Giulio Cesare

Ascesa e caduta di un Dittatore

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  1. Mr James
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    Ho trovato tra i miei documenti un piccolo testo su questo grandissimo personaggio, sipirato ad uno degli scritti di Luciano Canfora. Spero vi interessi.

    Giulio Cesare
    Ascesa e caduta di un Dittatore



    O possente Cesare, giaci tu sì basso! Sono tutte le tue conquiste ridotte a sì piccola misura?
    Così parlava Shakespeare nella sua opera Giulio Cesare dipingendoci questo personaggio come un uomo che fece non solo conquiste militari, ma anche politiche. Ma come egli arrivò a lasciare una così vasta orma sul mondo intero? L'analisi della sua politica e delle sue scelte sono capillari per capire il lascito di questo grande uomo.

    Le prime esperienze politiche

    La primissima vita politica di Cesare si svolge sotto la dittatura di Lucio Cornelio Silla, capo della fazione degli ottimati che sta eseguendo opere di epurazione verso i popolari. Tra questi c’è anche Cesare stesso, che vanta di essere il nipote del celebre Gaio Mario, il capo popolare sconfitto da Silla. Ritiene allora opportuno lasciare Roma, per recarsi in oriente dove svolgerà alcune battaglie al fianco di generali per sedare gli ultimi focolai di resistenza di Mitridate, re del Ponto, re fortemente antiromano .

    Torna a Roma subito dopo la morte di Silla e sceglie di combattere la fazione degli ottimati con una serie di cause in tribunale e cercando di restaurare le cariche precedenti alla dittaura, eliminando la costituzione sillana, anziché seguire Lepido nella sua ribellione armata in Spagna. Questo fatto ci fa già capire come Cesare abbia un occhio “clinico” nei confronti di altri politici, sapendo discernere tra chi persegue obiettivi senza possibilità di successo (Lepido) e come invece combattere i nemici dando una parvenza di legittimità.
    Si parla i parvenza in quanto le sue lotte giuridiche sono per lo più lotte di partito, e non certo un’opera moralizzatrice.

    Nel 66 a. C. è questore e secondo al governo della Spagna Ulteriore. In questa occasione cerca di allacciare dei rapporti con i potenti locali, per assicurarsi un valido appoggio nella sua scalata al potere, proprio come la sua controparte, Pompeo, sta facendo in Oriente.

    Divenuto edile e membro del Senato nel 65 tenta di avvicinare Crasso e Pompeo, gli uomini più influenti di Roma, appoggiando diverse leggi da loro proposte. Essendo edile inizia una serie di opere pubbliche per assicurarsi la benevolenza del popolo romano.

    Nel 63 ottiene la carica di Pontefice Massimo, sconfiggendo alle elezioni altri due candidati ben più vecchi di lui: è evidente che fu la concussione la sua arma vincente, non certo le sue superiori doti morali. Egli però è in contraddizione con la sua carica: Cesare aderiva infatti alla corrente politica e filosofica epicurea, secondo la quale gli dei non hanno nessun ruolo nella vita dei mortali. Perché allora sceglie di diventare Pontefice Massimo? Senza dubbio un’altra astuta mossa per entrare nelle grazie del popolo. Questa simpatia che provoca nei confronti della plebe gli sarà fondamentale come aiuto materiale, ma anche come pretesto per legittimare il suo potere, durante la futura guerra civile.
    Già nei primi anni di esperienza politica vediamo dunque un Cesare previdente che guarda al futuro e inizia a costruire la sua fortuna di trascinatore di folle con queste apparentemente piccole azioni, ma di altissimo valore politico.

    L'altra faccia della medaglia: le difficoltà economiche

    Le campagne elettorali di Cesare, unite alle sue opere per ingraziarsi il popolo, prosciugano letteralmente le sue finanze: nonostante tutte le glorie derivate dal pontificato massimo il discendente di Iulo è indebitato più che mai. Trovare nuovi finanziatori delle sue elezioni nell'Urbe è estremamente difficile oltre che insufficiente. La soluzione che trova è quella di saccheggiare città alleate o sottomesse a Roma durante il suo governo in Spagna nel 60, accusandole ingiustamente di disobbedienza al Senato. Altro denaro viene da regnanti stranieri legati alla Repubblica, che sperano di entrare nelle grazie di un uomo la cui influenza sta crescendo a dismisura.

    Catilinario?

    Nel 63 un evento gravissimo scuote Roma: la congiura di Catilina. Catilina, membro della nobilitas e della fazione popolare, aveva più volte tentato di divenire Console, ma era sempre stato boicottato dagli ottimati. Progetta così una congiura contro tutti i magistrati di parte avversa, in modo da assicurarsi la carica di dittatore e instaurare un regime sul modello sillano, ma alcuni tra i congiurati, pentiti, denunciano la questione al console Marco Tullio Cicerone.
    Catilina viene quindi portato in tribunale e processato dallo stesso Cicerone. Tra i nomi che i pentiti fanno tra i complici della congiura c’è però anche quello di Giulio Cesare, il quale, disperato, invoca l’aiuto di Cicerone per difenderlo. Cicerone sceglie di aiutare Cesare, benché con grosse probabilità colpevole: egli infatti sarebbe rimasto al fianco di Catilina per poi ritirarsi poco prima della strage, avendo capito l’inconsistenza del piano. Mossa molto lungimirante per Marco Tullio quella di difendere Cesare: l’ottimo console è conscio del potere sempre crescente di Cesare nella politica romana. Caio Giulio viene allora scagionato, ma nello stesso processo cercherà di evitare la condanna a morte di coloro che in parte furono suoi complici.

    Ci si chiede ora se Cesare non abbia tentato di salvare almeno la vita ai catilinari perché era un loro conoscente ed è rimasto al loro fianco fino quasi alla fine nella congiura, o perché era un leader che sa affrontare con distacco anche la più delicata delle questioni, senza divenire oltremodo brutale.

    Il consolato e il "mostro a tre teste"

    Il 59 è un anno importante nella vita del futura dittatore di Roma: diviene Console, ma, cosa più importante, stringe un patto con Pompeo e Crasso, il famoso triumvirato, grazie al quale riuscirà a divenire uno degli uomini più potenti di Roma in grado di decidere le sorti delle elezioni degli anni futuri, e rendendo impotente la fazione degli ottimati guidati da Catone. Non si è certi su chi sia stato il primo a contattare gli altri due; certo è che Cesare aveva bisogno di validi appoggi su cui contare politicamente ed economicamente, mentre Pompeo e Crasso avevano bisogno di Cesare per ottenere l’appoggio del popolo.
    Tutti gli scritti dell’epoca danno di questo accordo privato un giudizio fortemente negativo, poiché è stata una delle cause che ha portato la Repubblica Romana allo sfascio, e lo definiscono “il mostro a tre teste”. Da allora infatti nessuna magistratura poteva definirsi autonoma dall’influenza di questo mostro.

    Il consolato di Cesare potrebbe definirsi sine collega: è ormai infatti divenuto talmente popolare che Bibulo, Console fatto eleggere dagli ottimati per contrastare Cesare, non ha alcuna influenza sulle decisioni dello Stato. Riesce allora a far approvare diverse leggi “popolari”: la distribuzione di terre ai nullatenenti, l’abbassamento dei debiti e una forte legge contro la concussione, cioè contro lo strapotere dei governatori di provincia che tassano i cittadini più del dovuto; in pratica continua a costruire sapientemente il consenso del popolo tanto prezioso in tempi di sconvolgimenti politici.

    Res Militaria: la conquista della Gallia

    Grazie all’alleanza con Pompeo e Crasso, Cesare ottiene nel 58 il governo della Gallia Citeriore, ovvero dei territori dell’attuale Austria e Svizzera. Questa occasione è d’oro per Cesare: può infatti guadagnarsi la fiducia di un esercito, di luogotenenti , ma soprattutto ingenti ricchezze per sostenere uno scontro con i suoi avversari ottimati che sembrava sempre più inevitabile.
    Egli però, in tutta la sua carriera politica e militare non ha mai fatto nulla senza che questa abbia una parvenza di legittimità. È costretto ad aspettare un’occasione propizia per invadere definitivamente le Gallie. L’occasione arriva quando una popolazione della Gallia orientale, gli Elvezi, migra verso Ovest perché stanca delle pressioni dei Germani. Sostenendo che questi Elvezi possano invadere le province romane, Cesare li attacca e li sconfigge con l’aiuto degli Edui, una popolazione da sempre alleata di Roma, a Bibicrate.

    Ora Cesare ha il controllo sia sugli Elvezi sia sugli Edui, che lo invocano per combattere Ariovisto, agguerrito re dei Germani pronto ad invadere la Gallia orientale.
    Sconfitto Ariovisto, Cesare ha ristabilito un equilibrio militare tra Gallia e Germania indispensabile nella sua strategia; egli ora può infatti attaccare le popolazioni del Nord della Gallia: i Belgi, Veneti e Aquitani. Cesare in persona riesce a sottomettere i Belgi, mentre Labieno , discepolo militare del conquistatore delle Gallie, sconfigge gli Aquitani. Ora però è il momento di affrontare i Veneti, cardine militare della Gallia settentrionale, che vantano una flotta imponente costituita da navi a vele molto alte, adatte alla navigazione oceanica. I romani, costruita una flotta ex novo nell’atlantico, affrontano i Veneti rendendo inermi le loro navi con dei falcetti che recidono il cordame che sostiene le vele delle navi Venete.

    Tutta la Gallia è ora sotto il dominio di Cesare, che può tornare sul fronte tedesco contro Usipeti e Tencterii, popolazioni germaniche autonome da Ariovisto. I romani massacrano i germani quasi proditoriamente durante la battaglia, attaccandoli mentre le trattative sono ancora in corso.
    Quest’evento ha una forte ripercussione a Roma, specialmente presso Catone ed i suoi seguaci, pretendono il rientro di Cesare e il suo processo. Ma il Senato, sempre più avido delle ricchezze che giungono dalla Gallia e manipolato da Pompeo e Crasso, concede una proroga del mandato come governatore delle Gallie a Cesare.
    Forte di questa proroga il proconsole delle Gallie decide di tentare una spedizione in Britannia. Nel 55 deve rientrare a causa di una tempesta che devasta la flotta romana, nel 54 riesce ad approdare e sottomettere le popolazioni a Sud del Tamigi.

    Deve però rientrare nuovamente in Gallia, visto che qui alcuni capi Galli come Vercingetorige e Ambiorige stanno fomentando delle rivolte. Nonostante il ritorno del comandante nella regione, la situazione militare è disastrosa per Cesare: l’esercito romano rimane diviso in tre blocchi dall’esercito Gallo: la prima a Nord con Labieno, la seconda a Est sul Reno e la terza e più grande nelle province, a Sud. Cesare riesce a ricongiungersi con il grosso delle truppe attraversando le alpi in pieno inverno. Si incontra con Vercingetorige ad Avaricum e Gergovia: nella prima ha la meglio sul nemico, nel secondo viene sconfitto, ma è una vittoria pirrica per i galli. Cesare alla fine riesce a cingere d’assedio i rivoltosi nella città fortificata di Alesia. Qui i romani costruiscono una seconda fortificazione attorno alla cinta muraria nemica per fermare e respingere i rinforzi chiamati da Vercingetorige che rischiavano di sorprenderli alle spalle. Il capo della rivolta, vedendo le truppe che erano arrivate in suo aiuto, si arrende a Cesare onde evitare una lenta agonia per i suoi.
    La Gallia è oramai completamente in mano ai romani, ma nonostante la gloria che questa campagna ha procurato a Cesare, è stato un atto di megalomania in cui sono stati compiuti moltissimi massacri (secondo storici come Camille Julian), ma anche una tappa fondamentale per la romanizzazione e il contenimento delle migrazioni germaniche per qualche secolo (secondo i nazionalisti italiani o Napoleone Bonaparte).

    Vento di tempesta

    Mentre Cesare è impegnato a fronteggiare i galli ribelli, a Roma, dopo l’uccisione di Clodio, un politico demagogo e controverso, scoppiano violente proteste e rivolte. Il Senato, ormai in mano interamente ottimata, nomina Pompeo consul sine collega, in modo da dargli l’opportunità di reclutare truppe in Italia, per sedare questi disordini.
    Cesare si muove subito per protestare: Pompeo infatti sarebbe già proconsole di Spagna, benché non sia mai andato in quella provincia rimanendo sempre a Roma, e non può avere una carica simile. Anche qui sarà capillare la differenza tra la dittatura pompeiana e cesariana: la prima costituzionalmente illegale, mentre la seconda legittimata dal popolo e dal pretore rimasto a Roma nel 49, carica più alta in assoluto in quanto i consoli sono fuggiti in Macedonia con Pompeo.

    Cesare dunque, con il pretesto di ottemperare al decreto del Senato di arruolare legioni per combattere le rivolete, recluta nuove truppe in Gallia e le porta sul pomerio, il limite invalicabile a qualsiasi generale in armi: il Rubicone. Gli ottimati non perdono occasione di sferrare un colpo a Cesare, sottraendogli la proroga per la carica di proconsole delle Gallie e costringendolo a rientrare a Roma come privato cittadino per colpirlo con una serie di cause giudiziarie per distruggerlo.
    Secondo il disegno del triumvirato, Cesare avrebbe dovuto rimanere in carica fino al 50, per poi diventare console nuovamente nel 49, rispettando l’intervallo di tempo imposto dalla legge tra un consolato e l’altro e rimanendo così inattaccabile. Ma Pompeo non si oppone alla decisione Senatoria, dato che ormai, con la morte di Crasso a Carre, il triumvirato è decaduto, e i due più influenti uomini di Roma sono in guerra aperta.

    Il pretesto per muovere definitivamente guerra alla Repubblica arriva per Cesare con la fuga presso di lui dei tribuni della plebe e dei senatori a lui fedeli. Ostentando questa fuga come una dovuta all’aggressività degli ottimati, il conquistatore della Gallia attraversa il pomerio con la motivazione di difendere la libertà delle istituzioni repubblicane, anche se in realtà lo fece per non essere trascinato e distrutto in tribunale, e forse anche per un’antica aspirazione alla tirannide.
    Ma arrivati a questo punto, le motivazioni personali contano ben poco, con il conflitto alle porte.

    La lunga guerra civile

    Per Cesare la guerra civile inizia con una serie brillante di vittorie, grazie alle quali l’Italia sarà presto conquistata. Egli però non fa ne uccidere ne imprigionare i comandanti di Pompeo, ma li lascia liberi per avere il consenso dei Senatori, che stanno prendendo in considerazione di fuggire assieme a Pompeo in Macedonia. Quando il Magno fugge infatti, molti esponenti del Senato rimangono al fianco di Cesare, tra i quali l’illustre Cicerone, apertamente contrario alla guerra civile.
    Questa lungimirante mossa politica pone Cesare nelle grazie dei senatori, che ora non lo considerano più come una minaccia, ma come garante di un roseo futuro.
    Lo stesso Senato, su pressione del popolo e dei pretori, nomina il conquistatore della Gallia dittatore.

    Cesare ora però deve sconfiggere le legioni Pompeiane in Spagna, dove ci sono molti alleati del suo avversario che lo possono attaccare alle spalle, stringendolo in una morsa con le legioni Macedoniche. Una volta sconfitte quelle a Marsiglia, salpa da Brindisi verso la baia di Durazzo, dove ingaggia con Pompeo una terribile battaglia navale, che riesce a vincere solo grazie alle truppe di Marco Antonio, che costringono Pompeo alla ritirata presso Farsalo. Qui i due eserciti si scontrarono e l’esercito di Cesare vince nonostante in inferiorità numerica, riuscendo ad arginare ogni tentativo di accerchiare il suo schieramento da parte di Pompeo.

    Ora però il nuovo dittatore deve lanciarsi all’inseguimento del nemico, benché meno pericoloso poiché senza un esercito, che sta cercando di raggiungere le sue clientele in Oriente. Pompeo cade però nella trappola di Tolomeo d’Egitto, che lo fa assassinare e ne presenta la testa a Cesare. Questi però, sfoggiando ancora una volta la sua abilità politica, si mette a piangere alla vista della testa del nemico, per far intendere a Tolomeo che non gli sarà debitore. Soggiorna ad Alessandria per assicurarsi che in Egitto non ci siano altri pompeiani e qui appoggia, forse per amore, o per liberarsi dello “scomodo” Tolomeo, la regina Cleopatra nella lotta alla successione.
    Tolomeo e gli egizi assediano allora il dittatore nella sua reggia ad Alessandria, da cui riesce però a fuggire con una terribile battaglia navale e a raggiungere l’Isola di Faro. Da qui annienta l’esercito egizio con l’aiuto di un’armata composta da soli Ebrei.

    Dopo la vittoria parte per le province d’Oriente per consolidare il suo potere, visto che con la sconfitta di Pompeo a Farsalo molte di queste province avevano cambiato bandiera, divenendo cesariane e bandendo ogni pompeiano. In questo periodo respingerà persino un tentativo di invasione di Farnace, re del Ponto, che sconfigge a Zela, assicurandosi così l’assenso di tutte le città in oriente, salvate in extremis.

    La guerra contro gli ottimati non era però finita: Catone sta riorganizzando le sue forze in Africa, mentre i figli di Pompeo stanno fomentando una rivolta in Spagna.
    Cesare opta nel 47 di attaccare prima Catone, ma giunge con pochi soldati alla sua postazione più a sud delle forze repubblicane, visto che è stato colto da una terribile tempesta. Ricongiuntosi con il grosso delle sue forze, tenta di usare la superstizione dei locali a suo favore, presentandosi come l’erede di Gaio Mario, di cui i Numidi hanno molto rispetto, e anche quella dei romani, arruolando tra le sue file uno Scipione, poiché si diceva che uno Scipione non poteva mai essere sconfitto sul suolo africano.

    Dopo la vittoria su Catone, che finisce suicida, grazie a questi fattori, si reca nel 46 in Spagna, dove deve combattere i figli del suo più grande nemico. Questi capiscono che Cesare è troppo potente per affrontarlo in campo aperto, e optano inizialmente per la ritirata, finchè non trovano una fortezza vicino a Munda, in posizione sopraelevata apparentemente impossibile da cingere d’assedio.
    Secondo lo stesso dittatore della Repubblica, quella di Munda fu la battaglia più difficile della sua carriera militare, battaglia che rischiò fino all’ultimo di perdere. Nonostante le difficoltà, questo accanito scontro termina con la sua incondizionata vittoria e pone ufficialmente fine alla lunga guerra civile.

    Opere politiche durante la dittatura

    Torna a Roma nel 45, quando ormai tutti i focolai della guerra civile sembrano spenti. Finalmente può adempire ai suoi doveri di dittatore.
    Cesare vuole però distaccarsi dall’ideale di tiranno che Silla aveva dato, ma non voleva nemmeno sembrare un altro Catilina che elargiva promesse troppo popolari pur di avere per sé il potere. Promulga in questo senso delle leggi sul debito, facendo sì che debba essere onorato con i valori che vigevano prima delle guerra civile, che naturalmente erano aumentati; reintegra allo stesso tempo nella vita politica i Senatori banditi per concussione, visto che quelli erano stati allontanati per lo per processi di lotta politica e non opere moralizzatrici.
    In questo modo sia plebe urbana sia l’alto Senato sono quasi completamente dalla sua parte ed egli può affermare che il suo potere è legittimo, cosa che ha sempre mirato a dimostrare.

    Il "cesaricidio"

    Arriva l’anno 44 e Cassio, un pompeiano passato a Cesare per convenienza, inizia a reclutare Senatori ostili a Cesare per una congiura. Tra questi figura Bruto, pompeiano durante la guerra civile, ma risparmiato da Cesare a Farsalo per via dei rapporti di parentela tra i due.
    Bruto è il personaggio chiave della vicenda: può infatti unire le due correnti presenti nell’associazione di Cassio, gli ex pompeiani e i cesariani scontenti, in un’organizzazione coordinata, essendo lui l’incarnazione di questi due filoni. Per convincere Bruto, nient’affatto d’accordo con i metodi della congiura, Cassio e i suoi useranno persino delle scritte su edifici pubblici di Roma, che lo accusano di essere stato comprato e ammorbidito dal tiranno. Alla fine Bruto accetta l’invito e tutti i congiurati si dicono pronti a passare all’azione.

    L’attentato è fissato per le Idi di Marzo del 44, durante una seduta del Senato. Quello stesso giorno Cesare è riluttante a partecipare a quella seduta, a causa dei presagi funesti, ma i congiurati riescono a convincerlo facendo leva sulle sue ideologie laiche ed epicuree. Giunto in Senato, viene accerchiato da Cassio, Bruto e altri e pugnalato.

    È questa quindi la fine del mito di Cesare? Qualche giorno più tardi, Marco Antonio leggerà il testamento di Cesare e ne celebra i funerali, mostrando persino il cadavere massacrato del dittatore perpetuo, aizzando quindi le folle contro i congiurati, o i liberatori, come loro si fanno chiamare. I sostenitori di Cesare riescono quindi a trasformare quella vittoria in una sconfitta, sfruttando l’enorme popolarità di cui godeva l’ormai defunto imperator, e avviando quell’escalation di eventi che porterà alla battaglia di Azio.

    L'"orma" di Cesare sul mondo

    Cesare dunque emerge tra tutti i suoi contemporanei e postumi, non solo per acume, ma anche per importanza e influenza nella futura storia dell’Urbe, che senza di lui sarebbe stata diversa. Tutte le minuziose manovre così ben calcolate nel corso di decenni di politica e guerra si rivelano indispensabili per introdurre quel cambiamento storico che sarà per Roma il passaggio dalla Repubblica al Principato, insomma per lasciare una vasta orma sul mondo intero.

    Luciano Canfora, Giulio Cesare, il dittatore democratico

    PS: Scusate l'eccessiva lunghezza del testo, ma spero capirete che abbracciare la vita oltremodo pienza di Cesare non è cosa da un paio di righe :D

    PPS: Mi perdoneranno coloro che ammirano Cesare come comandante militare se liquido le sue battaglie con poche frasi, ma ho voluto soffermarmi, come l'autore del libro che mi ha ispirato, maggiormente sulla sua opera politca.
     
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  2. Cornelio Scipione.
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    davvero un lavoro ben fatto! complimenti!
     
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  3. onestobender
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    Ottimo contributo (se lo dice Cornelio vai sul sicuro)!
    Non preoccuparti per la lunghezza, avrai notato che da noi (per chi ha voglia e tempo) c'è la possibilità di dilungarsi quanto si desidera.
    Avrai notato che, come forum, siamo un po' atipici! :ok:
     
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    Mi associo alle lodi, in quanto alla lunghezza, dato l'argomento, mi pare che tu sia stato completo e didascalico. :ok:
     
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  5. Mr James
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    Grazie infinite a tutti per le lodi, mi fa davvero piacere che vi abbia interessato.

    Ad ogni modo, volevo aprire con voi una discussione basata su questo testo. Ho cercato di mettere in risalto particolarmente le azioni politiche, talvolta di dubbia moralità persino nel contesto della corrotta Repubblica degli ultimi anni, che hanno portato Cesare sulla "cresta dell'onda" e che hanno preparato le premesse per il Principato di Ottaviano, rivisitando il mito di un uomo incredibile e di un personaggio positivo che spesso ci viene presentato parlando di lui.

    Voi cosa ne pensate? Considerate le sue scelte politiche necessarie o comunque inevitabili, vista la situazione politica a Roma? Oppure continuate a considerarlo un uomo dalla ferrea moralità che ha contribuito al benessere e all'evoluzione della civiltà romana? Oppure condividete il punto di vista che ho esposto nel testo?

    Ci tengo a precisare che suddetto punto di vista non è una mia presa di posizione contro il dittatore, ma solo una rilettura della sua vita sotto un'altra luce. Mi interessa conoscere il vostro parere prima di esporvi il mio.
     
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    Bè parlare criticamente di un simile personaggio è come parlare della scissione di due epoche, richiederebbe ben altro spazio e un'approfondita ricerca, comunque cercherò in poche righe di esporre il mio pensiero.
    Dunque, per chi ama Svetonio, Livio, Plutarco, Annio ecc... è impossibile pensare a Cesare come uomo di specchiata e ferrea moralità, tutti gli autori antichi parlano della sua efficenza politica e militare volta alla conquista del potere, con rimpianto del perduto mos maiorum repubblicano condito con una certa ammirazione per le sue capacità , nipote di Mario ne ereditò il favore partitico e l'estrema ambizione, nemico di Silla ne assunse il comportamento, ma non pensò mai a una ristrutturazione dello stato in senso democraticorepubblicano, usò Clodio e le sue bande in modo squadristico, populista e mestatore, corruttore e corrotto, capace di blandire gli ottimati o appoggiarsi alle ali estreme dei populares fino al tentato salvataggio dei catilinari, ideatore del triumvirato che trasformò lo stato romano in un dominio congiunto di capi fazione.
    D' altro canto l'allargamento dell'impero e la necessità di allargare la cittadinanza e la rappresentanza senatoriale iponevano un nominale allargamento alla partecipazione del potere da parte dei provinciali e dei populares, e un contemporaneo accentramento del potere reale, Cesare capì abilmente il suo tempo e sfruttò la situazione, e fù lo spartiacque tra due ere, ma credo che un'evoluzione verso l'impero fosse inevitabile, anche se la mia anima romantica e repubblicana mi avrebbe fatto fare il "tifo" per Bruto e Cassio.
    omicida

    Edited by Romeottvio - 14/9/2011, 18:39
     
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  7. Cornelio Scipione.
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    Cesare era sicuramente un abilissimo politico e forse ancor più un eccellente generale( anche se pare che dalle ultime scoperte che la campagna di Gallia sia stata vinta grazie si in parte al genio militare di Cesare, ma più che altro dall'abilità dei soldati che erano tutti dei veterani), ma la sua politica di censura e di manovrare le fonti ha fatto si che agli occhi della storia e dei postumi (quindi anche noi.. ) Lui apparisse come il salvatore di Roma, e per quanto riguarda la questione nel dare la cittadinanza Romana a tutti gli italici, sicuramente in quell'episodio ha davvero salvato Roma dalle innumerevoli rivolte ...ma bisogna ricordare sempre che la storia la scrivono i vincitori..
     
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  8. Mr James
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    A mio parere Cesare è quello che si potrebbe definire "figlio del suo tempo". Mi spiego meglio: nei cinquanta anni precedenti all'ascesa di questo dittatore, la Repubblica era evidentemente in crisi, con la corruzione che dilagava in seno al Senato e alle magistrature che aveva raggiunto livelli inaccettabili (nonostante la compravendita del voto sia sempre stata in voga come pratica) e una guerra civile seguita dalla dittatura sillana.

    Caio Giulio, altro non è per me se non un uomo che si trovò a vivere in un tempo siffatto e ne assimilò i comportamenti tipici. Un uomo però che seppe meglio di altri sfruttare questa situazione per i suoi scopi di potere. Lo definirei dunque "l'uomo giusto al momento giusto", ovvero un uomo con le capacità e l'intelligenza necessarie a manovrare la corruzione e il caos in seno alla Repubblica.

    Muovere eccessive critiche contro di lui sarebbe ingiusto per questo a mio avviso. Egli non avrebbe potuto essere diverso: anche se non avesse compiuto tutte queste gesta, sarebbe rimasto comunque un politico paragonabile a tutti gli altri mediocri politici dell'epoca, proprio perchè nato in quell'epoca.

    L'unica nota di biasimo che mi sentirei di proporre è quella di non aver tentato di riportare la Repubblica sulla retta via. Tentare in pratica ciò che tentò Silla prima di lui, ma senza le epurazioni di cui era stato capace il dittatore ottimato. Con la sua grande dote di trascinatore di folle, Cesare avrebbe potuto introdurre una "costituzione cesariana" per riformare lo Stato e i suoi difetti divenuti sempre più evidenti, ma senza scontentare il popolo e l'aristocrazia senatoria.
     
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  9. Italo-romano
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    CITAZIONE (Cornelio Scipione. @ 14/9/2011, 22:54) 
    ...ma bisogna ricordare sempre che la storia la scrivono i vincitori...

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    E ciò vale - credo - ancor più se consideriamo periodi storici tanto lontani da noi, quindi con minori testimonianze e prove documentali disponibili; tantopiù che proprio i Romani inventarono quel meccanismo passato alla storia come damnatio memoriae.

     
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    CITAZIONE (Italo-romano @ 15/9/2011, 19:28) 
    CITAZIONE (Cornelio Scipione. @ 14/9/2011, 22:54) 
    ...ma bisogna ricordare sempre che la storia la scrivono i vincitori...

    ____________________________________________________________




    E ciò vale - credo - ancor più se consideriamo periodi storici tanto lontani da noi, quindi con minori testimonianze e prove documentali disponibili; tantopiù che proprio i Romani inventarono quel meccanismo passato alla storia come damnatio memoriae.

    Bè, la damnatio memoriae non la inventarono i romani, la pratica è molto più antica, documentato il destino postumo di Hatsetsup, il successore Tuthmosis III ne fece alterare le immagini e cancellare il nome, ancora più famosa la vicenda di Akhenaton, oltre ad essere cancellato lui, venne cancellato anche il suo dio, Tutankamon cambiò nome, precedentemente si chiamava Tutnkaton, ma sul trono conservato al museo del Cairo la divinità rappresentata non è Amon, è Aton, anche il termine stesso "Damnatio memoriae" non credo sia un termine latino classico, nesun autore, che io abbia letto, lo usa, compresa la tarda "Storia Augusta", penso sia di origine medioevale.

    Edited by Romeottvio - 16/9/2011, 12:01
     
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  11. Italo-romano
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    CITAZIONE (Romeottvio @ 16/9/2011, 11:03) 
    CITAZIONE (Italo-romano @ 15/9/2011, 19:28) 
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    E ciò vale - credo - ancor più se consideriamo periodi storici tanto lontani da noi, quindi con minori testimonianze e prove documentali disponibili; tantopiù che proprio i Romani inventarono quel meccanismo passato alla storia come damnatio memoriae.

    Bè, la damnatio memoriae non la inventarono i romani, la pratica è molto più antica, documentato il destino postumo di Hatsetsup, il successore Tuthmosis III ne fece alterare le immagini e cancellare il nome, ancora più famosa la vicenda di Akhenaton, oltre ad essere cancellato lui, venne cancellato anche il suo dio, Tutankamon cambiò nome, precedentemente si chiamava Tutnkaton, ma sul trono conservato al museo del Cairo la divinità rappresentata non è Amon, è Aton, anche il termine stesso "Damnatio memoriae" non credo sia un termine latino classico, nesun autore, che io abbia letto, lo usa, compresa la tarda "Storia Augusta", penso sia di origine medioevale.

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    Però così messere me fate sentì un emerito, crasso ignorante... :(

    Scherzi a parte, onestamente non sapevo che detta pratica fosse già tanto in voga anche presso le civiltà anteriori a Roma, quindi grazie mille per avermene messo a parte.
     
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    Carissimo Italo siamo quì per scambiarci informazioni e pareri, l'ultima volta la figura dell'ignorante l'avevo fatta io. :kiss:
     
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    CITAZIONE (Mr James @ 15/9/2011, 19:21) 
    A mio parere Cesare è quello che si potrebbe definire "figlio del suo tempo". Mi spiego meglio: nei cinquanta anni precedenti all'ascesa di questo dittatore, la Repubblica era evidentemente in crisi, con la corruzione che dilagava in seno al Senato e alle magistrature che aveva raggiunto livelli inaccettabili (nonostante la compravendita del voto sia sempre stata in voga come pratica) e una guerra civile seguita dalla dittatura sillana.

    Caio Giulio, altro non è per me se non un uomo che si trovò a vivere in un tempo siffatto e ne assimilò i comportamenti tipici. Un uomo però che seppe meglio di altri sfruttare questa situazione per i suoi scopi di potere. Lo definirei dunque "l'uomo giusto al momento giusto", ovvero un uomo con le capacità e l'intelligenza necessarie a manovrare la corruzione e il caos in seno alla Repubblica.

    Muovere eccessive critiche contro di lui sarebbe ingiusto per questo a mio avviso. Egli non avrebbe potuto essere diverso: anche se non avesse compiuto tutte queste gesta, sarebbe rimasto comunque un politico paragonabile a tutti gli altri mediocri politici dell'epoca, proprio perchè nato in quell'epoca.

    L'unica nota di biasimo che mi sentirei di proporre è quella di non aver tentato di riportare la Repubblica sulla retta via. Tentare in pratica ciò che tentò Silla prima di lui, ma senza le epurazioni di cui era stato capace il dittatore ottimato. Con la sua grande dote di trascinatore di folle, Cesare avrebbe potuto introdurre una "costituzione cesariana" per riformare lo Stato e i suoi difetti divenuti sempre più evidenti, ma senza scontentare il popolo e l'aristocrazia senatoria.

    Sono d'accordo con te: Cesare è riuscito ad incarnare il famoso "princeps" descritto da Cicerone (anche se lui non intendeva una sola persona), con una moralità forse diversa, ma facendo ciò che era necessario per far uscire Roma dalla crisi dell'epoca.
     
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12 replies since 11/9/2011, 16:07   1900 views
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