportare oltre la politica espansionistica di Federico.

    Ad ogni modo due erano i principali motivi di attrito tra il pontefice Gregorio IX e l'imperatore. Prima di tutto il giovane sovrano non aveva nascosto le sue intenzioni di unificare la corona siculo-normanna con quella di germani e imperiale; secondariamente si era più volte intromesso nelle questioni inerenti l'elezione dei vescovi e cardinali negli episcopati tedeschi. Inoltre a seguito della crociata indetta tra il 1217 e 1221 su Damietta, cui partecipò anche il legato pontificio il cardinale Pelagio, nella speranza che il sultano egiziano al-Malik al-Kamil, discendente del Saladino, potesse capitolare cedendo Gerusalemme; così non accadde ma il contraccolpo sulla figura di Federico fu grande in quanto non si schierò con l'esercito crociato contro il sultano egiziano.
    Dal momento che era impensabile che il sovrano rinunciasse ad una corona per l'altra, il papa puntò sulla carta della crociata, dovere di ogni buon sovrano cristiano. Nel 1227 l'organizzazione dell'impresa fallì per un'epidemia scoppiata tra le truppe; la spedizione fu rinviata l'anno seguente. Federico partì non prima essersi interessato alla sua successione dinastica: sposò, infatti, l'ereditiera del regno di Gerusalemme, Isabella-iolanda di Brienne, con l'intenzione di assicurarsi la legittimità della corona in Terrasanta; subito dopo le sue mire si rivolsero versi i riottosi feudatari di quei territori e le città costiere.
    Coglieva, inoltre, l'occasione per rinsaldare i rapporti di amicizia con il sultano al-Malik al-Kamil che gli cedeva nuovamente Gerusalemme: ma con le mura smantellate e con l'esclusione della moschea di Umar, corrispondente al Tempio di Salomone per i cristiani. Nel 1229 egli cinse solennemente la corona di quel regno, stette qualche mese in città ma poi dovette ritornarsene in patria, non riscendo a mettere ordine nei caotici territori della Terrasanta. Ad ogni modo il pontefice fu ben lontano dall'essere lieto dall'impresa di Federico; i Luoghi Santi erano liberati dall'invasore moro è vero, ma i modi con cui si era riusciti nell'impresa non erano piaciuti a papa Gergogio; l'accordo col nemico.
    Fu per questo che nel 1229 il papa avviò una crociata contro lo stesso imperatore; i territori di Terrasanta furono invasi dalla lega organizzata dal pontefice, a cagione della quale Federico dovette ritornare a Gerusalemme. Ebbe la meglio sui nemici ma dovette scendere a patti col pontefice, patti siglati l'anno seguente con l'accordo di San Germano-Ceprano, secondo il quale Federico dava ampie garanzie in merito alla non ingerenza negli affari religiosi del regno di Gerusalemme.
    Successivamente si diresse a risolvere le questioni giuridiche nel suo regno; emanò nel 1231 nel Costituzioni di Melfi o Liber Augustalis, un insieme di norme che definivano un stato centralizzato, burocratizzato e, soprattutto, moderno. Anche nel regno d'Italia egli si adoperò una riforma nella medesima direzione.
    A differenza dell'Italia nel 1231 emanò la Constitutio in favorem principum, un insieme di norme che al contrario sottolineavano la ripartizione del potere in Germania a livello territoriale tra i vari margravi: questo perché Federico era ben consapevole che in quei territori era impossibile mantenere il potere centrale nelle sue mani.
    Proprio in quel periodo, infatti, gli si ribellò il figlio Enrico; imprigionato, lo sventurato principe morì nel 1242; intanto la corona tedesca era passata ad un altro figlio di Federico, Corrado. Ma anche questi non ebbe vita facile in quanto i riottosi feudatari tedeschi gli opposero una serie di antire che non gli permisero di governare tranquillamente.
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    Nel frattempo si poneva il problema della diffusione del cristianesimo secondo i dettami diffusi dal Vangelo. Questo compito non poteva essere affidato agli Ordini monastici in primis perché l'attività pastorale non rientrava nella loro prerogative; secondariamente perché molto spesso i monasteri erano costruiti al di fuori e lontano dalle città proprio dove doveva essere maggiormente sentito lo spirito del Vangelo. Fu per questo motivo che sorsero movimenti che ben presto abbracciarono la fede eretica come quella del mercante Pietro Valdo, che nel 1173 fondò a Lione la comunità dei pauperese Lugdunenses o "Poveri di Lione" i quali oltre a esercitare la vita in comunità ponevano in comune i beni frutto del loro lavoro; ben presto si diffusero anche in Italia dove, in Lombardia, presero il nome di "Poveri Lombardi" e in località di "Umiliati", un movimento sorto tra i lavoratori subordinati della lana e che solo successivamente sarebbe stato in parte riguadagnato all'ortodossia cattolica.
    Papa Innocenzo non vedeva di buon occhio questi nuovi movimenti laici che non riconoscevano l'autorità della Chiesa, pur vivendo in odore di santità ispirandosi ai precetti del Vangelo. Ecco perché nel 1210 approvò, seppur oralmente non lasciando nessun documento scritto di approvazione, un nuovo movimento che prese nome dal suo promotore e fondatore, Francesco di Pietro Bernardone che partendo da Assisi predicava l'umiltà, la penitenza, la povertà ponendosi di fronte al popolo più con l'esempio che con la parola. Ben presto l'ordine, che Francesco agli inizi forse non voleva si creasse, costituì il modello anche di altri movimenti clericali come quello di Chiara Scifi che fondò l'ordine delle Clarisse, e di una comunità di laici che prendendo a modello l'esempio francescano pur tuttavia non abbandonavano le proprie attività lavorative e familiari.
    Papa Innocenzo concesse inoltre a Francesco anche la tonsura, cioè il taglio dei capelli in una certa foggia che lasciava calva la sommità della testa, segno esteriore dell'appartenenza di qualcuno al clero con l'autorizzazione a predicare.
    L'Ordine fu confermato successivamente da papa Onorio III e per esso Francesco redasse due regole una nel 1221 e l'altra nel 1223.
    Ammalato e forse amareggiato sul fatto di dover modificare 2 volte la sua regola, si ritirò in disparte lasciando l'Ordine ai propri confratelli non senza aver esortato loro a vivere secondo le regole e i dettami che aveva ispirato la sua condotta di vita. Morì nel 1226 e due anni dopo fu canonizzato.
    Sull'esempio di Francesco un frate spagnolo, Domenico, canonico nella cattedrale di Huesca, fu impressionato dallo spirito francescano ma riteneva che fosse fondamentale anche la predicazione tra la gente affinché l'eresia non potesse fare proseliti tra la popolazione. Mentre i francescani si chiamarono "frati minori" a riprova della condotta di vita improntata all'umiltà, i seguaci di Domenico furono nominati "frati predicatori".
    Domenico ottenne che la propria comunità divenisse Ordine nel 1215; nel 1221 morì, 5 anni prima di Francesco ma già l'Ordine domenicano era aveva avuto una diffusione in tutta Europa.
    Entrambi gli Ordini, chiamati mendicanti, erano lo strumento nelle mani della Chiesa per dimostrare come si potesse seguire la parole di Cristo anche non abbracciando il credo eretico. Essi vivevano nella città in conventi che costituivano basi d'appoggio per la loro predicazione nelle comunità dei fedeli, a differenza dei monasteri che molto spesso erano lontani dai centri urbani e in cui i propri rappresentanti vivevano nella preghiera.
    Gli Ordini mendicanti non erano costituiti né da chierici, che avrebbero dovuto dipendere dai rispettivi vescovi, né da monaci che osservavano una severa disciplina, dipendevano dagli abati e avevano scarsi rapporti con i laici.
    Gli Ordini mendicanti erano alle dirette dipendenze del pontefici e per questo la curia romana se ne servì come strumento di indottrinamento contro il dilagante fenomeno ereticale. Mentre, però, i domenicani, fondati da un canonico, riuscirono più facilmente a subordinarsi all'autorità papale, i francescani non accettavano di divenire uno strumento del potere costituito (il papato) rinunciando alle regole che si erano autoimposti. Fu per questo che sorsero all'interno dell'Ordine vari sottooridini anche se il più influente rimase quello detto dei "conventuali" che si subordinava più direttamente all'autorità del pontefice; uno dei suoi massimi esponenti fu Bonaventura da Bagnoregio.
    Il successo riscosso dei 2 Ordini indusse alla formazione di altri vari movimenti alcuni dei quali furono molto vicini all'eresia. Per controllare il fenomeno nel 1274 col concilio di Lione si tentò di arginare il fenomeno costituendo nel contempo solo altri 2 Ordini, quello degli agostiniani e dei carmelitani.
    Nel 1260 fu fondato l'Ordo apostolorum fondato dal parmigiano Gherardo Segalelli che, entrato in rotta con la Chiesa all'indomani del Concilio di Lione, morì sul rogo nel 1300.
    Fu proprio in questo periodo che nacque il primo seme di quella che sarebbe stata l'Inquisizione che fu affidata proprio ai domenicani; ma l'attività antiereticale si svolgeva non soltanto con la repressione ma anche con la predicazione, attività, questa, affidata ai domenicani che furono definiti Opera praedicatorum.
    A questo punto è interesante soffermarsi sulla figura carismatica di Francesco d'Assisi. Nacque nel 1181-82 nella cittadina umbra col nome di Giovanni che il padre presto cambiò in Francesco, trascorrendo gli anni della gioventù con l'allegra brigata composta dai rampolli delle famiglia aristocratiche assisane. Era figlio di un ricco mercante forse, con qualche fondamento, di origini ebraiche e di una donna, Pica, originaria della Provenza. Durante la guerra con la rivale Perugia fu fatto prigioniero ma presto fu riscattato dal padre. Forse la delusione di non esser riuscito a diventare cavaliere sta alla base del suo amore per il prossimo, i reietti, gli emarginati; dovuto a un forte squilibrio mentale fu la giustificazione datane dal padre. Sta di fatto che ben presto il padre lo fece ripetutamente segregare, lo interdisse e infine lo diseredò. Per tutta risposta si appellò al vescovo di Assisi e in sua presenza si spogliò, privandosi di ogni veste e bene materiale, dichiarando che d'ora in poi non avrebbe più avuto un padre terreno ma solo quello celeste, Nostro Signore.
    Francesco aveva fatto una scelta di vita per dimostrare al mondo come si potesse vivere in miseria ed umiltà non discostandosi alla fede cattolica. E le accuse di contiguità all'eresia catara furono varie; accuse che egli seppe con saggezza e discernimento riuscire a smentire. Ad esempio, i catari non mangiavano i prodotti della terra che fossero espressione della "generazione": quindi non solo carne e latte ma anche i derivati di questo come formaggi; Francesco mangiava e si nutriva di tutto ciò che gli veniva posto dinanzi. Nel contempo egli riteneva che il mondo è una promanazione del dio delle tenebre, di quello malvagio; al contrario egli compose un'ode, Il Cantico delle Creature, con la quale non soltanto osannava le meraviglie del mondo ma costituiva anche una critica dialettica alla concezione prettamente negativa del mondo reale formulata dai catari.
    Ben presto Francesco intese che la sua regola veniva interpretata in modo più blando e leggero: ne furono prova i continui lasciti, donazioni ed oboli che alcuni esponenti del suo ordine accettavano, anche se formalmente questi venivano incamerati dalla Santa Sede. Ecco perché sentì l'esigenza che alla sua prima redazione nel 1221 ne seguisse un'altra del 1223 alla quale pose il divieto di interpretazione che no fosse quello letterale.
    Fra gli ultimi anni della sua vita, tra il 1219 e il 1220, andò al seguito di una crociata che lo portò alla corte del sultano del Cairo che accettò il colloquio con quello strano "franco" che tanto gli ricordava i sufi e i dervisci (una setta di mistici) della sua religione.
    Tornato in Europa si ritirò sempre più in eremitaggio forse anche perché riteneva che il suo messaggio di pace e di amore non fosse stato appieno compreso, nonostante la sua regola si fosse diffusa in tutta Europa.
    Nel 1224 sul monte della Verna ricevette le stimmate simbolo non solo più del Cristo in gloria, ma sofferente negli ultimi momenti di vita, trafitto dai chiodi della Croce; nel 1226 ritornò nella sua amata Assisi per morirvi.
    Sulla sua tomba fu eretta una Chiesa che ancor oggi si può osservare ed ammirare.
    Tornando sulla scena politica, dal XII sec. il potere in Germania era suddiviso tra i 4 ducati "etnici" facenti capo ai 4 popoli di stirpe germanica insediati sul territorio tedesco: i bàvari, i franconi, i sassoni e gli svevo-alamanni. L'elezione del re di Germania era la sintesi dell'accordo delle 4 casate ed era un rappresentante di una di esse. Inoltre il neosovrano riuniva in sé, dal X-XI sec., anche le corone di Borgogna e d'Italia.
    Ma se dal punto di vista formale si era riusciti a trovare un accordo tra le 4 case regnanti tedesche, ben più difficile era il governo pratico del regno: non soltanto bisogna mettere daccordo e asservire i grandi vassalli (conti, marchesi, duchi) ma anche le città che soprattutto nella valle del Reno erano rette da vescovi pressoché autonomi nei propri territori.
    Alla morte di Enrico IV la situazione si opposero due fazioni:quella guelfa (da Wilf, il capostipite della casa ducale bavarese), appoggiava il ducato di Baviera; quella ghibellina (da Weiblingen, uno dei castelli più importanti posseduti dalla casa degli Hohenstaufen che grazie a Enrico IV si era vista assegnare l ducato di Svevia). Il titolo di re di Germania fu assegnato dapprima a Lotario di Supplimburgo, duca di Sassonia, appoggiato dai bavaresi. Egli non soddisfece le aspettative della nobiltà tedesca in quanto troppo arrendevole nei confronti del papa Innocenzo II: infatti appoggiò questi contro il duca normanno Ruggero che si era impossessato della Sicilia, e a cui cedette i diritti feudali che in quanto tali appartenevano all'impero, seppur posseduti dalla grancontessa Matilde, e che non costituivano, quindi, beni personali della feudataria toscana.
    Nel 1137 i nobili tedeschi decisero di scegliere come successore di Lotario il suo avversario, Corrado di Svevia; ma questi non solo non riuscì a pacificare gli animi tra le fazioni contrapposte, ma fece scendere il prestigio della corona reale con il grave insuccesso della II crociata.
    Ben presto anche Corrado fu soppiantato e gli fu scelto il nipote Federico, in seguito passato alla storia come il Barbarossa dal coloro fulvo della sua barba; il giovane sovrano dava prova di energia e prestigio: discendeva dagli Hohenstaufen, e quindi appartenente alla fazione ghibellina, da parte di padre; nel contempo la madre era una illustre appartenente alla casa di Baviera, e quindi guelfa.
    In prima battuta Federico si rivolse alla pacificazione interna mostrando apertamente di rivolgersi e ingraziarsi le simpatie del'alta nobiltà tedesca, sia laica che ecclesiastica; nel contempo si mostrò duro e inflessibile nei confronti dei dissidenti o di coloro che non seguivano la sua linea di potere. Ad essi confiscava le terre affidandole e amministratori di origine servile chiamati ministeriales; in cambio di terre e potere alla stessa stregua di feudatari, questi amministratori riponevano assoluta fedeltà nel sovrano, consci che in qualsiasi momento il sovrano, se avesse avuto sentore di tradimento, avrebbe potuto toglier loro ogni beneficio. In altre circostanze il sovrano concesse a costoro soltanto la funzione di amministratori e non di feudatari: la "politica ministeriale" si diffuse principalmente tra le Alpi, il lago di Costanze e il Reno.
    Pacificata la Germania tra il 1152 e il 1154, si accinse a scendere in Italia per cingere le corone di re e imperatore. Nel 1155 entrò in Roma su invito del papa al fine di reprimere e sciogliere un libero comune che ivi si era formato: il promotore, Arnaldo da Brescia, fu catturato e arso sul rogo. Nel 1154 e 1158 riunì 2 diete che si tennero a Roncaglia, presso Piacenza. Nella seconda di esse emanò la constitutio de regalibus, consistente in una elencazione di tutti quei diritti quali quelli sui mulini, di pedaggio, di attraversamento dei ponti, di confine, di dogana, che man mano i comuni, dalla morte di Enrivo V in poi si erano impossessati sia a scapito delle città vicine, sia dei feudatari minori, sia dello stesso impero. E la giustificazione gli venne dai dotti giuristi del'Università di Bologna che, lautamente prezzolati, riesumando l'antico codice giustinianeo, rinvenirono alcuni passi salienti da cui far derivare i vari diritti usurpati all'imperatore dai comuni. La più importante città che reclamava autonomia dall'impero era Milano; ma ben presto Federico ritrovò il alcuni comuni finitimi come Cremona, Lodi e Como dei validi alleati contro lo strapotere dell'ingombrante città vicina.
    Ma il Barbarossa non aveva considerato altri suoi 2 strenui oppositori: da un lato Rolando Bandinelli elevato al soglio pontificio col nome di Alessandro III, continuatore della politica ierocratica di Gregorio VII; dall'altra parte dell'Adriatico, invece, l'imperatore bizantino Manuele Comneno che voleva mantenere una propria influenza sui territori prospicienti l'Adriatico.
    Nel frattempo i cardinali fedeli al Barbarossa che non avevano appoggiato l'elezione del Bandinelli al soglio pontificio, si scissero eleggendo un nuovo papa.
    Dopo la seconda dieta di Roncaglia Federico aveva creduto di imporre la sua egemonia sui Comuni mediante la nomina di vicari imperiali cui si diede il nome di podestà; ma i ceti dirigenti cittadini non nascosero il disappunto per questa decisione. Nel 1163 si costituì tra i Comuni della valle dell'Adige una federazione di città che prese il nome di "lega veronese", ben presto questa si fuse nel 1167 un'analoga lega formata tra i comuni della Longobardìa che designava tutti quei territori compresi tra arco alpino e pianura padana: nacque così la "lega lombarda", i cui primi atti furono la ricostruzione di Milano che Federico aveva fatto radere al suolo nel 1162 e la fondazione di un'altra città, Alessandria (dal nome del papa Alessandro III), il cui scopo era di mantenere sgombre le strade fra Genova, il Po e Milano, e contrastando il principale alleato in terra italica, il marchese del Monferrato.
    Federico non era in grado di contrastare un così grande numero di Comuni che si era sollevato contro di lui; in aggiunta a ciò in Germani si era alienato le simpatie di alcuni principi, in particolare quelli ecclesiastici, una volta a lui fedeli. Lo stesso Enrico il Leone non nascondeva la sua volontà di assurgere al trono imperiale.
    Questi era figlio di Enrico il Superbo e di una principessa della casa di Sassoni, Gertrude, era stato privato alla morte di suo padre, avvenuta nel 1139, da Corrado III del diritto di successione, vivendo in Sassonia con sua madre. Nel 1142 aveva, però, ottenuto il ducato di Sassonia e dal cugino Federico, nel 1156, quello di Baviera.
    Con queste premesse Federico scese in Italia nel 1175 nel vano tentativo di scardinare la compattezza della lega dei comuni; ma l'anno seguente fu sconfitto nella battaglia di Legnano. Si rese conto che per potere mantenere integro la sua autorità era necessario infrangere la coalizione contro di lui sconfiggendo o alleandosi con i propri nemici. Ecco perché col pontefice stipulò una pace nell'incontro di Venezia nel 1177 con la quale revocò la nomina dell'antipapa di nomina imperiale. I comuni lombardi, vistisi abbandonati, accorsero a stipulare una tregua che si trasformò in una vera e propria pace siglata a Costanza nel 1183.
    Con questa l'imperatore riconosceva i regalia ai comuni che mantenevano intatte le proprie prerogative, ma dal unto di vista formale queste rimanevano pur sempre una concessione da parte dell'imperatore.
    Nel frattempo col regno di Sicilia riuscì a suggellare il matrimonio tra il suo figlio ed erede al trono Enrico con Costanza, molto più grande di lui ed erede della corona normanna di Sicilia.
    Durante le sue campagne in Italia, Federico aveva lasciato pressoché al cugino Enrico il governo della Germania, in particolare quella nord-orientale. Qui il Leone aveva fondato e rinforzato alcune città costiere creando dei veri e propri porti commerciali di interesse sovranazionale; pur disinteressandosi quasi totalmente della Baviera, nel 1198 fondò la città di Monaco, che divenne il principale centro commerciale della zona.
    Nel 1168 Enrico aveva sposato Matilde, figlia di Enrico II re d'Inghilterra e, cosa rave, nel 1176 aveva rifiutato al cugino Federico il necessario supporto tattico e militare nella lotta contro i Comuni italiani: ne seguì la sconfitta di Legnano.
    Memore di ciò, l'imperatore lo condannò nel 1180 con il bando dall'impero e con una doppia condanna emessa da un tribunale feudale e da una dieta dei principi tedeschi. Nel 1181 Enrico si sottomise la cugino ma ciò gli consentì soltanto il recupero di qualche bene allodiale, cioè personale.
  8. .
    Molti aderirono alla setta catara allo scopo di divenire migliori cristiani. Essa si divideva in 2 ordini: nel primo erano i semplici simpatizzanti, i ccdd. credenti; quando raggiungevano la piena consapevolezza a mezzo di una cerimonia iniziatica, detta consolamentum, li faceva accedere al grado superiore, diventando "perfetti".
    Il catarismo si diffuse in tutto l'Occidente, raggiungendo la Provenza e, in Italia, la Lombardia e la Toscana in alcuni casi mettendo in discussione la stesa autorità vescovile cattolica. Essi si riunivano in "chiese" rette da "vescovi itineranti"; unico segno di riconoscimento dei perfetti era l'abito nero e il pallore dei loro volti dovuto alla dieta vegetariana che seguivano.
    Durante questo periodo sorsero anche nuovi ordini monastici che estremizzavano i precetti della Chiesa Cattolica. tra questi il nuovo Ordine religioso che, ispirandosi alla regola monastica di benedetto da Norcia, nacque a Citeaux e da quel luogo si disse cistercense. Il suo programma è scritto nella Charta Caritatis del 1119: fedeltà assoluta alla regola benedettina dell'ora et labora dove il lavoro consisteva nell'attività manuale durissima.
    Il movimento cistercense si orientava in analogia, ma anche in opposizione, a quello di Cluny che privilegiava il servizio liturgico accompagnato da un fastoso apparato. Anche il vestiario era più appariscente nell'ordine cluniacense e molto più sobrio in quello cistercense. I proseliti di quest'ultimo ordine lavoravano duramente impiegando anche apparati meccanici come mulini ad acqua e gualchiere per la lavorazione dei panni. Edificavano grandi e spaziose abbazie prove di abbellimenti (né sculture, né pitture, né vetrate policrome).
    I cistercensi non possono essere semplicemente identificati con dei monaci dediti totalmente alla vita contenplativa: al contrario essi erano dei lavoratori dei dissodatori, dei colonizzatori. Dal centro della Francia con le grandi abbazie di Citeaux e Clairvaux, l'Ordine si diffuse in tutta Europa, dalla Galizia alla Germania orientale e dalla penisola iberica alla Sicilia. In Italia particolare importanza ebbero le due abbazie laziali di Casamari e Fossanova.
    Uno dei più importanti esponenti del monachesimo cistercense fu il borgognone di nobili origini Bernardo di Clairvasx (1090-1153): egli divenne vessillifero non solo della lotta senza quartiere contro l'eresia, ma anche promotore di una Chiesa riformata che rifuggisse i piaceri della carne e del denaro a vantaggio dell'esaltazione dello spirito; ecco perché tutta l'attività dei monaci cistercensi era improntata al duro lavoro e allo studio ma non quello delle "vane scienze" ma della Scrittura. L'esperienza di Bernardo era una continua lotta sulla terra, un'ascesi (dal greco ασκέςις) tesa a far sì che la carne si sottomettesse allo spirito.
    Verso la fine del secolo alcuni elementi del pensiero di Bernardo furono fatti propri da Gioacchino da Fiore un monaco e mistico calabrese che sulla Sila fondò un monastero; i suoi studi si focalizzarono principalmente sull'Apocalisse scritta da S. Giovanni evangelista. Egli riteneva che la storia potesse essere ripartita, secondo la visione cristiana, in tre periodi storici: quello del Padre, anteriore alla venuta del Cristo; quella del Figlio, successiva a questa discesa del Figlio di Dio tra gli uomini; cui sarebbe seguita la terza età, quella dello Spirito Santo, in cui avrebbe regnato in maniera definitiva e assoluta l'Amore.
    Nel corso del XII sec. la scelta dei pontefici romani era orientata a insigni giuristi e politici che avevano posto le basi per la riforma radicale della Chiesa fondata alcuni punti: la primazia di questa su qualsiasi altro potere politico sulla terra; la superiorità dei chierici sui laici; il riconoscimento che solo attraverso la guida sicura della Chiesa era possibile ottenere la vittoria dello spirito sulla carne. Tutto ciò sfociò nell'emanazione di un codice riformato, il Decretum o Concordia discordantium canonum, promosso dal monaco camaldolese Graziano e emanato nel 1140.
    Ma la Chiesa aveva bisogno di qualcos'altro: una guida ferma a un punto di riferimento universale impersonato da un papa carismatico; ecco perché all'età di soli 37 anni, nel 1198 fu scleto per guidare la Chiesa Lotario, rampollo di una nobile famiglia laziale appartenente ai conti di Segni: Lotario assumerà il nome di Innocenzo III. Ponendosi sulla stessa scia dei suoi più insigni predecessori (Gregorio VII, Alessandro III), Innocenzo seppe guidare con mano ferma la Chiesa romana ponendosi, in alcuni momenti, anche in rotta con il potere politico laico.
    Vari erano i punti che doveva cercare di districare il nuovo pontefice. La sottomissione di comuni ribelli nel centro e nord Italia fu contenuta mediante lo stimolo a creare leghe di comuni alla stessa stregua di quanto accaduto ai tempi del Barbarossa; nel contempo non poteva accettare che i suoi territori fossero compressi tra due grandi regni: quello di Germania a nord che non nascondeva le sue tendenze espansionistiche nell'Italia settentrionale e centrale; e a sud col regno normanno dopo la morte di Enrico VI, figlio del Barbarossa. Ma ciò che preoccupava maggiormente Innocenzo era il continuo dilagare dell'eresia catara rafforzato anche dalla disaffezione e a volte dal contrasto della popolazione contro l'alto clero mondano e corrotto; e la riunificazione delle due chiese, quella greca bizantina e quella cattolica romana.
    In particolare questo era il punto che lo preoccupava maggiormente. Anni addietro aveva elaborato un piano per il continuo e costante avvicinamento tra le due confessioni ma la creazione dell'impero latino d'oriente ad opera dei veneziani e dei franchi da un lato unito anche al rifiuto da parte del patriarca di Costantinopoli di rinunziare alla sua autorità assoggettandosi al vescovo di Roma, determinarono il fallimento del progetto di Innocenzo.
    Anche sul fronte ereticale il papa dovette fronteggiare l'espansine catara che stava facendo proseliti oltre che in Italia anche nel sud della Francia; in particolare nella città di Albi da dove gli affiliati al movimento ereticale cataro vennero chiamati "albigesi". Cosa inusitata fino ad allora, il papa bandì una crociata contro gli stessi catari, cosa anomale a quei tempi in quanto una crociata era bandita o contro i musulmani o contro le popolazioni pagane dell'Europa settentrionale. La guerra durò inaspettatamente molti, dal 1209 al 1244, data in cui cadde l'ultima piazzaforte albigese, il castello di Montségur. Le partirono dal nord della Francia i cui feudatari erano ben contenti di invadere i ricchi territori del sud della Francia. Ne seguì una carneficina: migliaia furono le persone uccise molte delle quali soltanto sospettate di appartenere al movimento ereticale. Lo stesso Innocenzo, dopo la spedizione a Costantinopoli, non si aspettò un'altra grave onta sulla Chiesa. Nel frattempo in Spagna i cristiani vincevano contro i mori nella battaglia di Las Navas de Tolosa nel 1212. Paradossalmente il vincitore di questa importante battaglia, Pietro II re d'Aragona e conte di Barcellona, perderà la vita l'anno successivo nella battaglia di Muret nel tentativo di difendere la città di Montpellier di cui era signore, proprio contro i "crociati" francesi.
    Innocenzo si preoccupò anche di diffondere l'autorità della Chiesa tra la popolazione; ma dai nobili ai più umili presto si rese contro che l'autorità ecclesiale, complice soprattutto la mondanità e la corruzione dell'alto clero, aveva perso moltissimo in tutti gli strati della società civile.
    Ecco perché col IV concilio lateranense del 1215 egli cercò di coniugare due esigenze: da un lato stabilì che la Chiesa di Rima manteneva la sua posizione di infallibilità e supremazia nella società civile; dall'altro, al fine di far conoscere appieno le proprie intenzioni, favorì la costituzione degli ordini mendicanti nel proprio seno, anche al fine di evitare qualsiasi deriva ereticale e poterli meglio controllare.
    Innocenzo non poté vedere i frutti dei suoi progetti quando lo colse la morte nel 1216.
  9. .
    Nel frattempo si erano tentate varie vie alternative. Nel 1228-1229 Federico II aveva ricevuto, sulla base di una tregua col sultano d'Egitto, una Gerusalemme smantellata e indifendibile; più tardi, fin verso la fine del XIII sec. si era sperato in un intervento della potenza tartara.
    Nel 1244 le milizie nomadi kwarizmiane entravano in Gerusalemme sulla base di un accordo tra l'imperatore germanico e il sultano egiziano, cacciando o uccidendo i numerosi cristiani che vi risiedevano. Nel 1250 gli schiavi-guerrieri mamelucchi si ribellarono ai loro signori giurando vendetta contro i crociati; infine, nel 1258 i mongoli di Hulagu Khan conquistavano Baghdad e uccidevano l'ultimo califfo abbaside.
    Nel 1274 papa Gregorio X aveva sottoposto ai sovrani europei di approntare una nuova spedizione in Terrasanta, valutando in particolar modo dal punto di vista tattico, tutte le possibilità di ottenere una vittoria schiacciante sul nemico musulmano. Varie furono le strategie: il blocco navale di porti nilotici vero volano dell'economia mamelucca in Egitto; l'embargo commerciale verso le città e i territori occupati dai musulmani; l'unificazione degli Ordini Militari; l'alleanza con i mongoli anche se ben presto fu palese come questi abbracciassero la fede musulmana. Tutto ciò non impedì, ad ogni modo, il contrattacco della potenza mamelucca che dopo aver sbaragliato varie città costiere, nel 1291 conquistò l'ultima roccaforte cristiana in Terrasanta: Acri.
    Come più volte si è accennato già dal Basso Medioevo si fa strada all'interno della Chiesa, un movimento di riforma contro la mondanità della Chiesa, che promuoveva una radicale riforma della stessa, in particolare mediante la lotta al malcostume quale simonia e concubinato.
    Accanto al movimento riformista si affiancò quello dei patarini che si diffuse in particolare in Toscana e Lombardia: esso auspicava non solo una mera riforma della Chiesa, ma la sua depurazione da tutto ciò che fosse mondano o ricordasse le ricchezze terrene: in sostanza una Chiesa di poveri e uguali.
    Dopo la morte di Gregorio VII e dei suoi diretti successori, Urbano II, Pasquale II e Callisto II, il movimento patarino si rese conto che la tanto auspicata riforma della Chiesa non si sarebbe mai avverata. In conseguenza di ciò, alcuni patarini si piegarono entrando nell'ordine della Chiesa; altri cercarono di trovare un compromesso tra la Chiesa parzialmente riformata e le loro istanze; altri, ormai sfiduciati che la Chiesa mai sarebbe cambiata, si diedero a predicare la parola di Cristo ma in modo tale da sfociare nell'eresia.
    Accanto al movimento patarino si diffuse quello cataro; e mentre il primo può a ben ragione definirsi un movimento di riforma religioso, il secondo da più parti è stato considerato una vera setta ereticale.
    In particolare i catari ritenevano che il mondo rappresentava una lotta incessante tra Tenebre e Luce, tra Materia e Spirito. Satana veniva considerato un vero anti-Dio che teneva prigioniero l'uomo in quanto spirito nella sua prigione di materialità. Per questo l'atto della procreazione era vietato non in quanto tale, ma in quanto causa e generazione della prigione di un altro spirito umano.
    Anche il cibo derivante da generazione come carne animale, uova, latte e suoi derivati era vietato perché ciò avrebbe contribuito a rendere attuale i progetto malvagio di Satana; l'auspicio del buon cristiano era l'endura, cioè il lasciarsi morie di fame.
    Solo con la morte, infatti, lo spirito umano si sarebbe liberato in quanto si sarebbe svincolato da qualsiasi influenza demoniaca.
    Lo stesso Dio del Vecchio Testamento era considerato Satano, il Dio malvagio. E' molto probabile, quindi, che il movimento cataro fosse effettivamente un movimento ereticale fondato su una forte matrice manichea, molto probabilmente portata in Europa nel XII sec. dai bizantini o da pellegrini di ritorno dalla Terrasanta.
  10. .
    CITAZIONE (dceg @ 28/5/2016, 19:21) 
    Chiaramente un errore. Quanto meno per quanto posso sapere.
    Quandoque dormitat...

    Risolto l'arcano,... ;)

    All'interno di questi ordini vi era un gruppo di fratres laici alcuni dei quali si dedicavano ad attività produttive e servili secondo la tradizione benedettina, mentre altri, distinti in milites e servientes, che avevano il compito di combattere per difendere i pellegrini e controllare le strade.
    Nel corso del II decennio del XII sec. in due zone della città di Gerusalemme si andavano costituendo due ordini che ben presto ottennero l'avallo della Santa Sede: quello dei Pauperes Christi et Salomonici Templi, i Templari, e quello degli Ospitalieri o cavalieri di S. Giovanni (poi chiamati di Cipro e oggi di Malta). Più tardi si aggiunsero quelli di Santa Maria cui appartenevano esclusivamente cavalieri di provenienza germanica e per questo detto dei Cavalieri Teutonici.
    L'idea che esistesse un ordine di cavalieri che fosse dedito alla lotta e quindi anche alla violenza e addirittura all'uccisione dell'infedele provocò non poco sgomento all'interno della Chiesa; e ci volle tutta l'autorità del più grande mistico dell'epoca il cistercense Bernardo abate di Clairvaux che proprio a favore e allo scopo di legittimare l'Ordine Templare redasse una sorta di panegirico intitolato Liber de laude novae militiae in cui si confrontavano i vizi della cavalleria mondana con le virtù di quella dei convertiti alla vita religiosa.
    Il neo nato regno di Gerusalemme, così come tutti gli altri principati latini che gli facevano corona, per mantenere i possedimenti occupati e bloccare l'avanzata turca, avevano bisogno di numerosi contingenti che giungevano prevalentemente dalla madrepatria, in primis dall'Europa continentale; ma ben presto contingente cominciarono a sopraggiungere anche dalle città marinare italiane quali Genova, Pisa e più tardi anche Venezia. Ma, come accennato sopra, il rapporto di vassallaggio tra il regno di Gerusalemme e i vari potentati franco-latini era più formale che sostanziale e anche i collegamenti erano tra loro difficoltosi.
    Ad ogni modo anche le colonie delle repubbliche e delle città marinare italiane mantenevano una certa autonomia e indipendenza che si estrinsecava in une propria autorganizzazione rispetto alle norme che vigevano nei vari principati locali. Le due chiese più importanti di quei territori, quella bizantina e armena da un lato e quella cattolica portata dai crociati occidentali, coesistevano in assoluta autonomia senza alcuna forma di interferenza reciproca.
    Gli Ordini militari si dedicarono anche alla costruzione di imponenti opere di fortificazione al fine di costituire un presidio e un baluardo sia per il controllo delle vie di comunicazione che per l'acquartieramento di contingenti militari.
    Ben presto gli ordini militari, in particolare quello templare, acquisirono molto potere e ricchezza, nonostante una delle regole dei confratelli fosse l'assoluta povertà; era d'uso, ad esempio, per i pellegrini che si recavano in Terrasanta, di chiedere l'apertura di un deposito presso una delle tante "commende" e "magioni" presente nei Luoghi Santi; di lì, dopo aver depositato il denaro, ci si poteva incamminare presso Gerusalemme, ad esempio, portando con sé solo la lettera di credito; giunto in una qualsiasi casa templare, si poteva incassare il contante o quota parte di essa secondo i propri desideri.
    Dall'altro lato i turchi si stavano ben presto riorganizzando; nonostante i forti dissapori all'interno del variegato mondo musulmano (tra sunniti e sciiti in primis), questo si stava riorganizzando. All'interno del mondo islamico la dinastia di atabeg fondata da Imad ad-Din Zenqi aveva attratto le gelosie di vari emiri e sultani; sarebbe stato sufficiente creare un'alleanza tra questa fronda musulmana avversa a Zenqi e il mondo cristiano per sovvertire il grave pericolo che incombeva sulle città cristiane della Terrasanta.
    Ad ogni modo un tentativo di riconquista delle città cristiane perdute si ebbe col tentativo di una nuova crociata organizzata da papa Eugenio III; i regni dell'Europa occidentale coinvolti furono quello franco di Luigi VII e quello dell'imperatore germanico Corrado III. Ma i dissapori sorti tra Luigi e il βασιλέυς Manuele Comneno nonché i cattivi consigli seguiti dal re di Francia di attaccare l'emiro di Damasco invece di concentrare le forze contro l'atabeg di Mosul e Aleppo determinò il fallimento dell'impresa: ben presto, infatti, dopo un lungo assedio alla città di Damasco le truppe franche se ne andarono in un clima di discordie reciproche.
    In Terrasanta la situazione, con l'ascesa al potere del Saladino che aveva riunito in sé tutti i territori musulmani che andavano dall'Egitto alla Siria, precipitò notevolmente. I principati cristiani non erano in grado e non volevano neanche federarsi per combattere il comune nemico islamico. Tra loro si andarono individuando due partiti: il primo era quello tendente al mantenimento dello status quo, favorevoli all'invio di contingenti dalla madrepatria ma contrari ad una mobilitazione come quella avvenuta qualche decennio prima; dall'altro v'era il partito di coloro che erano favorevoli alla guerra. La situazione prese una piega drastica quando il re di Gerusalemme Baldovino IV (fin da bambino debole e malato per via della lebbra contratta in giovane età) morì la sorella ed erede al trono Sibilla andata in sposa a un nobile esponente del "partito della guerra", Guido di Lusignano, non riuscì a bloccare il precipitare degli eventi.
    Nel'estate del 1187 il Saladino invase la Siria e da Gerusalemme l'esercito cristiano gli andò incontro per bloccarne l'avanzata. Lo scontro avvenne in Galilea sulle alture prospicienti il lago di Tiberiade, dette "corni di Hattin". Nella battaglia furono catturati Guido di Lusignano e il gran maestro dell'ordine dei Templari, usati successiva,mente come ostaggi per ottenere la resa di varie piazzeforti. LA reliquia della Vera Croce, portata in battaglia come vessillo, fu presa dai musulmani e distrutta. Ma l'evento più grave fu la sorte che toccò a Rinaldo di Chatillonaudace e facinoroso avventuriero, signore di Kerak in Transgiordania: fu catturato e decapitato di propria mano, come adempimento al voto fatto, dal Saladino in quanto aveva osato massacrare una carovana di pellegrini musulmani inermi che si recavano a pregare a La Mecca. I Templari e gli Ospitalieri furono pressi e uccisi in quanto la loro regola vietava che potessero essere riscattati mentre nel contempo la stessa imponeva loro di riprendere immediatamente le armi nel caso venissero liberati dalla prigionia.
    Dopo Hattin la strada verso Gerusalemme era libera: lo stesso difensore della capitale del regno cristiano, Baliano d'Ibelin, ottenne una capitolazione onorevole venendogli permesso di evacuare la città ordinatamente: Saladino vi entrò il 2 ottobre.
    Quando la notizia della presa di Gerusalemme giunse fino in occidente, il nuovo pontefice Gregorio VIII emise la bolla Audita tremendi, con la quale sollecitava i regni europei ad una nuova spedizione in Terrasanta. I sovrani, che in quel periodo erano in lotta fra loro, accolsero, alla fine, l'invito e marciarono verso la Terrasanta. Vi erano il vecchio imperatore Federico I Barbarossa che durante la spedizione morì (1190); il re di Francia Filippo II Augusto; il re d'Inghilterra Riccardo I Cuordileone. Quest'ultimo ottenne l'unico risultato utile, la liberazione della città costiera di Acri. Nel 1192 il re ottenne un altro risultato utile rappresentato dalla conquista dell'isola di Cipro sottratta ai bizantini; vi insediò il suo protetto Enrico di Lusignano, fratello dell'ex deposto re di Gerusalemme Guido. Da allora i Lusignano avrebbero governato sull'isola per circa 3 secoli, mentre in Terrasanta sorgevano continue dispute su chi dovesse considerarsi re di Gerusalemme; tra alterne vicende la corona passò ai Brienne, ai Hohenstaufen con Federico II e Corrado (Corradino) di Svevia, fino a giungere agli angioini mentre nei secoli a venire si trasformò in un titolo puramente formale di cui le più importanti dinastie europee si legittimavano detentori (Asburgo, Borboni, Savovia per citarne alcune).
    Con l'ascesa al soglio pontificio di Innocenzo III si formalizzò la lotta per la liberazione dei Luoghi Santi: ogni spedizione doveva essere organizzata attraverso un documento ufficiale (in genere una bolla) dal pontefice, il quale indicava il tempo e il modo in cui doveva essere condotta la crociata, stabilendo anche i mezzi finanziari e le elemosine che dovevano essere versate proprio per finanziare la spedizione militare.
    Ma dal punto di vista pratica pochi erano i passi avanti. In particolare con le crociate del 1217-1221 e del 1248-1254 si cercò di attaccare i porti del Nilo. Lo stesso S. Luigi fu fatto prigioniero del 1250 e una volta libero, si dedicò alla riparazione delle fortificazioni lungo la costa siro-palestinese, cercando nel contempo di mediare le contrastanti forze in campo.
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    CITAZIONE (dceg @ 26/5/2016, 00:29) 
    CITAZIONE (Seiano @ 25/5/2016, 20:26) 
    parlano una lingua appartenente alla grande famiglia ugro-finnica.

    Scusa l'intrusione, ma la lingua turca, che è sì una lingua agglutinante, non fa parte della famiglia delle lingue ugro-finniche ma appartiene ad un sottogruppo delle lingue altaiche, il ceppo oghuz a sua volta appartenente alle lingue turche occidentali. Cfr.: https://it.wikipedia.org/wiki/Lingue_turche e con maggiori dettagli: https://de.wikipedia.org/wiki/Turksprachen

    Sembrava anche a me strano, dceg; riporto testualmente il passo quando afferma che "...d'origine etica e linguistica molto diversa sia dai semiti arabi sia dagli indoeuropei persiani, i turchi appartengono a un ceppo uralo-altaico affine al mongolo e parlano una lingua appartenente alla grande famiglia ugro-finnica", cit.
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    Bisogna considerare che il mondo islamico fu anche faro di grande civiltà: dalla medicina, alla geografia all'astronomia, alla filosofia, non vi era campo dello scibile in cui non fosse stato dato un considerevole apporto da un qualche esponente musulmano. Tra questi può citarsi Abu 'Ali al-Husayn Ibn Sina, meglio noto al mondo occidentale col nome di Avicenna. Nato nel 980 presso Buchara, morì nel 1037 a Hamadan. A seguito di una serie di vicissitudini in gioventù, non poté appieno manifestare la sua immensa cultura potendosi dedicare solo in parte allo studio. Grazie alle sue opere è possibile ritenere senza ombra di dubbio, che sia stato uno dei più grandi uomini di pensiero di tutti i tempi.
    Lo stesso Avicenna diede un impulso notevole anche alle scienze mediche, creando una commistione tra le scienze di Aristotele e Ippocrate. Del primo, inoltre, diffuse il pensiero ma alla luce del movimento neopolatonico che era quello sotto il quale era meglio noto lo Stagirita: soltanto con l'avvento della Scolastica il grande filosofo greco fu ristudiato come oggi lo conosciamo.
    Vari furono i dotti musulmani che approfondirono la cultura islamica in varie branche del sapere: dalla geometria alla matematica, alla musica all'astronomia.
    Nel corso del XII sec. alla scuola di Toledo, nata sotto l'egida dei re di Castiglia, collaboravano dotti cristiani, musulmani ed ebrei: grazie ad essa nacquero la "rivoluzione scolastica", le prime università e lo sviluppo scientifico-tecnologico occidentale.
    Già durante l'Alto Medioevo era invalso l'uso dei pellegrinaggi che erano sostanzialmente di due tipi: quello devozionale e quello penitenziale. Al primo si dedicavano i pellegrini in viaggio presso un qualche santuario per fini, appunto, devozionali: uno degli esempi più celebri è quello di Sant'Elena, madre di Costantino il Grande, che si recò in Terrasanta per pregare nei Luoghi Santi e anche per reperire reliquie come quelle appartenute alla Santa Croce. Nel contempo v'era quello penitenziale, che appunto aveva scopi di "penitenza" per i peccati commessi e aveva natura espiatoria. Come, infatti, Caino dopo l'uccisione di Abele vagava ramingo senza meta, così i penitenti girovagavano in varie città senza una meta precisa sovente nudi, scalzi, con ceppi di ferro che gli legavano polsi e piedi.
    Segni caratteristici dei penitenti erano il bastone (o "bordone"), la bisaccia, le insegne del santuario cui si era diretti o dal quale si proveniva ben in vista sul copricapo o sulle vesti, le medagliette con sante effigi.
    I sovrani carolingi più volte avevano impedito i pellegrinaggi motivando ciò con motivi di ordine pubblico; nel contempo i vescovi locali inviavano questi pellegrini direttamente dal pontefice affinché fosse il successore di Pietro a decidere direttamente la loro vita da penitente fosse cessata o meno.
    Col passar del tempo la distinzione tra i due tipi di pellegrinaggi andò scemando: chi era peccatore era pellegrino viandante che si recava in qualche luogo santo per fini espiatori; ma anche chi era pellegrino per scopi devozionali era un peccatore.
    Non bisogna dimenticare che i grandi centri sacri dell'epoca erano Santiago de Compostela in Galizia nella parte nord-occidentale della penisola iberica; oltre Roma, sede della cristianità cattolica e Gerusalemme. Ma chi si recava in uno di questi Luoghi poteva pregare anche in siti intermedi, chiamati stationes: ad esempio chi passava al passo della Cisa lungo la via Francigena verso Roma, a Lucca avrebbe trovato la miracolosa effige detta "il Santo Volto", mentre ad Acquapendente un'imitazione del Santo Sepolcro di Gerusalemme e così via.
    Accanto ai santuari cominciarono a svilupparsi anche mercati aperti soprattutto in occasione delle feste patronali, mentre pie associazioni di volontariato prestavano assistenza in prossimità di guadi, valli e passi montani a messo di hospitalia, dove i pellegrini venivano rifocillati e, se malati, anche curati.
    I regni spagnoli cristiani di Leon, Castiglia, Aragona e Navarra si andavano frattanto unificando: con Ferdinando I si stabilì l'unione tra Castiglia e Leon. Nel 1085 un altro re di Castiglia, Alfonso VI, entrava in Toledo e con lui l'intero altipiano castigliano era stato conquistato dagli arabi, i quali restavano al loro posto soprattutto nelle campagne. Nel contempo anche in Catalogna e Aragona si organizzava un altro regno cristiano destinato a condividere con la Castiglia il controllo della Spagna cristiana.
    Nel breve volgere di anni alcune città italiani ben intraprendenti mossero alla volta dell'oriente mediterraneo intrattenendo fitti rapporti commerciali con Bisanzio e con molte città arabe. Bisogna aggiungere, ad ogni modo, che ben presto questo sfociò in un'intraprendenza anche militare tanto che alcune città come Pisa e Genova si unirono tra Corsica e Sardegna per muovere guerra, nel 1015-1016, all'emiro-corsaro di Deia e delle Baleari al-Mujahid; la sola Pisa, nel 1063, assaltò la città di Palermo, e nel 1087 quello tunisino di al-Mahdiyah, di nuovo a fianco dei genovesi e degli amalfitani. Alcuni storici, forse con una certa forzatura, videro in questi attacchi una sorta di "precrociate" da parte della cristianità occidentale al mondo musulmano.
    Una volta che l'Europa si era pacificata con la cessazione della lotta per le investiture tra Papato e Impero, la Chiesa volgeva lo sguardo verso un altro fronte: quello crociato verso oriente. Invero in Alvernia, presso Clermont, papa Urbano II aveva indetto un concilio in cui sollecitava la riottosa nobiltà francese a soccorrere l'impero di Costantinopoli sotto la minaccia turco-selgiuchide. Il fine della liberazione dei Luoghi Santi in Palestina, però, ancora non si era posto. Nel frattempo, però, un califfo egiziano, al-Hakem (fondatore della setta drusa e considerato eretico dallo stesso Islam), tra il 1008 e il 1009 aveva ordinato la distruzione della basilica del Santo Sepolcro; in seguito, qualche decennio più tardi, la Palestina era stata conquistata da una popolazione turca, i selgiuchidi, che convertitisi di recente all'Islam, avevano l'intransigenza dei neofiti.
    Dopo la sconfitta di Mazinkert, il pontefice si era affrettato ad organizzare una spedizione che tentasse di pacificare l'oriente cristiano e nel contempo a rinsaldare i rapporti tra le due chiese, cattolica e ortodossa, da poco uscite dallo scisma d'oriente.
    In Anatolia, nel frattempo, la situazione si era andata pacificando, mentre poco prima il concilio di Clermont, a Piacenza, nello stesso anno, si era tenuto un altra riunione indetta dal pontefice in cui l0imperatore bizantino aveva inviato un'ambasceria anche per assoldare guerrieri "franchi" (pesantemente armati) che potessero combattere al fianco di quelli bizantini.
    A Clermont l'appello del papa fu accolto dalla nobiltà prima francese e poi europea: da ogni dove i feudatari si organizzavano col loro seguito alla volta della Terrasanta anche se sulle prime la metà era la tutela delle comunità cristiano orientali.

    Originariamente quella che era una spedizione diretta verso Costantinopoli divenne una spedizione che si muoveva alla volta della liberazione della Terrasanta. Ben presto, infatti, molti di quei pellegrini che muovevano verso oriente furono indirizzati verso la Palestina al fine della liberazione della Terrasanta. Agli inizi gruppi di diseredati, errabondi, accattoni crearono moltitudini immense che di spedizione crociata avevano poco o niente: lungo il loro peregrinare verso la Terrasanta diedero luogo diverse nefandezze tra cui uccisioni, rapine, furti, violenze di ogni genere in particolare (ma non solo) contro le comunità ebraiche della valle del Reno e del Danubio. Si autorganizzarono solo quando si posero al seguito di una qualche grande spedizione diretta verso i Luoghi Santi.
    E proprio una di queste si radunò a Costantinopoli; suo capo spirituale era il legato pontificio Ademaro di Monteil, vescovo di Le Puy; i provenzali guidati da Raimondo di Saint Gilles, conte di Tolosa e marchese di Provenza; i germano-brabanzoni di Goffredo di Buglione, duca della Bassa Lorena; i fiamminghi di Roberto conte di Fiandra e i francesi di Ugo di Vermandois e Stefano di Blois; i normanni di Roberto duca di Normandia, figlio di Guglielmo il Conquistatore i normanno-italici di Boemondo, figlio di Roberto il Guiscardo.
    L’intenzione di muovere verso la Terrasanta non fu l’intento iniziale; questo dovette nascere e svilupparsi col tempo, forse anche per sollecitazione dei “poveri pellegrini” che erano al seguito della spedizione.
    Ad ogni modo nell’estate del 1098 vi fu la prima grande vittoria crociata: attraversato l’ostile deserto anatolico e sconfitte a più riprese le truppe turche che non si aspettavano un attacco così duro dai nuovi arrivati, la spedizione cristiana arrivò ad Antiochia che fu conquistata. L’effetto sorpresa fu determinante: fermo restando lo scontro interno alla compagine nemica tra sunniti e sciiti, tra turchi e arabi, i musulmani non si aspettavano minimamente che i nuovi arrivati potessero resistere e addirittura combattere durante la dura e avversa estate continentale nel deserto anatolico. Questo fu uno dei motivi per cui furono sconfitti.
    Si tenga presente che l’orda famelica dei pellegrini al seguito dei crociati era inferocita ed incrudeliti da mesi di stenti e privazioni che uniti al fanatismo religioso che li aveva sospinti fino a quelle terre tanto lontane dai luoghi di origine, ne facevano una vera e propria macchina da guerra che massacrava tutto e tutti coloro trovasse davanti al loro cammino.
    Tra la fine della primavera e l’inizio dell’estate del 1099 Gerusalemme fu conquistata: prima dell’assedio e della conquista della città il governatore musulmano aveva espulso (non fidandosi) i cristiano-orientali residenti in città; fu una carneficina in cui trovarono la morte migliaia tra musulmani ed ebrei. Molto probabile che se il governatore di Gerusalemme non avesse espulso i cristiano-orientali anche questi sarebbero stati passati a fil di spada, non venendo riconosciuti dall’orda inferocita dei “crociati”. La città fu presto ripopolata da cristiano-orientali e da altri loro correligionari siriaci e armeni; in un primo tempo, infatti, fu proibito ai musulmani di soggiornarvi.
    Quando nel 1099 Gerusalemme fu definitivamente conquistata a caro prezzo e dopo lunghe vicissitudini, ci si trovò di fronte alla nuova qualificazione giuridica da assegnare ai territori conquistati. In particolare vennero a crearsi vari principati che andavano dalla contea di Edessa al principato di Antiochia; dalla contea di Yripoli al principato di Tiberiade e Transgiordania; dalla contea di Giaffa e Ascalona a vari altri feudi minori.
    Dal punto di vista formale tutti questi feudi dovevano dipendere dipendevano dal βασιλέυς di Costantinopoli, ma i suoi rapporti con i crociati non erano dei migliori e per di più era considerato uno scismatico; si potevano assegnare i nuovi territori conquistati al papa che li avrebbe detenuti come feudi della Chiesa come la Sicilia e l’Inghilterra: ma questo avrebbe deteriorato ulteriormente i rapporti con la chiesa ortodossa. Si optò per la soluzione di nominare sovrano di quei territori Goffredo di Buglione. Questi era nato nel 1060 Baisy, nel Brabante, da Eustachio II di Boulogne e Ida, figlia di Goffredo, duca della Bassa Lorena.
    Strenuo sostenitore della causa imperiale, ottenne dall’imperatore Enrico IV la marca di Anversa (1087), alcuni territori lorenesi (1083) e la corona ducale della Bassa Lorena (1089).
    Era noto a quei tempi per la durezza e spietatezza con cui perseguitava i propri avversari: forse proprio per questo motivo si allontanò dai territori aviti in segno di penitenza e quando intraprese la marcia per liberare la Terrasanta coi fratelli Baldovino ed Eustachio, il suo corpo di spedizione ammontava a ca. 12.000 uomini.
    Nonostante la tradizione lo rappresenti come uno dei più validi e valorosi guerrieri dell’epoca, Goffredo non riuscì mai ad eguagliare in forza e valore altri principi occidentali tra i quali Raimondo conte di Tolosa, Boemondo d’Altavilla e Tobrerto duca di Normandia; si dice anche che fosse malato quando assunse il potere, prova ne fu che regnò per poco tempo.
    All’indomani della conquista di Gerusalemme fu candidato alla corona proprio Boemondo di Tolosa, uno dei signori più in vista e potenti dell’Europa occidentale; ma i normanni posero il loro veto. Ci si rese conto che per sedare ogni contrasto tra i crociati doveva essere eletto re di Gerusalemme un principe cristiano non troppo i auge: fu scelto l’introverso e debole Goffredo, al quale non fu neanche assegnato il titolo di “re” ma di Advocatus che nella nomenclatura dell’epoca designava un protettore o custode laico di un qualche ente ecclesiastico; tutto ciò faceva pensare che il Santo Sepolcro fosse possedimento della Chiesa di Roma.
    Goffredo guerreggiò valorosamente ancora per u po’ di tempo conquistando Ascalone e Guaffa; ma ammalatosi, morì 1100 a Gerusalemme. Il fratello Baldovino non perse tempo e non solo raccolse l’eredità di Goffredo ma si fece incoronare sovrano di Gerusalemme.
    Le forze che sostenevano il nuovo regno erano composte dai sovrani “franchi” che avevano combattuto per liberare la Terrasanta, dai nobili siriaco-cristiani e armeni che presto si imparentarono con i primi; dalle militiae formate dagli ordini religiosi chiamati impropriamente “Ordini religioso-militari” che univano l’attività e l’opera monastica a quella di difesa e presidio dei Luoghi Santi.
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    A partire dal X-XI sec. nel mondo arabo si introdusse un'altra componente etnica, quella dei turchi. D'origine etnica molto diversa sia dagli indoeuropei persiani, sia dai semiti arabi, appartengono a un ceppo uralo-altaico affine al mongolo e parlano una lingua appartenente alla grande famiglia ugro-finnica. Originari dell'Asia nord-orientale ben presto seppero spostarsi verso Occidente tanto che i "franchi", cioè le popolazioni europee crociate che erano andate a combattere in Terrasanta, individuandoli in Siria, Libano, e Palestina già dalla fine del XI sec., li avvicinarono sempre più agli àvari, agli unni, ai bulgari, agli ungari con cui erano entrati più volte in contatto nei secoli addietro.
    Nel corso dell'XI sec. una tribù turkmena, appartenente ad un ramo specifico dell'etnia turca, che dal nome del suo Khan (che significa "signore dei popoli") Selgiuq prese il nome di Selgiukidi, accorpò il vacillante e traballante califfato abbaside di Bagdad prendendone le redini politiche, religiose e militari. I turchi selgiuchidi, infatti, erano abili cavalieri e arcieri e costituivano diffondendo il terrore nelle fila nemiche per la loro spietatezza in battaglia. A capo di essi era posto il khan che ben presto assunse il nome di sultano affiancando, in una sorta di diarchia, il già debole califfo di Bagdad della dinastia abbaside. I contrasti erano anche in senso all'islam col sempre crescente potere rappresentato dalla dinastia fatimida del Cairo di estrazione sciita. Ai suoi (del sultano) ordini vi era una rete di capi militari (agha), e di governatori (beg e atabeg) che si presentavano come i custodi dell'islam sunnita in contrasto con quello sciita rappresentato dai fatimidi del Cairo. Ma un pò dappertutto questi nuovi arrivati si scontravano con i wali, cioè i funzionari giuridico-amministrativi del califfo, gli emiri, cioè i principi, e gli sceicchi, anziani, capitribù arabi a arabo-persiani, che mal sopportavano i nuovi arrivati.
    I turchi erano divenuti anche famosi in Europa allorquando sconfissero nel 1071, nella celebre battaglia di Mazinkert, l'esercito bizantino fondando, poco dopo, un sultanato in Anatolia con capitale nella città di Iconio.
    Nel corso del X sec. i regni delle Asturie (e di Leon dopo) e di Navarra dettero luogo a un movimento di avanzamento verso sud finalizzato alla riconquistare i territori perduti nella penisola iberica in mano alla dinastia umayyade di Cordoba: si diede avvio a quella che passò alla storia come la Reconquista cristiana della penisola iberica.
    Ibn Abi Amir al-Mansur, il grande vizir del califfo cordobano umayyade Hisham II, si rendeva conto che finché la compagine dello stato musulmano fosse stata solida, le spinte verso nord avrebbero potuto essere contenute. Ma avviò una controffensiva a carattere preventivo culminata nell'assalto alla città di Compostella che fu messa a ferro e fuoco senza, per fortuna, arrecare alcun danno al santuario della città in cui erano custodite le reliquie di S. Giacomo.
    Lungi dal cadere nell'oblio,l'attacco alla città santa creò un sussulto d'orgoglio in tutta Europa tanto che in quel luogo convennero migliaia di pellegrini dediti a pregare sulla tomba di S. Giacomo; ma nel contempo il sacrilegio dell'attacco alla città in cui erano custodite le reliquie dell'apostolo, unitamente alla Reconquista della penisola iberica crearono una causa comune.
    Ad ogni modo il califfato di Cordoba perse il suo notevole potere quando alla morte del vizir al-Mansur il regno fu pervaso da lotte interne e nel 1031 fu abolito; di ciò non riuscirono a sfruttare a loro vantaggio i regni cristiani a nord anch'essi pervasi da lotte interne a da forte instabilità Soltanto con l'attacco congiunto castigliano-leonese e aragonese si riuscì a conquistare la valle del Duero e Coimbra in Portogallo, grazie anche all'impresa di Barbastro in Aragona nel 1164.
    Grazie anche all'iniziativa di Alfonso Vi di Castiglia, con l'aiuto del leggendario Rodrigo Diaz de Bivar, conosciuto alla storia come il Cid Campeador, si riuscì a conquistare la città di Toledo nel 1085; non piccolo fu anche l'appoggio fornito dal malik toledano al-Qadir al quale fu promessa, come compenso, la città di Valencia. Alla morte violenta di questi, lo stesso Rodrigo, desideroso di vendicare l'assassinio dell'amico saraceno e anche in contrasto col re che non aveva mantenuto la parola data, decise di assediare Valencia che dopo 20 mesi cadde nel giugno del 1094; il Cid, riconciliatosi col re, la tenne come suo possedimento fino al 1099, anno della sua morte.
    La grande vittoria di Alfonso e del Cid indusse il qadì di Siviglia ("giudice") che presiedeva il consiglio dei notabili in città, al-Mutamid, a chiedere l'aiuto di Yusuf Ibn Tashfin, uno degli uomini più potenti dell'islam in occidente, capo della confraternita dei murabitun (almoravidi), o "uomini del ribat". Il ribat era una specie di convento-fortezza, mentre i murabitun si erano formati sulle rive del Senegal e del Niger e impadroniti di Marocco e Algeria.
    Gli almoravidi passarono lo stretto di Gibilterra, sconfissero i cristiani nella battaglia diZallaqua (l'odierna Sagrajas) sottomettendo i nemici; lo stesso re Alfonso VI riuscì a stento ad avere salva la vita insieme a un centinaio di cavalieri. Ben presto tutto il potentato musulmano nella penisola iberica fu sottoposto al giogo dei nuovi padroni.
    Nonostante la bellicosità dei nuovi conquistatori, questi si comportarono in maniera lungimirante senza alcuna vessazione nei confronti dei vinti considerando allo stesso modo musulmani, ebrei e cristiani.
    Vi fu un intenso sviluppo economico, sociale, culturale, commerciale, finanziario durante il regno della dinastia almoravide tanto che notevoli erano i commerci che la Spagna intesseva con tutti i porti del Mediterraneo. Ma ben presto sia la riscossa cristiana dei regni a nord, sia la nuova corrente mistico-religiosa facente capo al mahdi ("restauratore della giustizia e della pace") Ibn Tumart, detta Almohade, portarono gli almodavidi alla disfatta. Nel 1147 i rigoristi almohadi, guidati dal loro califfo Abd al-Mu'min, successore di Tumart, conquistarono Marrakesh; dopo alterne lotte che videro una continua e incessante vittoria sul campo sia nei confronti degli almoravidi che degli eserciti cristiani, Siviglia fu conquistata. Il nuovo califfo almohade, Abu Ya'qub Yusuf vinse le resistenze locali a lanciò una jihad contro il regno di Castiglia, fissando Siviglia come sua capitale. Suo figlio Abu Yusuf Ya'kub sconfisse Alfonso VIII di Castiglia nella battaglia di Alarcos nel 1195; il potere fu molto più restrittivo di quello almoravide e numerosi furono coloro costretti alla prigionia o all'esilio: tra questi l'ebreo Moshe ben Maimun (Maimonide) e il musulmano Ibn Rush (noto alla storia col nome di Averroé). E' sintomatico che lo stesso Maimonide trovasse rifugio al Cairo presso la corte fatimide del tollerante sultano Saladino.
    Ad ogni modo la vittoria almohade seguiva quella avvenuta 8 anni prima ad opera del Saladino nella celebre battaglia di Hattin del luglio 1187; la cristianità era racchiusa nella morsa islamica da occidente a oriente.
    Accanto al califfato abbaside e al sultanato turco-selgiuchide di Bagdad esistevano una costellazione di principati turco-siriaci retti da atabeg di Aleppo e Mosul. Nel corso del XII sec. militava al servizio di questi ultimi un capo militare conosciuto nel mondo islamico come al-Malik an-Nasir Salah ad.Din (il "Sovrano Vittorioso, Integrità della Fede") e in quello occidentale come Saldino. (1138-1193). Nel 1168 fu inviato in Egitto che in quel tempo era pervaso da una serie di conflitti politici interni, ponendosi al servizio, in qualità di vizir, del califfo al-Adid. Nel frattempo della grave crisi politica intendevano profittarne il βασιλέυς Manuele e il sovrano crociato Amalrico di Gerusalemme. Quasi contemporaneamente Saladino spodestò il califfo nel 1171 dando termine alla dinastia fatimide sciita e riportando l'Egitto all'ortodossia sunnita.
    A questo punto finalmente Saladino riuscì ad affrancarsi dal comando degli atabeg turco-siriaci, creando in Egitto un califfato che si estendeva dal medio corso dell'Eufrate al Sudan; ben presto cadde anche il regno di Gerusalemme con la succitata battaglia di Hattin del 1187. I suoi successori ed eredi, però, non seppero sfruttare il grande vantaggio territoriale e militare che avevano, dividendo il grande e potente califfato in due regni islamici con capitali a Damasco e Il Cairo. Il primo di essi si frammentò entro la prima metà del XIII sec.; il secondo, invece, a seguito di un colpo di stato avvenuto nel 1250 cadde nelle mani delle guardie del corpo del califfo, che lo detennero fino al 1518, anno in cui l'Egitto sarebbe entrato a far parte di un novo impero musulmano, quello dei turchi ottomani di Istanbul.
    I califfi arabo-persiani e i sultani turchi di Bagdad riuscirono a mantenere le redini del potere, almeno formalmente, ancora per diversi anni, anche se ormai si affacciavano sulla vita politica (e molto spesso anche militare) nuovi principati spesso in contrasto tra loro. A ciò aggiungasi il fatto che nel corso dei secc. XII-XIII sorsero vari gruppi eterodossi a carattere mistico, tra i quali i fidawi sciiti attivi in Persia e Siria, divenuti famosi in occidente come "Setta degli Assassini", il capo della quale, il "Veglio della Montagna", divenne un personaggio leggendario.
    Tale situazione si mantenne fino al 1258, anno in cui l'istituzione califfale di Bagdad su sconvolta da un'altra grande minaccia che ne minò le fondamenta: quella del'avanzata mongola che aprì una nuova era nel mondo islamico.
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    Nel frattempo la dinastia degli Angeli aveva, in un breve lasso di tempo, fatto perdere a Bisanzio la Serbia, la Croazia e la Dalmazia un tempo sottratte all'Ungheria. Questo portò un forte discredito nei confronti dell'imperatore Isacco Angelo al punto tale che suo fratello Alessio III si impadronisce del potere, lo fa accecare e lo rinchiude insieme al figlio in carcere.
    Nel frattempo i Crociati si riuniscono a Venezia per preparare una nuova spedizione in Terrasanta ma non hanno né mezzi, né soldi a sufficienza per la nuova impresa. L'energico e scaltro doge Enrico Dandolo fa loro una proposta: liberare la città di Zara che si era ribellata al giogo veneziano e dirigersi, poi, in Terrasanta. Le parole del Dandolo furono accolte dalle truppe crociate che in breve tempo riuscirono a rompere l'assedio presso la città dalmata: la risposta del pontefice fu esemplare, scomunicando i veneziani che avevano espugnato una città cristiana. Non si arrivò alla situazione paradossale di scomunicare anche i crociati! Ad ogni modo a Zara si presentò anche Alessio, figlio e legittimo erede del deposto Isacco Angelo che prometteva ai Crociati, in cambio della deposizione dell'usurpatore, denaro e la fine dello scisma tra le due Chiese.
    Nel luglio 1203 crociati e veneziani sconfissero l'usurpatore, rimisero sul trono Isacco Angelo e il figli Alessio IV e poterono estendere la loro egemonia su Costantinopoli. Ma ben presto il popolo bizantino divenne stanco dei soprusi e abusi dei Crociati e dei veneziani e si rivoltarono; il sollevamento popolare fu duramente represso con la forza dalla forze crociate e veneziane che così instaurarono un vero e impero, alternativo a quello bizantino: l'impero latino d'oriente.
    I territori della capitale vennero così ripartiti: 1/3 fu assegnato a Baldovino conte di Fiandra, che fu eletto imperatore del neonato impero latino d'Oriente; 1/3 agli altri nobili crociati; il rimanente terzo ai veneziani cui venivano assegnate anche le isole greche nonché i più importanti scali navali presso cui attraccavano i bastimenti provenienti dall'Oriente e carichi di seta e pietre preziose e spezie.
    I crociati non furono in realtà mai in grado di determinare una solida e valida organizzazione burocratica mentre nel contempo molti principi bizantini si erano posizionati ai margini dell'impero in attesa di una prossima rivincita nei confronti dei nemici veneziani e crociati. Lo stesso papa Innocenzo III aveva ottenuto la riunificazione delle due Chiese, cattolica ed ortodossa, ma al prezzo di porre sullo scanno di Costantinopoli un patriarca veneziano.
    L'impero latino entrò in crisi dopo pochi decenni, quando Giovanni Vatatze, alleatosi con i genovesi, fece piazza pulita degli avversari per poi impossessarsi di tutte le province orientali. Successivamente Michele VIII Paleologo nel 1246 mise fine alla dominazione di Badovino II; in cambio dell'appoggio fornito Genova avrebbe ottenuto una serie di vantaggi economico-commerciali nel Levante. Dopo anni di dominazione latina, nonostante Costantinopoli tentasse di riallacciare nuovi rapporti diplomatici sia ad Occidente che a Oriente, Bisanzio non riuscì mai più a risollevarsi del tutto.

    Per quanto concerne la religione islamica questa si frammentò nel corso dei secoli in diverse scuole. Tra queste spiccò certamente quella fatimide in Egitto sotto l'egida di un califfo sunnita. Ma l'autorità di questi era più formale che sostanziale: infatti il potere era ripartito con i turchi selgiuchidi il cui sommo esponente era rappresentato dal sultano che affiancava lo stesso califfo.
    La dinastia califfale cairota dei fatimidi viveva semi prigioniera di onnipotenti primi ministri chiamati vizir e di truppe mercenarie di origine servile, i mamelucchi (dall'arabo mamluk, "schiavo"), costituita da turchi, slavi, circassi, curdi, e anche una minoritaria presenza sudanese.
    I Mamelucchi si distinguevano dalla popolazione del luogo dalla pelle scura perché sovente avevano carnagione chiara e occhi azzurri o verdi. Ad ogni modo nonostante la religione islamica unisse diversi popoli sotto l'unico dio Allah, differenti erano i popoli, per storia, tradizione, cultura; il collante oltre la religione, era la lingua, l'arabo, considerata sacra in quanto in arabo si esprime il Corano. Ed è proprio grazie agli arabi che lo sterminato impero persiano era crollato la loro religione, il mazdaismo, era stato soppiantato presto dalla religione musulmana ma queste in breve tempo divenne più aperta nei confronti dell'antico credo persiano considerandolo al pari dell'ebraismo e del cristianesimo.
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    L'opera di S. Vladimiro fu continuata dal suo successore Jaroslav il Saggio che impose la sua egemonia al khanato bulgaro del Volga, molto importante in quanto transito delle vie commerciali per l'Asia, collaborò con l'imperatore romano-germanico Corrado III e con il re di Polonia Casimiro I, e pose le basi giuridiche per la redazione di un "codice russo" risultante dalla fusione di leggi bizantine e norme consuetudinarie del diritto slavo. Sotto il suo principato il monaco Ilarione fondò scuole di copisti e traduttori sia a Kiev che a Novgorod. Il suo governo si fondava sul consiglio dei "Boiari" i proprietari terrieri al servizio dei quali vi erano gruppi di gente armata.
    Alla scomparsa di Jaroslav la compagni russa si frazionò in una serie di principati (Kiev, Novgorod, Rjazan, Vladimir); fra XII e XII sec. si assisté al lento decadere economico, politico, culturale di Kiev del quale approfittarono gli euro-occidentali a mezzo delle repubbliche marinare di Genova e Venezia; queste, infatti, presero il controllo sul commercio nel Mar Nero. Nel frattempo, però, Mosca, fondata nel 1147, stava estendendo la sua egemonia sull'intera Russia divenendo la capitale di un potente principato.
    Terminata la dinastia amoriana, si affacciò sulla scena politica bizantina quella macedone, proveniente da una delle regioni più turbolente e difficili da domare: la Macedonia. Bisogna premettere che fino a quel tempo il Mediterraneo era ripartito tra potenza bizantina e musulmana, in particolare quella fatimida in Egitto; c'erano, poi, una serie di potentati minori acquartierati lungo le coste del nord Africa e dediti all'attività piratesca. Con la scomparsa della dinastia umayyade a Damasco, il centro politico e religioso dell'islam venne meno, con tutte le conseguenze che ne derivarono.
    Con l'avvento della dinastia macedone si aprì un nuovo scenario politico a Bisanzio: il nuovo βασιλέυς Basilio proveniva proprio dalla Macedonia, un territorio ostile e turbolento quasi a diretto contatto con il regno bulgaro da poco convertito al cristianesimo.
    Sia Basilio che il suo successore Leone VI riorganizzarono la burocrazia, riformarono lo Stato, misero mano al codice giustinianeo dando luogo ad una riforma delle leggi, cercarono di limitare l'influenza dell'autorevole ma turbolento patriarca di Costantinopoli, Fozio; nel contempo l'economia, al fianco della forte aristocrazia militare cui apparteneva Basilio, era suddivisa in due grandi categorie: quella dei grandi proprietari terrieri latifondisti che tendevano ad arricchirsi sempre più; quella dei piccoli proprietari impoveriti e sovratassati.
    Nonostante queste grosse riforme, l'impero rimase diviso, secondo le disposizioni decenni addietro apportate da Eraclio, in 32 distretti politico-militari chiamati temi i cui gerarchi risedevano, onde evitare spinte autonomistiche, a Costantinopoli, così come tutto l'entourage imperiale.
    Ecco perché la capitale divenne anche un centro parassitario e improduttivo dive erano concentrati tutta la burocrazia e i gangli del potere decisionale imperiale. Nel contempo l'impero doveva fare i conti anche con le mire espansionistiche di alcuni principati che vedevano in Bisanzio un faro di civiltà ma nello stesso tempo anche una preda ambita. La lotta contro i bulgari dello czar Simeone fu condotta dapprima da Romano I Lecapeno e dopo da Niceforo II Foca, che fu acclamato imperatore dopo le sue strepitose vittorie sugli arabi, riconquistando ben presto Cipro e la Cilicia. Tuttavia nel 969 una congiura di palazzo depose Niceforo Foca e o sostotuì con un altro valente generale, Giovanni I Zimisce. Alla sua morte il potere cadde nuovamente nelle mani di un esponente della dinastia macedone, Basilio II. Dal punto di vista della politica interna si impegnò per restringere le mire della'aristocrazia, mentre in politica estera ridusse le mire espansionistiche dei bulgari dello czar Samuele che combatté tanto duramente da meritarsi l'appellativo di Bulgaroctonos, "l'uccisore di bulgari".
    Dopo la scomparsa della dinastia macedone con Basilio II fu introdotta una riforma economico-sociale che ricordava molto quella vassalatico-feudale sorta nell'Europa occidentale nei secc. VIII-IX. Fu introdotto l'istituto della pronoia, la concessione di terre con obbligo di coltivarle e di rendere servigi alla corona, in particolare di carattere militare; e la caristicaria, consistente nell'appannaggio di beni ecclesiastici e monastici ad amministratori laici. Nel frattempo la burocrazia imperiale rendeva sempre più difficoltosa e farraginosa la mastodontica macchina statale.
    Dal momento che in Occidente la sede di Roma stava acquistando sempre maggior potere ed influenza nel mondo cristiano, l'imperatore Costantino IX Monmaco, appoggiato dalla sempre più influente moglie Zoe, appoggiarono l'iniziativa del patriarca di Costantinopoli di decretare lo scissa della Chiesa bizantina da quella cattolinco-romana: questa separazione fu meglio conosciuta nei secoli a venire come Scisma d'Oriente.
    La dinastia dei Comneni, d'altro canto, seppe rafforzare la posizione egemonica di Bisanzio nel Mediterraneo riscattando la cocente sconfitta subita a Mazinkert nel 1071, assegnando a Bisanzio quella posizione di mediatore tra Europa e mondo asiatico. Con Alessio I Comeno Bisanzio impedì sia la costituzione di un regno normanno nell'Italia meridionale, sia di una altro franco-latino con la I crociata.
    Con la successione al trono imperiale di Giovanni si giunse all'orlo di una rottura col tradizionale alleato dell'impero: Venezia. Nel frattempo si rinsaldavano le alleanze con il papato da una parte e l'impero romano-germanico, dall'altro.
    Ma quest'idillio perdurò fin quando i suoi due alleati rimasero tali. In seguito alla rottura dei loro rapporti Bisanzio dovette scegliere da che parte stare, anche perché il nuovo imperatore Federico Barbarossa non faceva mistero di voler assoggettare il papato ai suoi voleri.
    Se Bisanzio voleva mantenere la propria egemonia nello scacchiere europeo era necessario creare una forte alleanza contro l'unico suo antagonista rappresentato dall'altro imperatore, sovrano del Sacro Romano Impero: Federico Barbarossa. E per far ciò Manuele Comneno creò una fitta rete di alleanza che andavano dal papa al regno normanno in Sicilia (che precedentemente era stato un suo fiero avversario), da Venezia ai comuni italiani, da alcuni grandi feudatari del centro Italia ai principati franchi in Terrasanta. Ma l'idea celata dal Comneno era quella di creare un nuovo impero sulla scorta di quello giustinianeo: creare un nuovo impero in cui fosse posta la centralità di Bisanzio cui ruotavano gli altri regni e principati. Un suo primo tentativo fu rappresentato, ad esempio, dall'espansionismo di Ancona che nel mar Adriatico divenne un emulo di Venezia. Sognava addirittura la riconquista della Sicilia, ma la morte lo colse prima di poter realizzare il suo sogno.
    Per poter portare avanti il suo sogno di conquista, Michele aveva bisogna di ingraziarsi i vicini alleati turco-musulmani stanziati in Anatolia; cosa che non avvenne, anzi da loro fu duramente sconfitto, morendo poco dopo nel 1180.
    Alla sua morte seguì in periodo di intrighi, congiure per l'ascesa al potere, mentre la capitale sempre più cadeva nella mani dei coloni e dei mercanti "franchi" (cioè latini), che detenevano il potere economico, in primis i veneziani.
    Inoltre la dinastia degli Angeli, che successa a quella dei Comneni, non riuscì ad impedire addirittura un avvicinamento dell'impero romano-germanico ala dinastia normanna in Sicilia. Ne derivò un ritorno ala politica aggressiva dei normanni nei confronti di Bisanzio che sfocerà, nel 1185, nella conquista di Salonicco.
    La caduta di Gerusalemme nella mani dei musulmani nel 1187 costituì un pretesto per il potente imperatore di Germania Federico di intraprendere una Crociata per la liberazione della Terrasanta. All'esito di essa non avvenne, come molti pensavano, la presa di Costantinopoli da parte del Barbarossa, ma comunque questi rinsaldò la politica filonormanna che aveva contraddistinto gli ultimi suoi anni di vita. Morì nel 1190 ma non senza prima aver assicurato un cospicuo appannaggio al suo rampollo Enrico VI: questi, infatti, sposerà Costanza d'Altavilla, unica erede al trono del regno normanno di Sicilia. Tutto ciò faceva tremare alle fondamenta l'impero bizantino: tutti i più potenti regni dell'Europa occidentale erano contro di esso; col matrimonio tra Enrico VI e Costanza d'Altavilla, il Barbarossa si era assicurato una forte e valida alleanza per un'eventuale conquista di Costantinopoli. Fortuna (per Bisanzio) volle che, come scritto sopra, lo svevo morisse durante il guado di un fiume in medio oriente nel 1190; il figlio Enrico VI, erede al trono dell'impero e del regno normanno, non gli sopravvisse molto, spirando nel 1197. Bisanzio era salva.
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