Storia e Politica

Votes taken by Seiano

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    Eccezion fatta per Dauno, vorrei sapere chi ha dato il 2° voto a Bassiano :D ...
    Oltre il fratricidio, ho studiato Caracalla durante l'esame di Istituzioni di Diritto Romano: celeberrima la sua Constitutio del 212 con la quale concesse la cittadinanza romana a tutti gli abitanti dell'impero.
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    Bisogna considerare che il mondo islamico fu anche faro di grande civiltà: dalla medicina, alla geografia all'astronomia, alla filosofia, non vi era campo dello scibile in cui non fosse stato dato un considerevole apporto da un qualche esponente musulmano. Tra questi può citarsi Abu 'Ali al-Husayn Ibn Sina, meglio noto al mondo occidentale col nome di Avicenna. Nato nel 980 presso Buchara, morì nel 1037 a Hamadan. A seguito di una serie di vicissitudini in gioventù, non poté appieno manifestare la sua immensa cultura potendosi dedicare solo in parte allo studio. Grazie alle sue opere è possibile ritenere senza ombra di dubbio, che sia stato uno dei più grandi uomini di pensiero di tutti i tempi.
    Lo stesso Avicenna diede un impulso notevole anche alle scienze mediche, creando una commistione tra le scienze di Aristotele e Ippocrate. Del primo, inoltre, diffuse il pensiero ma alla luce del movimento neopolatonico che era quello sotto il quale era meglio noto lo Stagirita: soltanto con l'avvento della Scolastica il grande filosofo greco fu ristudiato come oggi lo conosciamo.
    Vari furono i dotti musulmani che approfondirono la cultura islamica in varie branche del sapere: dalla geometria alla matematica, alla musica all'astronomia.
    Nel corso del XII sec. alla scuola di Toledo, nata sotto l'egida dei re di Castiglia, collaboravano dotti cristiani, musulmani ed ebrei: grazie ad essa nacquero la "rivoluzione scolastica", le prime università e lo sviluppo scientifico-tecnologico occidentale.
    Già durante l'Alto Medioevo era invalso l'uso dei pellegrinaggi che erano sostanzialmente di due tipi: quello devozionale e quello penitenziale. Al primo si dedicavano i pellegrini in viaggio presso un qualche santuario per fini, appunto, devozionali: uno degli esempi più celebri è quello di Sant'Elena, madre di Costantino il Grande, che si recò in Terrasanta per pregare nei Luoghi Santi e anche per reperire reliquie come quelle appartenute alla Santa Croce. Nel contempo v'era quello penitenziale, che appunto aveva scopi di "penitenza" per i peccati commessi e aveva natura espiatoria. Come, infatti, Caino dopo l'uccisione di Abele vagava ramingo senza meta, così i penitenti girovagavano in varie città senza una meta precisa sovente nudi, scalzi, con ceppi di ferro che gli legavano polsi e piedi.
    Segni caratteristici dei penitenti erano il bastone (o "bordone"), la bisaccia, le insegne del santuario cui si era diretti o dal quale si proveniva ben in vista sul copricapo o sulle vesti, le medagliette con sante effigi.
    I sovrani carolingi più volte avevano impedito i pellegrinaggi motivando ciò con motivi di ordine pubblico; nel contempo i vescovi locali inviavano questi pellegrini direttamente dal pontefice affinché fosse il successore di Pietro a decidere direttamente la loro vita da penitente fosse cessata o meno.
    Col passar del tempo la distinzione tra i due tipi di pellegrinaggi andò scemando: chi era peccatore era pellegrino viandante che si recava in qualche luogo santo per fini espiatori; ma anche chi era pellegrino per scopi devozionali era un peccatore.
    Non bisogna dimenticare che i grandi centri sacri dell'epoca erano Santiago de Compostela in Galizia nella parte nord-occidentale della penisola iberica; oltre Roma, sede della cristianità cattolica e Gerusalemme. Ma chi si recava in uno di questi Luoghi poteva pregare anche in siti intermedi, chiamati stationes: ad esempio chi passava al passo della Cisa lungo la via Francigena verso Roma, a Lucca avrebbe trovato la miracolosa effige detta "il Santo Volto", mentre ad Acquapendente un'imitazione del Santo Sepolcro di Gerusalemme e così via.
    Accanto ai santuari cominciarono a svilupparsi anche mercati aperti soprattutto in occasione delle feste patronali, mentre pie associazioni di volontariato prestavano assistenza in prossimità di guadi, valli e passi montani a messo di hospitalia, dove i pellegrini venivano rifocillati e, se malati, anche curati.
    I regni spagnoli cristiani di Leon, Castiglia, Aragona e Navarra si andavano frattanto unificando: con Ferdinando I si stabilì l'unione tra Castiglia e Leon. Nel 1085 un altro re di Castiglia, Alfonso VI, entrava in Toledo e con lui l'intero altipiano castigliano era stato conquistato dagli arabi, i quali restavano al loro posto soprattutto nelle campagne. Nel contempo anche in Catalogna e Aragona si organizzava un altro regno cristiano destinato a condividere con la Castiglia il controllo della Spagna cristiana.
    Nel breve volgere di anni alcune città italiani ben intraprendenti mossero alla volta dell'oriente mediterraneo intrattenendo fitti rapporti commerciali con Bisanzio e con molte città arabe. Bisogna aggiungere, ad ogni modo, che ben presto questo sfociò in un'intraprendenza anche militare tanto che alcune città come Pisa e Genova si unirono tra Corsica e Sardegna per muovere guerra, nel 1015-1016, all'emiro-corsaro di Deia e delle Baleari al-Mujahid; la sola Pisa, nel 1063, assaltò la città di Palermo, e nel 1087 quello tunisino di al-Mahdiyah, di nuovo a fianco dei genovesi e degli amalfitani. Alcuni storici, forse con una certa forzatura, videro in questi attacchi una sorta di "precrociate" da parte della cristianità occidentale al mondo musulmano.
    Una volta che l'Europa si era pacificata con la cessazione della lotta per le investiture tra Papato e Impero, la Chiesa volgeva lo sguardo verso un altro fronte: quello crociato verso oriente. Invero in Alvernia, presso Clermont, papa Urbano II aveva indetto un concilio in cui sollecitava la riottosa nobiltà francese a soccorrere l'impero di Costantinopoli sotto la minaccia turco-selgiuchide. Il fine della liberazione dei Luoghi Santi in Palestina, però, ancora non si era posto. Nel frattempo, però, un califfo egiziano, al-Hakem (fondatore della setta drusa e considerato eretico dallo stesso Islam), tra il 1008 e il 1009 aveva ordinato la distruzione della basilica del Santo Sepolcro; in seguito, qualche decennio più tardi, la Palestina era stata conquistata da una popolazione turca, i selgiuchidi, che convertitisi di recente all'Islam, avevano l'intransigenza dei neofiti.
    Dopo la sconfitta di Mazinkert, il pontefice si era affrettato ad organizzare una spedizione che tentasse di pacificare l'oriente cristiano e nel contempo a rinsaldare i rapporti tra le due chiese, cattolica e ortodossa, da poco uscite dallo scisma d'oriente.
    In Anatolia, nel frattempo, la situazione si era andata pacificando, mentre poco prima il concilio di Clermont, a Piacenza, nello stesso anno, si era tenuto un altra riunione indetta dal pontefice in cui l0imperatore bizantino aveva inviato un'ambasceria anche per assoldare guerrieri "franchi" (pesantemente armati) che potessero combattere al fianco di quelli bizantini.
    A Clermont l'appello del papa fu accolto dalla nobiltà prima francese e poi europea: da ogni dove i feudatari si organizzavano col loro seguito alla volta della Terrasanta anche se sulle prime la metà era la tutela delle comunità cristiano orientali.

    Originariamente quella che era una spedizione diretta verso Costantinopoli divenne una spedizione che si muoveva alla volta della liberazione della Terrasanta. Ben presto, infatti, molti di quei pellegrini che muovevano verso oriente furono indirizzati verso la Palestina al fine della liberazione della Terrasanta. Agli inizi gruppi di diseredati, errabondi, accattoni crearono moltitudini immense che di spedizione crociata avevano poco o niente: lungo il loro peregrinare verso la Terrasanta diedero luogo diverse nefandezze tra cui uccisioni, rapine, furti, violenze di ogni genere in particolare (ma non solo) contro le comunità ebraiche della valle del Reno e del Danubio. Si autorganizzarono solo quando si posero al seguito di una qualche grande spedizione diretta verso i Luoghi Santi.
    E proprio una di queste si radunò a Costantinopoli; suo capo spirituale era il legato pontificio Ademaro di Monteil, vescovo di Le Puy; i provenzali guidati da Raimondo di Saint Gilles, conte di Tolosa e marchese di Provenza; i germano-brabanzoni di Goffredo di Buglione, duca della Bassa Lorena; i fiamminghi di Roberto conte di Fiandra e i francesi di Ugo di Vermandois e Stefano di Blois; i normanni di Roberto duca di Normandia, figlio di Guglielmo il Conquistatore i normanno-italici di Boemondo, figlio di Roberto il Guiscardo.
    L’intenzione di muovere verso la Terrasanta non fu l’intento iniziale; questo dovette nascere e svilupparsi col tempo, forse anche per sollecitazione dei “poveri pellegrini” che erano al seguito della spedizione.
    Ad ogni modo nell’estate del 1098 vi fu la prima grande vittoria crociata: attraversato l’ostile deserto anatolico e sconfitte a più riprese le truppe turche che non si aspettavano un attacco così duro dai nuovi arrivati, la spedizione cristiana arrivò ad Antiochia che fu conquistata. L’effetto sorpresa fu determinante: fermo restando lo scontro interno alla compagine nemica tra sunniti e sciiti, tra turchi e arabi, i musulmani non si aspettavano minimamente che i nuovi arrivati potessero resistere e addirittura combattere durante la dura e avversa estate continentale nel deserto anatolico. Questo fu uno dei motivi per cui furono sconfitti.
    Si tenga presente che l’orda famelica dei pellegrini al seguito dei crociati era inferocita ed incrudeliti da mesi di stenti e privazioni che uniti al fanatismo religioso che li aveva sospinti fino a quelle terre tanto lontane dai luoghi di origine, ne facevano una vera e propria macchina da guerra che massacrava tutto e tutti coloro trovasse davanti al loro cammino.
    Tra la fine della primavera e l’inizio dell’estate del 1099 Gerusalemme fu conquistata: prima dell’assedio e della conquista della città il governatore musulmano aveva espulso (non fidandosi) i cristiano-orientali residenti in città; fu una carneficina in cui trovarono la morte migliaia tra musulmani ed ebrei. Molto probabile che se il governatore di Gerusalemme non avesse espulso i cristiano-orientali anche questi sarebbero stati passati a fil di spada, non venendo riconosciuti dall’orda inferocita dei “crociati”. La città fu presto ripopolata da cristiano-orientali e da altri loro correligionari siriaci e armeni; in un primo tempo, infatti, fu proibito ai musulmani di soggiornarvi.
    Quando nel 1099 Gerusalemme fu definitivamente conquistata a caro prezzo e dopo lunghe vicissitudini, ci si trovò di fronte alla nuova qualificazione giuridica da assegnare ai territori conquistati. In particolare vennero a crearsi vari principati che andavano dalla contea di Edessa al principato di Antiochia; dalla contea di Yripoli al principato di Tiberiade e Transgiordania; dalla contea di Giaffa e Ascalona a vari altri feudi minori.
    Dal punto di vista formale tutti questi feudi dovevano dipendere dipendevano dal βασιλέυς di Costantinopoli, ma i suoi rapporti con i crociati non erano dei migliori e per di più era considerato uno scismatico; si potevano assegnare i nuovi territori conquistati al papa che li avrebbe detenuti come feudi della Chiesa come la Sicilia e l’Inghilterra: ma questo avrebbe deteriorato ulteriormente i rapporti con la chiesa ortodossa. Si optò per la soluzione di nominare sovrano di quei territori Goffredo di Buglione. Questi era nato nel 1060 Baisy, nel Brabante, da Eustachio II di Boulogne e Ida, figlia di Goffredo, duca della Bassa Lorena.
    Strenuo sostenitore della causa imperiale, ottenne dall’imperatore Enrico IV la marca di Anversa (1087), alcuni territori lorenesi (1083) e la corona ducale della Bassa Lorena (1089).
    Era noto a quei tempi per la durezza e spietatezza con cui perseguitava i propri avversari: forse proprio per questo motivo si allontanò dai territori aviti in segno di penitenza e quando intraprese la marcia per liberare la Terrasanta coi fratelli Baldovino ed Eustachio, il suo corpo di spedizione ammontava a ca. 12.000 uomini.
    Nonostante la tradizione lo rappresenti come uno dei più validi e valorosi guerrieri dell’epoca, Goffredo non riuscì mai ad eguagliare in forza e valore altri principi occidentali tra i quali Raimondo conte di Tolosa, Boemondo d’Altavilla e Tobrerto duca di Normandia; si dice anche che fosse malato quando assunse il potere, prova ne fu che regnò per poco tempo.
    All’indomani della conquista di Gerusalemme fu candidato alla corona proprio Boemondo di Tolosa, uno dei signori più in vista e potenti dell’Europa occidentale; ma i normanni posero il loro veto. Ci si rese conto che per sedare ogni contrasto tra i crociati doveva essere eletto re di Gerusalemme un principe cristiano non troppo i auge: fu scelto l’introverso e debole Goffredo, al quale non fu neanche assegnato il titolo di “re” ma di Advocatus che nella nomenclatura dell’epoca designava un protettore o custode laico di un qualche ente ecclesiastico; tutto ciò faceva pensare che il Santo Sepolcro fosse possedimento della Chiesa di Roma.
    Goffredo guerreggiò valorosamente ancora per u po’ di tempo conquistando Ascalone e Guaffa; ma ammalatosi, morì 1100 a Gerusalemme. Il fratello Baldovino non perse tempo e non solo raccolse l’eredità di Goffredo ma si fece incoronare sovrano di Gerusalemme.
    Le forze che sostenevano il nuovo regno erano composte dai sovrani “franchi” che avevano combattuto per liberare la Terrasanta, dai nobili siriaco-cristiani e armeni che presto si imparentarono con i primi; dalle militiae formate dagli ordini religiosi chiamati impropriamente “Ordini religioso-militari” che univano l’attività e l’opera monastica a quella di difesa e presidio dei Luoghi Santi.
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    Gli svevi, a loro volta, occuparono la penisola iberica radicandosi in Lusitania e Galizia; i vandali, sospinti dai visigoti, abbandonarono la Betica e, attraversate le colonne d'Ercole, passarono in Africa occupando tutto il territorio facente parte della pars Occidentis dell'impero, in particolare Mauretania, Numidia, Cartagine e Africa Proconsolare sino a margine occidentale del Golfo della Sirte.
    Sant'Agostino, vescovo di Hippo Regius, o Ippona, morì l'anni prima della conquista della sua città da parte dei visigoti. I vandali dai porti africani organizzarono varie incursioni in varie isole tra cui le Baleari la Sardegna, la Sicilia e la Corsica, divenendo abili pirati del Mediterraneo.
    Non tutti gli svevi erano partiti insediandosi in Gallia e nelle penisola iberica; alcuni di loro (quadi, alamanni, senoni, marcomanni) si erano fermati nella regione attorno Augusta; i burgundi, invece, si erano stanziati un pò più a ovest come foederati di Roma, nell'area compresa tra Reno e Meno.
    La celebre saga germanica sui Nibelunghi sembra proprio trarre origine dal Nibelungenlied che proprio durante questo periodo si viene maturando; la storia della caduta del regno burgundo ad opera di Attila e dei suoi unni sembra ricalcare quella del V secolo allorquando i burgundi effettivamente furono sconfitti dagli unni all'epoca al servizio del generale Ezio. Questi, qualche anno dopo, permise ai burgundi di stanziarsi tra Saona e Rodano a difesa dei passi alpini sempre come foederati dell'impero, e fondando in regno che resse fino al 532, quando fu travolto dai franchi.
    I turingi erano una popolazione che giunse in Europa al seguito degli unni di Attila che avrebbe costituito un regno durato fino al 530 ca. quando fu anch'esso travolto dall'avanzata franca.
    Le legioni romane stanziate nelle isole di Britannia e d'Ibernia verso la metà del V sec. evacuarono lasciando il posto a popolazioni germaniche che, dalle zone basse e paludose dei fiumi Mosa, Shelda e Reno, attraversata la Manica si stanziarono in Britannia sospingendone gli abitanti locali, perlopiù celti, a Nord verso la Caledonia (Scozia), a nord-ovest verso l'Ibernia (Irlanda), a ovest verso il Galles, o a sud-ovest verso la Cornovaglia; alcuni si stanziarono nella penisola d'Armorica che dal nome degli abitanti prese, appunto, il nome di Bretagna.
    L'antica Britannia veniva occupata soprattutto dagli angli al centro e nella parte orientale dell'isola, mentre ai sassoni andava il meridione; gli juti, originari dello Jutland pressappoco corrispondente all'odierna Danimarca, si limitarono all'estremo lembo meridionale dell'isola, il Kent.
    Nella lotta che contrappose le popolazioni celtiche autoctone e gli invasori germani nacque nel XII sec. l'epica di re Artù e dei cavalieri della tavola rotonda; fermo restando i forti dubbi sull'effettiva esistenza di un sovrano con tale nome, studi storici più approfonditi hanno individuato nel capo della resistenza celtica un funzionario imperiale vissuto in quel periodo, di nome incerto: Lucius Arctorius o Aurelius Ambrosius.
    Riguardo ai franchi poco si conosce delle loro origini. La storiografia contemporanea è pressocché concorde nel ritenere che i franchi oggi conosciuti non erano un'entità etnica distinta, ma un'unione, una lega tra più popolazioni germaniche composte da sicambri, bructeri, catti, ceruschi, salii, camavi; donde anche la difficoltà di poter identificare una radice etnica comune.
    Nella seconda metà del III sec. si resero protagonisti di numerose incursioni in territorio romano di cui una delle più famose fu quella condotta nel 274-275; abili combattenti, erano valenti guerrieri sia sulla terraferma che in acqua, seppur la loro navigazione non si allontanava molto dalla costa.
    Successivamente con Diocleziano e fino alla metà del IV sec. tribù franche furono dislocate lungo il limes al servizio dell'impero per fungere da baluardo contro le eventuali e potenziali incursioni di altri popoli barbari.
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    Rientrava nella pars Occidentis la Gallia, la Spagna, l'Africa settentrionale a ovest del Golfo della Sirte, e quindi Marocco, Tunisia, Algeria e parte della Libia, la Tripolitania.
    Teodosio suddivise, quindi, l'impero in due partes: al maggiore Arcadio assegnò la parte orientale con capitale Costantinopoli, mentre al minore Onorio quella occidentale. Associò a sé il primo come Augusto nel 383, mentre il più piccolo nel 393.
    Era, secondo gli storici, ben consapevole del decadimento in cui ormai versava la pars occidentis, sempre più in balia delle ondate dei barbari; ma nello steso tempo riversò e concentrò le forze militari, il potere politico e le ricchezze economiche nella pars prientis. Pose i due figli sotto la tutela di un abile generale vandalo, Stilicone, che con sagacia e maestria seppe reggere le sorti dei due imperi sia contro le guerre intestine fomentate in occidente e oriente, sia contro gli attacchi portati dalle popolazioni barbariche che dai confini tendevano a riversarsi entro i confini dell'impero.
    Stilicone, nel tentativo di mantenere saldo l'impero, riuscì a combattere e sconfiggere due volte i Visigoti guidati dal loro re Alarico a Pollenzo nel 402 e a Verona l'anno successivo; il fatto che fosse riuscito a trovare un accordo con i barbari attirò su di sé i dubbi sulla sua lealtà all'imperatore: il debole e crudele Onorio, recependo una calunnia sul conto di Stilicone, fece mettere a morte lui e la sua famiglia, nonostante fosse il genero del generale vandalo. I Visigoti, sconvolti dalla morte dei quel condottiero che era riuscito a dare una parvenza di romanità al loro popolo e a intessere relazioni di rispetto reciproco tra i due popoli, marciarono alla volta della capitale e nel 410 la saccheggiarono. Mentre Onorio si era rifugiato nella città che dal 402 era diventata la capitale dell'impero d'Occidente, Ravenna, Alarico e i suoi uomini misero a ferro e fuoco l'Urbe, destando grave sgomento e sconcerto in tutto il mondo cristiano; basti pensare che proprio questo grave accadimento dindusse S. Agostino a scrivere la sua celeberrima opera, il De civitate Dei.
    Alarico partì da Roma portando seco la principessa Galla Placidia, sorella dell'imperatore Onorio. Recatosi nell'Italia meridionale, prima di imbarcarsi su una nave diretto in Africa, morì. Il figlio Ataulfo, occupata la Gallia meridionale e la Catalogna, sposò la principessa romana, ma anch'egli morì nel 415 prima di poter vedere conclusa il suo sogno, cioè la convivenza pacifica in una stessa organizzazione statale tra romani e goti.
    Pacificati, comunque, con l'impero, i Visigoti si stanziarono nella Gallia meridionale e nella penisola iberica. Ma questo è anche il periodo delle altre e numeroso invasioni barbariche che crearono anche nuovi nomi alle regioni e ai territori occupati dalle varie genti: i Burgundi, che si stabilirono lungo il Rodano in quella regione che da essi prese il nome di Borgogna; gli alamanni nel medio corso renano; gli angli e i sassoni nella regione della Britannia che secoli dopo avrebbe preso il nome di Inghilterra.
    Ma alla metà del V sec. un altro popolo proveniente dalle regioni steppose orientali si riversarono in Europa, in particolare in Italia dopo una sosta nella penisola balcanica e un'incursione in Gallia: gli Unni. Guidati dal principe che la storia avrebbe conosciuto col nome di Attila, divenuto celebre nei secoli a venire per la sua straordinaria ferocia, gli Unni non erano un popolo ma una federazioni di genti germaniche, nord-iraniche e slave.
    In difesa dell'impero accorse un altro abile e valente generale di origine illirica, Ezio, al servizio dell'imperatore Valentiniano III: di questi l'unno Attila aveva chiesto in sposa la sorella Onoria. Nel 451, presso i Campi Catalaunici, l'odierna Chalons-sur-Marne, Ezio inflisse una dura sconfitta ad Attila e al suo esercito che però non ottenne l'effetto sperato, inducendo il condottiero barbaro a ripiegare verso l'Italia. Presso il fiume Mincio nel 452, inspiegabilmente il sovrano barbaro si arrestò: la tradizione cristiana vuole che papa Leone I gli fosse andato incontro e che, vedutolo, Attila avesse scorto l'arcangelo Michele con una spada fiammeggiante alle spalle del pontefice; più realisticamente Attila temeva una controffensiva degli eserciti della parte orientale dell'impero che lungi dal prestare soccorso ai fratelli occidentali, temevano un riversamento delle orde barbariche di Attila verso i loro territori a est.
    Ad ogni modo il principe unno si ritirò nel suo leggendario accampamento in Pannonia dove qualche anno dopo morì.
    Se si era evitato, con l'intervento di Ezio, un nuovo attacco alla capitale (almeno formale) dell'impero, il secondo sacco dell'Urbe si ebbe con il sovrano vandalo Genserico che con le sue navi salì lungo il Mediterraneo giungendo a Roma. Questo secondo sacco, più drammatico di quello avvenuto 45 anni prima ad opera di Alarico, fu motivato dall'indignazione di Genserico alla notizia della elezione ad imperatore di Petronio Massimo, un intrigante funzionario imperiale già al servizio di Valentiniano III che l'anno prima aveva indotto lo stesso imperatore a uccidere Ezio con le sue stesse mani.
    Ad ogni modo non bisogna pensare che i barbari avessero come priorità e finalità ultima l'occupazione di Roma e la conquista dell'impero; essi ne erano al contempo affascinati e intimoriti e facevano di tutto per inserirsi nei gangli del potere a Roma. Il fatto, ad esempio, che molti sovrani barbari volessero imparentarsi con gli imperatori ne è una prova; così come il fatto che fossero ormai in voga in quel periodo istituti come l'hospitalitas o la foederatio, o ancora che venissero adottati titoli onorifici come quello di patricius o un cognomen altisonante come Flavius.
    Fu per l'appunto un barbaro, l'erulo Odoacre, che nel 476 pose fine a quella commedia di imperatori fantoccio che reggevano le sorti dell'impero d'Occidente. Odoacre uccise Oreste, già ex segretario di Attila, assurto agli o ori della gloria diventando comandante dell'esercito; sarebbe dovuto divenire imperatore suo figlio Romolo ma Odoacre, con un'abile mossa, lo destituì mandandolo in esilio; le insegne imperiali furono inviate dal sovrano erulo all'imperatore d'Oriente Zenone, col messaggio che un solo imperatore bastava per tutto l'impero. Ad Odoacre fu assegnato il titolo di patricius, il più alto funzionario dell'imperatore incaricato di governare l'Italia; un sovrano effimero ignaro che di lì a qualche anno, nel 493, un altro sovrano barbaro, Teodorico, lo avrebbe destituito e ucciso.
    Ma non solo i Visigoti, gli Unni furono le popolazioni che si riversarono entro i confini dell'impero devastandolo pur non avendo alcuna intenzione di abbatterlo definitivamente; esse sono prevalentemente di ceppo germanico, dovendosi distinguere tra "germani orientali" e "occidentali".
    I Vandali erano una popolazione germano-orientale proveniente dal territorio tra Slovacchia e Transilvania. Tra il 406 e il 409 passarono il Reno che Stilicone aveva dovuto sguarnire per fronteggiare i goti e di lì, attraverso la Gallia, giunsero nella penisola iberica con alcuni suebi (o svevi) occupando l'area occidentale (Galizia, Lusitania, Betica, che da essi assunse il nome di Vandalucia, l'odierna Andalusia).
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    In particolare l'albero sacro (chiamata Yggdrasil) rappresentava il rapporto cosmogonico tra il mondo materiale e quello ultraterreno.
    Quanto ai rapporti sociali ciascuna comunità germanica era composta da più famiglie legate fra loro da rapporti di parentela (Sippe); in genere non esisteva la proprietà privata e i beni immobili erano gestiti comunitariamente. Più Sippen, costituitesi su una determinata area territoriale detta gau o pagus, si identificavano in un'entità superiore che si potrebbe definire "popolo" del tutto simile alla civitas romana. Ciascun popolo aveva i suoi uomini liberi, deputati a portare le armi; presso i longobardi, ad esempio, essi erano gli arimanni; tra questi gli adelingi erano coloro che possedevano nobiltà di sangue e che erano deputati ad eleggere il re. Al di sotto degli arimanni erano gli haldii ( o semiliberi), fino a giungere agli schiavi.
    Ad ogni modo dal IV sec. la situazione ai confini dell'impero era divenuta insostenibile. Pressati da una popolazione uralo-altaica identificata in seguito a quella unna, molte popolazioni di stirpe germanica era sospinta ai confini del limes renano e danubiano: popoli riconducibili ai visigoti, franchi, sassoni, svevi, burgundi, vandali erano ormai alle porte dell'impero.
    Verso la fine degli anni '70 del IV sec. sospinti da altre popolazioni e a seguito della grave crisi politica al vertice del potere politico, i visigoti sconfissero nella famosa battaglia di Adrianopoli l'imperatore Valente. Tutto ciò fu sufficiente per sentire la necessità di effettuare un radicale mutamento del sistema politico imperiale a Roma.
    Proprio in quel periodo quando ascese al potere nella pars Occidentis Graziano, ad Oriente fu eletto Augusto un altro militare, Teodosio. Questi, consapevole dei vantaggi che poteva trarne assorbendo il popolo dei visigoti nelle fila del suo esercito, concesse loro terre da coltivare, stanziandoli nella regione della Pannonia. In alcuni casi, però, la concessione di fondi da coltivare ai barbari anche mediante atti di esproprio diede luogo a casi di intolleranza da parte delle popolazioni indigene. Un Pare che un caso del genere fosse accaduto proprio a Tessalonica dove a seguito dell'uccisione di un comandante goto, Teodosio ordinò il massacro di 7000 tessalonicesi, colpevoli solo di assistere ad una corsa di carri.
    Teodosio dovette fare pubblica ammenda anche perché obbligato dal vescovo di Milano Ambrogio; ma in ogni modo l'imperatore d'Oriente aveva raggiunto il suo scopo: dimostrare la presenza di una forte autorità centrale sia in campo politico che religioso. Non a caso proprio con Teodosio vengono perseguitate le ultime presenze pagane nell'impero d'Oriente.
    Graziano, il collega di Teodosio nella pars Occidentis dell'impero, moriva durante la lotta con l'usurpatore Magno Massimo, un generale iberico di umili origini acclamato dalle legioni di Gallia e Spagna. Dapprima preso a fiducia dall'Augusto d'Occidente, Valentiniano II, troverà la morte nella lotta contro lo stesso Teodosio. Almeno formalmente la diarchia veniva mantenuta, perlomeno fino a quando nel 392 l'Augusto d'Occidente, Valentiniano II, muore assassinato forse ad opera del suo ministro franco Arbogaste. Teosodio mantenne il potere fino al 395 quando, a seguito di una malattia che lo colse all'improvviso e repentinamente minò il suo stato di salute, decise di ritornare al sistema diarchico già posto in essere dal suo predecessore Diocleziano. Si creò, quindi, una pars Orientis dell'impero, formata dall'Egitto, Vicino Oriente, Anatolia, e Balcani; e una pars Occidentis, composta dai territori a ovest della penisola italica.
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    Fra IV e III sec. a.C. la regione compresa tra la Transilvania, i Carpazi orientali e il Mar Nero era stata interessata da migrazioni di popolazioni di stirpe scitica e celtica; dal punto di vista etnica essa era composta da geti e daci, anche se il ceppo originario era abbastanza omogeneo. Parlavano una lingua simile al tracio, ma erano caratterizzati da un'impronta culturale di tipo scitico. A loro volta gli sciti erano un popolo nomade di stirpe nordiranica, abilissimi cavalieri ed arcieri, dediti a cerimonie di tipo sciamanico che prevedevano stati di estasi indotta da sostanze allucinogene. I geto-daci avevano sviluppato le loro tecniche militari grazie al contatto con altri gruppi nomadi di ceppo sarmatico come gli iagizi e i roxolani.
    Gli sciti si svilupparono nel continente eurasiatico nel I millennio a.C.; costituivano una serie di tribù guerriere accomunate dalla religione, dalla tecnica militare, nonché quelle dell'allevamento del cavallo da guerra e la grande maestria come orefici e fabbri.
    Accanto ai sciti vi erano i sarmati che, ma ciò è ancora oggetto di ampio dibattito, apparteneva alla gente degli iazigi, la famosa popolazione nomade che si scontrò con Traiano nel II sec. d.C.
    Parte dei sarmati si stabilì nel territorio compreso fra il Don, l Mar d'Azov e il Caucaso, altri (i roxolani) si impiantarono più a ovest, tra il don e il Dnepr.
    Nel I sec. vi fu il primo contatto tra i Romani e i Sarmati di cui gli storici romani esaltavano la forza militare, determinata dal loro modo di combattere a cavallo, e pesantemente armati. Passando attraverso l'Azerbaigian, tentarono di instaurarsi in Cappadocia. L'arte della lavorazione del metallo, oltre a fornire ai sarmati efficaci armamento, consentiva la fabbricazione di guaina per il corpo e la testa modellate in ferro, bronzo, corno e cuoio.
    Il contatto tra le popolazioni di etnica germanica e quelle seminomadi delle steppe eurasiatiche determinò uno spostamento e una continua pressione lungo il limes che portò necessariamente l'impero ad intraprendere lunghe guerre difensive lungo i confini territoriali. Gli scrittori del I sec. d.C. (in primis Tacito) descrivevano la tecnica militare delle tribù germaniche sostanzialmente fondata sulla fanteria o meglio in reparti peculiarmente appiedati; solo in seguito, grazie ai repentini cambiamenti climatici e alla pressione sempre maggiore esercitata su di loro da parte delle tribù delle steppe, i Germani cominciarono a spostarsi e a premere, a loro volta, lungo i confini dell'impero.
    Fino al II-III sec. d.C. i barbari per eccellenza erano stati i persiani e gli sciti, ai quali si tributavano connotati di ferocia e la dedizione a esoterici culti magici. Ad ogni modo col passar dei secoli la pressione delle popolazioni germaniche lungo i confini si fece sempre più forte, spinti a loro volta da imponenti migrazioni di popoli uralo-altaici provenienti dalle steppe asiatiche mossi verso Occidente forse per le proibitive condizioni climatiche dei territori interni ove essi erano si erano stabilizzati.
    Fu così che i germani, penetrando all'interno dell'impero, divennero ausiliari dell'esercito romano passando da pastori e cacciatori nomadi e seminomadi a agricoltori, contribuendo in parte ad arginare lo spopolamento delle campagne.
    Per ciò che concerne le divinità germaniche è opportuno ribadire, come accennato sopra, alla loro similitudine con alcune divinità di stampo latino o greco: per cui Odhinn-Wotan è equiparato a Hermes-Mercurio, mentre Thor con Ares-Marte.
    Tacito ci narra che nel I sec. i Germani non avevano una casta sacerdotale, né riti religiosi, né santuari in cui pregare. Questo non è del tutto vero in quanto ai tempi dello storico romano pur se non vi erano vere e proprie rappresentazioni antropomorfe delle divinità, comunque una loro rappresentazioni "naturale" pur sempre vi era; ecco il motivo per cui gli alberi e i boschi sembrano aver avuto un ruolo centrale nei miti e riti dei popoli germanici.
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    Protagonisti della liturgia ebraica erano i sacerdoti; ma il sacerdozio terminò con la conquista di Gerusalemme ad opera dell'imperatore Tiuto nel 70 d.C. e la successiva "diaspora" (=dispersione) delle varie comunità ebraiche. I cristiani delle origini cooptarono la liturgia ebraica e ricostituirono il sacerdozi, prendendo a modello il Cristo che aveva istituito i sacramenti come segni sensibili del conferimento della Grazia divina.
    All'interno del clero la suddivisione fu effettuata fra ordini (canonici) "minori (ostiario, lettore, esorcista, accolito), e "maggiori" (suddiacono, diacono, sacerdote). I "presti", cioè "i più anziani", divennero sacerdoti; la "santa cena", cerimonia memoriale dell'Eucarestia, divenne la vera e propria Messa.
    Un elemento di notevole rilievo si ebbe tra il IV e V secolo allorquando il clero cristiano acquisì un potere e prestigio non solo nell'ambito spirituale tra le varie confessioni religiose, ma anche dal punto di vista politico: ormai la classe senatoriale, entro cui si erano rifugiati gli ultimi esponenti del paganesimo, si disinteressava sempre più alla vita politica e a ciò che accadeva nella comunità statale, rifugiandosi nell'otium, nel ritiro filosofico-religioso; ciò a tutto vantaggio della dinamica classe equestre e dei militari, maggiormente dedita al negotium, cioè all'interesse e all'impegno sociale. Dal canto suo il clero cristiano stava acquistando sempre più influenza nella vita sociale e politica dell'epoca, colmando quel vuoto lasciato dall'aristocrazia senatoriale sempre più chiusa nei suoi interessi di classe.
    Tipico esempio è quello di Cassiodoro, dapprima senatore e poi primo consigliere del re ostrogoto Teodorico che mirava ad una vera e propria integrazione tra l'elemento romano e quello goto finché, dopo un'intensa attività politica, si ritirò a vita monastica fondando il monastero di Vivarium in Calabria. Durante il suo ritiro spirituale nel cenobio da lui stesso fondato coltivò lo studio delle 7 arti liberali (grammatica, retorica, dialettica, matematica geometria, astronomia, musica), tendendo a fondare la cultura cristiana su quella classica.
    Nel De Doctrina christiana, S. Agostino asseriva che solo mediante la conoscenza della cultura classica era possibile conoscere e apprendere a pieno le Sacre Scritture.
    Ad ogni modo le aree rimaste nella pars Occidentis rimasero estranee alle dispute filosofiche che si erano svolte nel mondo bizantino e nelle regioni africane che imperversavano con il monofisismo e il donatismo; solo con Pelagio si riaccese una disputa che imperversò nell'impero d'Occidente. Il monaco irlandese confutava la tesi secondo la quale l'uomo era peccatore fin dalla nascita con il peccato originale; se si fosse ammesso ciò sarebbe venuto meno il concetto stesso di libero arbitrio.
    Le sue teorie furono condannate nel 412 in un sinodo africano, nel 416 a Roma e infine nel 431 a Efeso. Strenuo oppositore di Pelagio fu S. Agostino, fautore della tesi della "predestinazione" dell'individuo a mezzo della "grazia divina". Ma nonostante neanche la tesi del vescovo d'Ippona fosse completamente accetta dalla Chiesa latina, essa fu comunque un caposaldo nello sconfessare e condannare di eresia il movimento pelagiano.
    Il Clero era suddiviso in secolare (destinato a restare nel saeculum cioè nel mondo, a contatto con i fedeli), e regolare (destinato a organizzarsi in ordini monastici, ciascuno osservante un'insieme di norme chiamate Regola).
    Il movimento cristiano si era sviluppato intorno a due aspirazioni all'apparenza diverse: da un lato quella che tendeva a rifuggire il lusso, la ricchezza e tutti i piaceri terreni per applicare in concreto la Parola del Messia; dall'altro, invece, l'isolamento dal mondo circostante e il totale isolamento da esso rifuggendo le tentazioni del mondo circostante; a questo secondo aspetto del cristianesimo apparteneva il movimento chiamato "monachesimo". Esso si sviluppò in Oriente, in particolare dal III sec. in Egitto, Siria e Palestina; in alcuni casi i monaci (dal greco μόνος = solo, solitario), non si allontanavano dalle città per vivere in completo eremitaggio ma si ponevano su alte colonne isolati da tutto il mondo circostante (gli stiliti).
    Ad ogni modo la Chiesa non vedeva di buon occhio questi movimenti che in alcuni casi davano luogo anche a situazioni fortemente stravaganti (si pensi al caso degli stiliti su descritti); al contrario venivano incentivate le congregazioni monacali ccdd. cenobitiche cioè della vita in comunità, di cui uno dei primissimi esempi fu quella di San Pacomio che fondò un monastero nell'alta Tebaide in Egitto. Un altro grande centro monastico fu quello fondato da S. Basilio il Grande in Cappadocia.
    Il carattere pragmatico del monachesimo si sviluppò rapidamente nell'Occidente cristiano anche per la funzione soci-politica che assunse: sempre più, a seguito delle invasioni barbariche le città erano diventate insicure e la massa della popolazione si era rifugiata nelle campagne all'interno delle villae, simili a fortezze-fattorie.
    Ad ogni modo la Chiesa stava facendo proseliti anche al di fuori del limes: chiese cristiane erano state fondate anche in India, Persia, Etiopia e Cina.
    Non bisogna dimenticare, ad ogni modo, il grande influsso dato da S. Patrizio nella diffusione del cristianesimo nella sua natìa Irlanda, il cui movimento monastico riprendeva anche tradizioni celto-iberniche pagane.
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    Secondo lo Gnosticismo Gesù è un Eone divino, inviato all'uomo per indicargli la strada della salvezza spirituale mediante l'ascesa al Pleroma attraverso la morte (Basilide).
    Il cristianesimo dovette anche fare i conti con un altro movimento di pensiero chiamato Manicheismo dal principe persiano Mani (216-277) che fondeva elementi cristiani, gnostici e zoroastriani. Lo stesso principe Mani morì martire di una persecuzione scatenatagli contro dai sacerdoti mazdei (zoroastriani); ma i principi ispiratori della sua filosofia ben si adattavano alla spiegazione di alcune pagine del Vangelo di Giovanni o dell'Apocalisse. Ad ogni modo, grazie al movimento sorto e sviluppatosi in seno alla Chiesa delle origini della Patristica tendente fissare i dogmi dell'ecumene cristiana e grazie, non da ultimo, anche ai deliberati conciliari, venne definita "eresia" qualsiasi interpretazione eterodossa delle Sacre Scritture e "eretico" chi seguiva tale errata lettura delle stesse.
    Tra queste, ad esempio, il modalismo di Sabellio secondo il quale i tre componenti della Trinità non sono persone ma modi transitori di esprimersi della Divinità; o il docetismo, che negava la realtà materiale della sofferenza e della morte di Gesù sula Croce ma le riteneva solo apparenti.
    Ma certamente il movimento ereticale più importante nel corso del IV secolo fu quello ariano. Esso prende il nome dal vescovo Ario d'Alessandria secondo il quale Gesù Cristo era il Figlio prediletto di Dio a Lui simile ma non identico; in questo modo gli si negava la natura divina.
    La tesi ariana fu discussa nel concilio di Nicea e fu respinta contestualmente alla redazione di un documento ufficiale, il Simbolo Niceno, il cui testo verrà poi trasfuso nel famoso credo niciano-costantinopolitano professato durante la messa dopo l'omelia. Grazie alla teoria della consustanzialità pur restando 3 diverse Persone, il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo erano compartecipi di un'unica sostanza, mentre nella Persona del Cristo convivevano due Nature, l'umana e la divina.
    Accanto a quella ariana si svilupparono anche altre dottrine che successivamente furono dichiarate eretiche; fra queste quella nestoriana, da Nestorio, patriarca di Costantinopoli tra il 418 e il 421, secondo cui in Cristo erano compresenti due nature, quella divina (Dio) e quella umana (Gesù di Nazareth).
    Ancora, il monaco greco Eutiche con il suo monofisismo negava qualsiasi natura umana del Cristo rafforzando la tesi secondo cui nel Messia era presente solo la natura divina.
    Grazie a diversi concili si tentò di debellare o quanto meno arginare le varie eresie che sorgevano nei primi secoli di nascita del cristianesimo; contro l'arianesimo, quindi, ci si mosse col concilio di Nicea nel 325; il nestorianesimo fu condannato in quello di Efeso (431) in cui fu fissato anche il culto di Maria Vergine e di considerarla come Madre di Dio (θεοτόκος); contro la dottrina monofisita, invece, ci si mosse col concilio di Calcedonia (451).
    Certo non si può pensare che pochi concili potessero avere la forza di debellare definitivamente qualsiasi movimento ereticale sorto in seno alla chiesa cristiana delle origini. Si tenga presente che, poi, le suddette eterodossie fiorirono proprio durante il periodo in cui si rafforzava la divisione tra pars Occidentis e pars Orientis dell'impero romano.
    I vari missionari cristiani che avviavano una capillare opera di proselitismo al di fuori dei confini dell'impero diffusero questo quella dottrina teologica a seconda del loro orientamento: troviamo, ad esempio, che l'arianesimo attecchì principalmente presso i Germani, in particolare grazie all'apporto dato da Ulfila che diffuse l'arianesimo presso i Goti; i monofisiti si diffusero principalmente in Siria, Egitto ed Etiopia; i nestoriani in Medio Oriente, Arabia, Mesopotamia, Persia fino all'India e alla Cina.
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    Sintomatico cosa scriveva l'imperatore Teodosio nel 380 nell'editto di Tessalonica: "Vogliamo che tutti i popoli a noi soggetti seguano la religione che l'apostolo Pietro ha insegnato ai romani".
    Bisognava, poi, riorganizzare la struttura della Chiesa, suddivisa in una quantità di Chiese diocesane; nel contempo fissare bene la sostanza della fede nonché delle verità rivelate (oggetto della Rivelazione) e perciò sottratte alla discussione filosofico-razionale (i dogmi).
    Ogni diocesi era retta da un vescovo; i prelati (fra i quali si distinguevano i patriarchi delle 4 diocesi più importanti del mondo cristiano in quanto ritenute fondate da Apostoli e cioè Roma, Costantinopoli, Antiochia e Alessandria), si riunivano in assemblee sia generali che territoriali dette concili per discutere di questioni di carattere spirituale, pratico, che toccavano tutti i fedeli appartenenti alla comunità cristiana universale o locale.
    I concili potevano essere sia ecumenici, che riguardavano la Chiesa universale, che regionali, afferenti la comunità cristiana di alcune diocesi che si riunivano attorno quelle che ne era la più importante, detta metropolitana.
    Ai sinodi, che riunivano il clero di una diocesi, era affidata la disciplina interna di una singola diocesi.
    Il primo concilio ecumenico si tenne a Nicea nel 325 e fu discusso alla presenza dell'imperatore Costantino. Per il fatto che la Chiesa, con la svolta cesaropapista di Costantino divenne un'organizzazione all'interno dello Stato, fu giocoforza trattare questioni oltre che spiccatamente religiose anche di natura civile se non addirittura con risvolti politici.
    Le questioni attinenti l'interpretazione delle Sacre Scritture, del rapporto col divino, della natura del Cristo, furono tutti argomenti che interessarono i prelati che parteciparono al concilio di Nicea e a quelli successivi.
    C'è da aggiungere che fin dal suo nascere il cristianesimo era dovuto entrare in contatto con le filosofie orientali di tipo ellenistico; tra queste quelle facenti capo alla Gnosi.
    La Gnosi (parola di etimo greco che significa "conoscenza") era strettamente connessa con la fase di iniziazione alla conoscenza del soprannaturale; secondo questa teorica in linea di principio la conoscenza iniziaticamente acquisita era condizione indispensabile per la salvezza dell'anima. Sempre in linea di principio, quindi, gli gnostici non accettavano la fede in quanto avrebbe sviato loro dalla vera conoscenza che porta alla salvezza dell'anima.
    Secondo la Gnosi, che aveva cooptato alcuni principi presenti nel neoplatonismo, il cosmo si fonda sull'eterna lotta tra lo Spirito e la Materia. La pienezza dell'entità divina si fonda sul Pleroma, da cui emanano le entità spirituali dette Eoni; ma un essere inferiore, il Demiurgo, ha modellato la Materia in modo da costituire il mondo inferiore, nel quale le forze spirituali vengono imprigionate.
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    Ad ogni modo il paganesimo non fu sradicato del tutto dopo Costantino e Teodosio; al contrario, la Chiesa di Roma volle in n certo qual senso diventarne erede anche e soprattutto per la forte influenza che ancora esercitava nei villaggi e presso il popolino.
    Nella Chiesa cristiana i fedeli erano riuniti attorno i presbiteroi, cioè gli anziani della comunità cristiana, cui spettava l'insegnamento delle Sacre Scritture, in particolare dei Vangeli e la celebrazione memoriale della Santa Cena, in ricordo di quanto aveva fatto Gesù insieme con gli Apostoli.
    In ogni modo le Sacre Scritture cristiana traevano la loro origine da quella ebraica (Il Vecchio Testamento) cui se ne aggiunsero ben presto delle altre (Il Nuovo Testamento), composto dai 4 Vangeli scritti dai più fedeli apostoli di Gesù, Matteo, Marco, Luca e Giovanni, cui si aggiunsero gli Atti degli Apostoli, scritti dall'apostolo Luca, e le Lettere degli Apostoli, attribuite a Paolo, Giacomo, Pietro, Giuda, Taddeo e Giovanni; infine l'Apocalisse, scritta molto presumibilmente dall'evangelista Giovanni.
    La lingua adoperata per i Vangeli era la koiné dialektos, il greco usato nella civiltà ellenistica. Riguardo loro la datazione, inoltre, vi è discordanza di vedute: basti pensare che l'Apocalisse viene da alcuni studiosi datata nella seconda metà del I sec., per altri a II sec. inoltrato. Vi furono, inoltre, vari traduzioni delle Sacre Scritture, in africano e in italico; ma certamente quella che è rimasta maggiormente impressa nei secoli è stata quella di S. Girolamo che tra il 385 e il 405 redasse la Vulgata., traducendo dall'ebraico in latino il Vecchio Testamento e dal greco in latino il Nuovo.
    Ma accanto ai Vangeli detti canonici se ne affiancarono altri, definiti apocrifi. Il canone biblico, cioè la sequenza dei testi dichiarati canonici, si ebbe soltanto col Concilio di Trento nel 1546. Tuttavia molti erano soprattutto i Vangeli diversi da quelli dei 4 evangelisti e le Apocalissi diversa da quelle di Giovanni. che venivano variamente consultati e citati.
    Durante questo periodo vi furono diversi interventi da parte della fazione pagane e di quella cristiana: in particolare tra quest'ultima si diffuse l'Apologetica, cioè il movimento dottrinale che difendeva la Chiesa cristiana delle origini.
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    CITAZIONE (manfred.r @ 21/2/2016, 18:19) 
    Ben arrivato! Più siamo,meglio é

    Che è come dire cchiù simm', cchiù bell parimm :P
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    Nonostante ciò tra il II e III sec. d.C. vi fu un periodo di pacifica tolleranza verso la nuova religione fino a quando l'imperatore Decio, nel 250, scatenò una dura persecuzione. 5 anni più tardi fu la volta di Valeriano che colpì i responsabili delle Chiese, cioè i capi delle singole comunità locali al fine di costringerli a partecipare ai riti del culto imperiale. Si ritiene, ad ogni modo, che i provvedimenti adottati non abbiano mai avuto piena esecuzione.
    Nel 260, ad opera dell'imperatore Gallieno cessarono le persecuzioni e si aprì un quarantennio di pace.
    Ma fu con Diocleziano e con il suo famoso editto del 303 che le persecuzioni anticristiani raggiunsero il loro apice. Ciò fu causato anche dal fatto che sempre più la nuova religione stava acquisendo proseliti presso le classi abbienti e in particolar modo nei ranghi dell'esercito. Anche dopo il ritiro di Diocleziano a vita privata le persecuzioni continuarono fino all'editto emanato dal suo collega Galerio nel 311. Dopo la guerra civile che oppose i due schieramenti di Massenzio e Costantino quest'ultimo, risultato vincitore, insieme al collega Licinio, emanarono nel 313 il celeberrimo editto di Milano con cui veniva garantita libertà di culto a tutte le religioni dell'impero.
    Il movimento cristiano postcostantiniano ha ritenuto che lo stesso imperatore, prima di morire, chiedesse di essere battezzato. Più verosimilmente si ritiene che Costantino abbracciasse tutte le religioni, compresa quella cristiana, conscio anche del fatto che data la sua rapidissima espansione, non era possibile ormai prescindere da essa, ma nello stesso tempo era importante anche "guidarla": ne è prova il fatto che nel 325 avesse indetto il concilio di Nicea, primo grande concilio della storia in cui si discussero temi importanti come il conflitto tra i vari movimenti all'interno della Chiesa (primo fra tutti quello ariano).
    Il IV secolo ebbe l'ultimo rande conflitto nel 357 quando Costante II, che successe a Costantino, fece rimuovere l'altare sacro ove i senatori erano usi rendere omaggio bruciando grani d'incenso.
    Fra 361 e 363 si innescò una nuova spirale anticristiana con la salita al potere dell'imperatore Giuliano che la tradizione cristiana successiva dipinse a fosche tinte. In effetti Giuliano, che era successo a Costanzo II privo di eredi, fu un imperatore pio, devoto, magnanimo e un saggio amministratore; dapprima cristiano, successivamente si rivolse al culto mitraico del sole grazie anche a una educazione ricevuta di stampo neoplatonico.
    Fu per questo definito l'Apostata, a riprova del fatto che abiurò il cristianesimo per tornare ai culti pagani. Nei fatti, ostacolò i cristiani all'accesso alle cariche pubbliche, combatté il cristianesimo con dotti trattati, ma non fece mai vere e proprie vessazioni.
    Dopo Giuliano la Chiesa prese il sopravvento grazie all'imperatore Graziano guidato dal consiglio del vescovo di Milano, Ambrogio. Prima di tutto non si fregiò del titolo di pontifex maximus ed eliminò molti privilegi concessi al collegio sacerdotale, comprese le varie esenzioni fiscali di cui godevano i sacerdoti; inoltre fece rimuovere dalla curia del senato la statua della Vittoria.
    Teodosio, invece, definì il cristianesimo religione di Stato.
    Anche Magno Massimo, che gestì tumultuosamente il potere in Occidente dopo la morte di Graziano, fece giustiziare nel 385 il vescovo Priscilliano, reo di aver fondato una dottrina cristiana di stampo ereticale.
    Nel 391-392 i culti pagani vennero condannati e proibiti nell'impero. Negli anni successivi in Oriente (soprattutto in Egitto con i circumcelliones, veri e propri assassini) si accanirono nella distruzione degli antichi luoghi di culto e contro gli stessi pagani ancora rimasti; si assistette, in sostanza, ad una persecuzione dei cristiani più radicali contro gli epigoni degli ultimi residui di paganesimo.
    Ancora nel 397 Arcadio, imperatore d'Oriente e figlio di Teodosio il Grande, decretò che i materiali ottenuti dalla demolizione dei santuari e templi pagani venissero utilizzati per l'edificazione di opere pubbliche.
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    In particolare i il culto per quest'ultima divinità era già in uso nelle regioni orientali e meridionali dell'impero. Il carattere febbrile ed orgiastico dei bacchanalia portò le autorità a proibirli ben presto col senatus consultum de bacchanalibus del 186 a.C. per motivi sia di ordine pubblico che di carattere morale.
    A partire dal I sec. a.C. Roma conobbe altri culti misterici maggiormente improntati alla segretezza e al carattere privato anziché pubblico. Durante questa fase ciò che premeva era la salvezza individuale e l'immortalità dell'anima. Ma al di là del carattere escatologico di tali culti misterici, il carattere provato di essi provocò l'ostilità della classe aristocratica legata com'era alla religione tradizionalista ed impersonata dall'istituzione senatoriale.
    I Misteri della divinità indoiranica di Mithra ebbero una rapida diffusione in Roma, importati, forse, giuà dal I sec. d.C. a seguito delle campagne militari condotte nel vicino Medio Oriente. Trattandosi di un culto strettamente iniziatico non ebbe molti risvolti politico-istituzionali a differenza di quello introdotto da Settimio Severo e da sua moglie Giulia Domna, continuato da loro figlio Caracalla, fino a concludersi con Eliogabalo (Antinino Bassiano), nipote di una sorella di Giulia Domna. Quest'ultimo, infatti, introdusse a Roma il culto del Sol comes invictus con cui si ebbe la effettiva orientalizzazione della corte e dell'intera compagine imperiale.
    L'imperatore Aureliano era originario dell'Illiria dove i culti per il dio sole erano già molto diffusi; la sua stessa madre doveva essere una sacerdotessa di Helios. Durante le campagne in Siria visitò la città-stato di Palimira e quella di Emesa dove l'adorazione del dio solare El Gebal-Baal era gi nota.
    La "solarizzazione" dei culti ellenistico-romani fu importata anche nell'impero d'occidente, in particolare nei territori celto-gallici e in quelli germanici. Si assistette ad una sovrapposizione tra la religione indigena e quella di matrice orientale: il dio celtico Belenos poteva venir identificato con Helios-Apollo; quello germanico Wotan con Hermes-Mercurio, e così via.
    Ben presto il passo di identificare gli imperatori con origini divine fu breve; da non dimenticare che già qualche secolo addietro Alessandro Magno aveva orientalizzato e divinizzato la sua persona. Con l'identificazione degli imperatori al Sol Invictus di matrice orientale si conclude la loro elevazione al rango di semidei.
    Ma come tutti sappiamo già dal I sec. d.C. si diffuse in ogni luogo dell'impero, partendo dalla Galilea, una religione che sarebbe destinata a durare nei millenni e che ridusse notevolmente l'adorazione dei culti pagani: il Cristianesimo.
    Grazia alla Novella di Gesù Cristo, Messia e Cristo secondo la nuova religione, ben presto si diffuse in ogni parte dell'impero. In Italia si presume che giunse grazie agli scali delle navi provenienti dal Medio Oriente, in particolare dalla Galilea. Grazie al navigabilissimo canale d'Otranto, il nuovo culto giunse a Brindisi donde si diffuse in tutto il Mezzogiorno d'Italia tramite la via Appia, la Traiana, la Popilia, l'Herculea, la Domitiana, la Salaria, la Valeria, la Latina, città che congiungevano vari centri centro-meridionali con Roma.
    Per quanto riguarda i viaggi condotti dai SS. Pietro e Paolo per svolgere attività di proselitismo sono oscuri per quanto riguarda il primo, mentre sul secondo è noto che toccò Siracusa, Reggio Calabria, e Pozzuoli prima di giungere a Roma e subire il martirio nel 67 d.C.
    Per quanto riguarda il Nord Italia le notizie sono più esigue. Si sa che nel resto del Mediterraneo, grazie anche alle rotte navali, le isole che ci hanno lasciato tracce del protocristianesimo sono Creta, Cefalonia e la Sicilia. In Occidente la nuova religione si diffuse nella provincia senatoria della Betica e in Gallia, nelle località che costeggiano il Rodano.
    Nata originariamente in seno alla religione giudaica, ben presto il cristianesimo ebbe vita propria grazie anche alla coraggiosa opera di proselitismo che seppe fare Paolo di Tarso. Secondo lui, l'identificazione di Gesù, il Messia (in greco il Cristo) come Uomo e Figlio di Dio riguarda non solo il giudaismo, ma tutti i popoli della Terra.
    In breve tempo la nuova religione divenne invisa al potere costituito, in primis agli imperatori. Come poteva accettarsi, infatti, che tutti gli uomini venissero considerati uguali di fronte al Signore e nello stesso ammettere l'esistenza di una vita ultraterrena in cui si sarebbe ottenuta la vita eterna? Come era concepibile che si dovesse rendere conto a un Dio e non al sommo imperatore? Per questi motivi già nel 49 d.C. Claudio emise un editto col quale si scacciavano gli Ebrei dalla città, non si sa se arginare la nuova religione o perché lo stesso cristianesimo stavano facendo proseliti nell'Urbe. Analogamente fece Nerone quando nel 63 d.C. dispose la persecuzione dei cristiani accusandoli, secondo alcune fonti, ingiustamente di avere dato alle fiamme la capitale dell'impero.
    E' emblematico che Plinio il Giovane, nel 112 d.C. chiedesse istruzioni all'imperatore Traiano su come comportarsi con i cristiani che ormai proliferavano nella provincia da lui governata e che si rifiutavano di eseguire l'adoratio del sovrano (Plinio era governatore della Bitinia, n.d.f.). Plinio rispose con un rescriptum in cui invitò il praeses Bitiniae a non adottare nessuna iniziativa nei confronti degli adepti della nuova religione, ma nel contempo a monitorare ed eventualmente a perseguire singoli casi in cui fosse palese ed accertata attività di sedizione e insubordinazione al potere costituito.
    Nonostante ciò ben presto numerosi furono i casi di rifiuto di adorazione dell'alma Roma (cioè la personificazione divina dell'Urbe e dell'impero) e del genius dell'imperatore (cioè del suo spirito protettore e vitale, considerato divino e quindi garante, dopo il decesso dell'imperatore, della sua divinizzazione).
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    Negli anni successivi si scatenò una guerra fra 4 pretendenti altrono: il Cesare d'Oriente Massimino Daia, nipote di Galerio; Massensio, figlio dell'ex Augusto Massimiano; Licinio, che nel 308 Galerio aveva voluto nominare Augusto d'Occidente; Costantino, figlio dello stesso Costanzo, che aveva sposato la figlia di Massimiano.
    In Occidente Costantino prevalse su Massenzio e in Oriente Licinio, cognato di Costantino, aveva sconfitto Massimino: a Licinio andò la Tracia, l'Egitto e le province asiatiche, mentre a Costantino l'Occidente. La pace durò, però, solo 9 anni. Licinio fu sconfitto ad Adrianopoli e Crisopoli nel 324, confinandolo a Tessalonica. In seguito, nonostante la promessa di aver salva la vita, accusato di complotto contro l'imperatore, venne ucciso su ordine dello stesso Costantino. Il sistema tetrarchico da questo momento in poi non fu più adottato.
    Con l'avvento di Costantino l'asse dell''impero si sposta verso Oriente per una serie di molteplici motivi. Primo fra tutti era che le città e le province orientali erano più ricche, opulente, dinamiche commercialmente, prospicienti il Mediterraneo che costituiva anche la porta dell'Oriente. Inoltre si sentì la necessità di difendere maggiormente le città orientali dalle invasioni di popolazioni barbariche provenienti dal continente eurasiatico come quelle dei Persiani.
    Ad ogni modo del sistema tetrarchico Costantino adottò la suddivisione del territorio imperiale in 4 prefetture, suddivise in 14 diocesi a loro volta ripartite in 117 province.
    A Costantino, inoltre, si deve la fondazione della città che da lui prese il nome e che diventerà presto la nuova capitale di quello che sarebbe divenuto l'impero d'Oriente: Costantinopoli.
    Gli imperatori, come si può notare, tendevano sempre più a staccarsi dal centro per rifugiarsi ai confini dove non solo era necessario un maggior apporto di uomini per presidiare i confini, ma anche per sottrarsi ai voleri/malumori della plebe. Infatti sempre più la popolazione romana era costituita da persone che a malapena avevano i mezzi necessari per sostentarsi e che lesinavano le elemosine dei grandi proprietari e della classe senatoriale per sbarcare alla giornata e fare provviste di grano, olio, pane, e viveri in genere. La plebe osannava i personaggi potenti di Roma, in primis l'imperatore, ma era capace anche di stringerli in un abbraccio mortale sollevandosi d'improvviso in rivolte sanguinose e massacrando il sovrano, i suoi familiari e si suoi più stretti collaboratori. Anche per questo motivo gli imperatori preferivano mantenersi lungo le linee di confine e non nella stessa "città eterna".
    Durante il periodo III-V secolo si assiste ad uno spopolamento lento ma continuo delle città verso le campagne; quelli che erano i "poveri urbani" che vivevano di espedienti alla giornata, ma anche i piccoli artigiani che risentivano della scarsa sicurezza non forniva più lo Stato centrale migrarono verso le campagne per porsi sotto la protezione di un qualche latifondista che sotto l'apparenza di offrir loro un lavoro in concreto li sfruttava all'inverosimile. Sempre più questo nuovo proletariato rurale stava diventando sempre più vincolato al padrone e alla lavorazione della terra. Le fattorie in cui vivevano latifondisti erano chiamate villae ed assomigliavano a vere e proprie fattorie fortificate.
    Diocleziano aveva tentato di porre un argine al progressivo impoverimento delle classi sociali meno abbienti ma non vi era riuscito appieno: stabilendo un tetto massimo di prelievo fiscale per gli strati della popolazione più deboli; calmierando i prezzi, anche se questo tentativo risultò infruttuoso nel medio termine quando i prodotti molti prodotti di prima necessità furono ritirati per essere poi rivenduti al mercato nero; inoltre l'imperatore aveva tentato di vincolare i contadini alla terra e stabilendo che i figli dovessero espletare il lavoro dei padri.
    L'idea della tetrarchia si affacciò nuovamente qualche decennio dopo quando un altro imperatore, questa volta di origine iberica, a ripartire l'Impero in una pars Orientis e pars Occidentis, quest'ultima destinata qualche decennio dopo a soccombere definitivamente con la deposizione dell'ultimo imperatore Romolo Augusto nel 476 d.C.
    Volgendo lo sguardo alla religione a Roma, è notorio come venissero adorate divinità proprie del pantheon greco-ellenico mutuate nei culti a Roma. In particolare durante il periodo della respublica le divinità principali erano Iuppiter (padre degli dei), Marte e Quirino. Successivamente gli ultimi due e si sviluppò il culto della cd. Triade Capitolina (perché adorata appunto sul Campidoglio), formata da Giove, Giunone e Minerva.
    Dopo la vittoria dei romani sui cartaginesi si sviluppò anche l'adorazione dei culti misterici che, nonostante il nome, non venivano celebrati in segretezza, ma al contrario erano pubblici. I principali misteri che si diffusero a Roma in questo periodo furono quelli relativi alla dea Madre, a Demetra e a Bacco-Dioniso.
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    Sul fronte orientale nel I scolo d.C. Roma incluse nei propri confini a Cappadocia, la Giudea, l'Arabia Nabatea (corrispondente all'incirca all'attuale Giordania); nel corso del II secolo il regno di Osroene con Edessa e la città-stato siriaca di Palmira.
    Il rapporto, invece, col regno partico sibiva degli anda,enti altalenanti. Come detto sopra i Parti erano una gente sicitica originaria della zona compresa tra l'Elbruz, l'Amu Darja, il Caspio e il deserto iranico, assurta al potere in Persia nel III sec. a.C. Negli anni tra il I e II sec. l'impero partico stava attraversando un momento di grande difficoltà sia per le lotte interne, sia per dei cambiamenti in ambito sociale e religioso.
    Quando nel 216 Caracalla invase il regno partico questa data coincise la sua caduta e l'ascesa al potere dei persiani e della dinastia sasanide. Se, quindi, in un primo tempo la vittoria arrise ai romani proprio per quella fase di assestamento della nuova dinastia in seno alla nuova dinastia sasanide, successivamente con Artaserse e il figlio Sapore la vittoria arrise i persiani. Contemporaneamente fu introdotto il culto dello zoroastrismo e fu recepito il termine Shah per designare in lingua iranica il latino Caesar.
    Nel frattempo fin dal II sec. lungo le coste del Mar Nero si era insediata una nuova popolazione germanica, quella dei Goti. Questi con continue incursioni piratesche, attaccavano le città rivierasche che si affacciavano sul Mediterraneo.
    Come già accennato in precedenza la pressione esercitata sui confini dalle popolazioni barbariche a loro volte strette da altre genti provenienti dall'Asia comportò l'assorbimento di esse all'interno del limes con l'impegno di queste genti di coltivare i terreni incolti loro assegnati e di difendere la sicurezza dell'impero da eventuali incursioni di altre popolazioni barbariche.
    Con l'avvento di Diocleziano nel 284-285 l'imperatore assurse alla figura di un monarca alla stregua di quello orientale; oltre alla corona egli si presentava cinto del diadema, una stoffa di origine sacerdotale tempestata di gemme e pietre preziose; inoltre la sua figura aveva assunto una posizione ieratica e l'imperatore era adorato come un dio.
    Al fine di garantire un'idonea successione e che non si verificassero lotte intestine Diocleziano suddivise l'impero in 4 prefetture retta ciascuna da 2 Augusti e 2 Cesari: la prefettura delle Gallie, retta da un Cesare; quella d'Italia da un Augusto; quella illirica da un Cesare; quella d'Oriente da un Augusto. Furono, inoltre, abolite le regioni o province una volta distinte in imperiali e senatorie per lasciare il posto a 12 diocesi, circoscrizioni amministrative territoriali rette ciascuna da un vicarius; a loro volta questa furono suddivise in 101 province.
    Dal punto di vista militare Diocleziano confermò la riforma effettuata nel corso del III: suddivise l'esercito in limitanei, cioè in truppe di confine; e in comitatenses, cioè truppe di facile e pronto dispiegamento. Questa ripartizione dell'esercito portò i frutti sperati, ma contemporaneamente determinò un aumento delle spese che dovettero essere sopperite mediante un aumento dell'esazione fiscale gravante principalmente sui piccoli proprietari e le classi meno abbienti. Particolarmente invisa furono due gabelle introdotte proprio da Diocleziano: lo iugum e la capitatio, la prima gravante sulla proprietà fondiaria, la seconda sulle persone. Ad ogni modo, allo scopo di favorire le classi meno abbienti e contenere l'inflazione furono disposte alcune misure di politica finanziaria e monetaria, per arginare la perdita del potere d'acquisto della moneta in rame e dell'inflazione. Fu varato "l'editto di calmierazione" del 303 col fine di vincolare i prezzi e diminuire l'inflazione; ma ciò provocò l'effetto contrario, inducendo la popolazione ad accaparrarsi delle derrate di prima necessità con l'innesco di una spirale inflazionistica che determinò l'effetto contrario. Dopo poco tempo l'imperatore revocò l'editto.
    Nel 305 Diocleziano, secondo un programma previsto da tempo, si ritirò a vita privata nella sua sontuosa villa a Spalato, schivo e ben lontano dalle questioni politiche sulle quelli manteneva comunque un suo ascendente. Avrebbe dovuto seguirli, secondo i piani, l'altro Augusto Massimiano.
    Secondo lo schema della tetrarchia ai due Augusti avrebbero dovuto succedere i due Cesari, Costanzo e Galerio. Ma ben presto i due vennero alle armi con ciò dimostrando ancora una volta che le battaglie per il potere non si sarebbero mai sopite.
    Quando nel 306 Costanzo morì le truppe della Britannia elevarono al rango di Augusto suo figlio Costantino.
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