L'università ritorna un lusso per pochi

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  1. alexandrom
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    L'università ritorna un lusso per pochi:
    Crollano le iscrizioni tra i ragazzi usciti dalla maturità. Ma sono soprattutto i figli delle classi più deboli a rinunciare

    ANDREA ROSSI

    È stata una sbornia d’inizio millennio, drogata dall’esplosione delle lauree brevi e dal proliferare degli atenei sotto casa. È durata poco. E adesso il mito delle «élite per merito» sembra destinato a restare tale. Altro che avvicinarci alla media Ocse per tasso di universitari e laureati; abbiamo ricominciato a distanziarci. E l’Università sta diventando affare per pochi. Sempre meno e sempre più ricchi. E l’alta formazione di massa? Si sta lentamente affievolendo, stritolata tra disillusione, crisi economica e tagli ai finanziamenti.

    La tendenza sembra consolidarsi da qualche anno, quando - dopo il boom a cavallo del 2000 - le immatricolazioni hanno inesorabilmente cominciato a scendere. In cinque anni abbiamo perso 40 mila matricole: erano 324 mila del 2005; 286 mila a ottobre 2009. Il calo demografico, si dirà. E invece no. O, almeno, non solo. Cinque anni fa 56 ragazzi di 19 anni su cento (il 73 per cento dei diplomati) si iscrivevano all’università. Oggi siamo sprofondati in basso: all’ultimo anno accademico si sono iscritti il 47 per cento dei ragazzi dei 19enni e nemmeno il 60 per cento di chi ha superato l’esame di maturità.

    «La riforma del 3+2 ha prodotto un’ondata di entusiasmo. Qualcuno ha creduto che l’Università, diventando più corta, fosse diventata più facile», spiega Daniele Checchi, docente di Economia politica alla Statale di Milano. Quando si è capito che così non era la corsa agli atenei si è arrestata, ma a farne le spese non sono stati tutti: nel 2000 un neoiscritto su cinque era figlio di persone con al massimo la quinta elementare; nel 2005 la percentuale è scesa al 15 per cento. Poi ancora giù, quasi un punto all’anno: 14 per cento nel 2006, 13 nel 2007. Ora siamo al 12. Di anno in anno le matricole scendono, portandosi appresso i giovani delle classi sociali più deboli. Gli altri - quelli con genitori laureati - crescono poco alla volta. I figli della classe media - genitori diplomati - tengono botta. «Forse sono cambiate le aspettative sul valore dei titoli di studio», dice il professor Piero Cipollone. Per anni, in Banca d’Italia, ha studiato i costi del sistema formativo, oggi presiede l’Istituto per la valutazione del sistema dell’istruzione e dice che «la laurea non offre più un consistente valore aggiunto: un laureato spesso guadagna poco più di un diplomato, a volte addirittura meno. Non mi meraviglia la fuga dei figli delle classi sociali meno abbienti: l’università oggi è un costo, ma non sempre il risultato vale l’investimento».

    La crisi economica dell’ultimo anno e mezzo ha pesato, e non poco. Molti hanno battuto in ritirata. Chi ha tenuto duro fa gli straordinari: l’80 per cento di chi ha alle spalle una famiglia a basso reddito prova a laurearsi lavorando, e una buona parte rientra sotto la voce «lavoratori-studenti». Otto ore al giorno cercano di guadagnarsi da vivere; nel tempo che rimane provano ad agguantare una laurea.

    L’austerity imposta dal governo agli atenei ha fatto il resto. «Molte università hanno pensato bene di controbilanciare il taglio dei finanziamenti ministeriali aumentando le tasse d’iscrizione», racconta Diego Celli, presidente del Consiglio nazionale degli studenti universitari. Di questo passo - è il timore del professor Checchi, che da tempo si occupa delle disuguaglianze sociali nell’accesso all’istruzione - «il rischio è che il divario si allarghi ulteriormente, anche se sarei cauto nel dire che i figli delle classi medio-basse stanno fuggendo dagli atenei».

    Vero. Ma le barriere restano, anzi, sembrano sempre più massicce, e non solo in ingresso. «Gli steccati non sono stati superati», ammette Checchi. «Negli ultimi vent’anni l’ingresso forse è diventato più democratico, ma l’esito finale no. Le probabilità di abbandono pendono fortemente dalla parte di chi ha redditi bassi». Studi recenti di vari istituti, tra cui la Banca d’Italia, sembrano dargli ragione. In Italia il 45 per cento degli universitari non arriva alla laurea. La presenza in famiglia di un genitore laureato, non solo aumenta la probabilità di iscrizione all’università di oltre il 15 per cento rispetto a genitori con la licenza di scuola media, ma riduce allo stesso modo per cento le probabilità di abbandono.

    Forse è l’effetto di decenni trascorsi a galleggiare senza una vera politica di sostegno all’istruzione. «Gli enti per il diritto allo studio funzionano su base regionale - racconta Checchi - assegnano le idoneità ma poi le finanziano finché ci sono i soldi. È una farsa: le graduatorie ci sono, i soldi no. Così tanti che avrebbero diritto a un aiuto non ricevono nemmeno un euro». E così, addio università. Quasi 200 mila studenti l’anno ottengono una borsa di studio, ma tra gli aventi diritto uno su quattro resta senza. Solo otto regioni riescono a sostenere tutti quelli che hanno i requisiti. In altre non si supera il 50 per cento. «Per di più anche dove sono garantite per tutti, le borse non tengono conto del reale costo della vita», attacca Diego Celli.

    Tratto da "www.lastampa.it"
     
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  2. lupog
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    A questo proposito segnalo la lettera di un lettore con la replica del direttore de La Stampa Mario Calabresi.


    Caro direttore, che colpo al cuore quel titolo sull’università: «altro che merito», «l’università un lusso per ricchi», «iscrizioni giù». «I figli dei poveri rinunciano». Un concentrato di brutte notizie per il presente, ma soprattutto per il futuro. Un ritorno a un passato che la mia generazione non aveva conosciuto se non di striscio. Sì, c’era il figlio del gran primario che veniva trattato un po’ meglio di quello dell’operaio. Ma se questo era più bravo non c’era storia.
    Mi ha fatto venire in mente un episodio di tanti anni fa, discussione della tesi di laurea in Medicina del figlio di un’operaia mia conoscente, analfabeta. Prima di lui discute una ragazza palesemente ben nata con tesi fatta in un mega-ospedale Usa all’avanguardia: 110, lode, dignità di stampa. Allora si diceva così, ora non so. Io penso, oddìo poverino, proprio dopo quella gli toccava di dover parlare. Sudo freddo per lui, sto vicino a sua madre. Invece. Parte alla grande con una presentazione al computer da fare invidia a Steve Jobs, è sciolto, parla benissimo. Finisce come la collega prima di lui, più gli applausi. Io mi commuovo. Forse uno come lui oggi non si iscriverebbe neanche. Ma perché capita proprio oggi, che il mondo globalizzato richiede più competenze e specializzazioni?
    M.A.

    Siamo un Paese dove i figli dei notai fanno i notai, quelli degli architetti gli architetti e dei medici i medici. E se la tendenza che abbiamo messo in evidenza ieri non verrà presto invertita allora la nostra società si cristallizzerà sempre di più, lasciando ai margini chi parte svantaggiato e eliminando una delle maggiori possibilità di crescita e riscatto che si conoscano: lo studio.
    L’università è stata per decenni il migliore ascensore sociale, oggi questo meccanismo sembra essersi fermato. Non è una questione di costi - non certo in Italia -, ma la consapevolezza che nel nostro mercato del lavoro una laurea, soprattutto quelle brevi, non è in grado di fare la differenza. Allora meglio non perdere tempo e andare a lavorare subito. Forse dovremmo aprire un dibattito su un’università che per essere più inclusiva ha finito per perdere valore e credibilità.
    Certo in questo modo, come lei ha saputo correttamente cogliere, tagliamo ogni possibilità di futuro all’Italia: in un mondo globale in cui le produzioni più basse se ne vanno dal nostro Paese dovremmo essere sempre più preparati e specializzati. Non possiamo ridurci a sfidare i Paesi emergenti, ma dovremmo crescere matematici e ingegneri, ragazzi capaci di gestire le complessità e parlare le lingue. Non arrenderci al fatto che solo i figli delle famiglie che si possono permettere studi all’estero possano stare sulla scena mondiale.



    Concordo con il direttore Calabresi. Più che sull'università di massa la riflessione dovrebbe spostarsi sull'università di qualità. Solo in questo modo l'università può funzionare in maniera inclusiva come ascensore sociale fornendo nello stesso tempo ai giovani laureati e alla società nel suo complesso gli strumenti per essere pronti ad affrontar le sfide di un mondo che cambia vorticosamente. In un sistema universitario scadente invece prendersi il pezzo di carta è un investimento solo per chi gli agganci li ha già. Sul modo con cui invertire questa tendenza abbiamo già riflettuto parecchie volte a proposito del funzionamento del sistema universitario e sapete come la penso: si devono dare i finanziamenti solo a chi dimostra di saperli utilizzare in maniera produttiva facendo buona ricerca . Per gli altri si devono staccare i rubinetti: vadano a fare qualcos'altro, magari zappare la terra, se ne sono capaci, ma la smettano di prendersi gioco delle speranze dei giovani.
     
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  3. _SmokY_
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    L'università secondo me non deve essere per tutti, indipendentemente dal reddito o dalle possibilità individuali l'università deve essere solo per chi ha voglia e passione d'imparare.

    Credo che tutti qui possano fornire esempi di persone che per "moda" o per voglia di staccarsi un poco dalla famiglia intraprendono la via dello studio... dopo un anno circa, senza aver studiato decentemente, con all'orrizzonte altre spese e la quasi consapevolezza di non poter riuscire si ritirano...

    Intanto lo stato, sempre tramite i contribuenti per lo più, stanza fondi per fare buchi sull'acqua...

    Ora io non avendo voluto fare l'università perchè all'epoca non mi ritenevo capace di tale impresa non saprei consigliare il modo migliore per filtrare i modaioli con i realmente intenzionati a studiare... Forse con gli esami d'ammissione??

    Uno cosa però posso testimoniare... ho conosciuto diversi giovani ingenieri che non sanno calcolare lo sviluppo di un arco... giovani commercialisti che parlano italiacano... se questa è l'università potevo benissimo farcela anche io :( mannaggia !
     
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    Quoto sia Lupo che Smoky.
    Disperdere le risorse per distribuire pezzi di carta non è una buona politica. :hmm:
     
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3 replies since 8/2/2010, 12:31   272 views
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