La finanza italiana dopo l'addio di Profumo a Unicredit

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  1. lupog
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    Sulle dimissioni di Alessandro Profumo da a.d. di Unicredit propongo la lettura dell'editoriale di francesco Giavazzi da cui si evince come alla base della sfiducia del c.d.a non vi siano ragioni economiche o finanziarie ma politiche, che hanno ben poco a che fare con la scalata dei libici


    CITAZIONE
    Un errore, grave
    Non è il disaccordo sulla presenza dei libici che ha indotto le fondazioni italiane e gli azionisti tedeschi a sfiduciare Alessandro Profumo, peraltro senza scegliere subito un sostituto, come dovrebbe avvenire in una grande banca internazionale. Sarebbe infatti sciocco opporsi a un socio di minoranza che non esita a mettere mano al portafogli quando la banca ha bisogno di capitale fresco. La Libia è solo un pretesto.

    Il vero scontro che oppone Profumo ai grandi azionisti della banca è la sua decisione di trasformare Unicredit da una somma di feudi locali (Monaco di Baviera, Verona, Torino, Modena, Treviso...) in una struttura unica, come lo sono le grandi banche internazionali, ad esempio Hsbc (Hong Kong and Shanghai Banking Corporation), la più estesa e la migliore banca al mondo. Una banca unica è più efficiente, ha costi inferiori ed è in grado di offrire ai propri clienti (aziende e famiglie) credito e servizi a condizioni più favorevoli. È evidente che se fossero i clienti a decidere sceglierebbero una banca unica; ma non sono loro, e gli interessi dei grandi azionisti di Unicredit non coincidono con quelli dei suoi clienti.

    Per creare una banca unica è necessario smantellare tanti piccoli feudi, ciascuno con i suoi interessi locali, con le sue parrocchie e le sue poltrone da difendere. «Quando ci sono delle decisioni che incidono sul mio territorio ho diritto di dire la mia» ha proclamato ieri Flavio Tosi, sindaco leghista di Verona. Non vi è dubbio, anche se il suo diritto si limita a poter esprimere un’opinione perché il sindaco di Verona non è un azionista di Unicredit. Tosi omette di spiegare perché teme la banca unica: forse perché essa ridurrebbe il suo «peso politico» in Unicredit? Oppure pensa che danneggerebbe le aziende della sua città? Ma se così fosse, come mai ieri Emma Marcegaglia, presidente degli industriali, è scesa in campo in difesa del progetto di Profumo? I politici della Lega non sono diversi dai vecchi democristiani: loro controllavano il territorio (e i voti) attraverso le Casse di risparmio e le municipalizzate, la Lega mi pare sulla stessa strada.

    I piccoli feudi non esistono solo in Italia: l’altro ieri la Süddeutsche Zeitung lamentava che Monaco di Baviera non è più un grande centro finanziario; sono rimaste BayernLB, una cassa di risparmio in difficoltà, e l’ex Hvb, una banca che Unicredit ha acquistato salvandola dal fallimento. È curioso che dopo i loro clamorosi insuccessi i bavaresi oggi reclamino posizioni di comando in Unicredit (caso mai, voce in capitolo nella gestione della banca potrebbe chiederla a giusto titolo la Polonia, dove Unicredit va a gonfie vele).

    Alessandro Profumo ha anche commesso degli sbagli: comprare Capitalia, per esempio, e gestire troppo frettolosamente l’ingresso dei libici. Ma oggi paga per una sua scelta giusta: non aver accettato di venire a patti con le consorterie che comandano in Italia. In quindici anni ha creato l’unica grande multinazionale con una testa italiana. I piccoli feudi sono fermamente intenzionati a distruggerla. Con il capitalismo dei feudi le nostre imprese non andranno lontane. E le modalità ieri usate dagli azionisti possono solo danneggiare la reputazione dell’Italia.

     
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    Aiaiaia , per quel che ne sapevo Profumo era ed è legato al PD , la moglie si era addirittura candidata nelle liste del partito e parlare ora di ingerenza politica come se questa fosse una gran scoperta mi sorprende , contrariamente alle mie abitudini vorrei segnalare un articolo proveniente da un giornale di parte , essendo questo un giornale d' opposizione che più non si può lo facco volentieri.

    La tentazione Profumo
    Il senso dei democratici per il Papa straniero e la ricerca storica del premier banchiere
    E se fosse Alessandro Profumo il nuovo “Papa straniero” a cui affidare il centrosinistra? A leggere i commenti dei democratici, le pagine di Corriere della Sera e Repubblica, ieri, si respirava un’aria mistica, l’elogio del combattente sconfitto ma non domo pronto per nuove battaglie, il leader che manca. Certo, forse non hanno letto Bertolt Brecht. Anzi: dietro l’incredibile passione delle classi dirigenti della sinistra moderata per i banchieri, dietro la vera e propria “pluto-filìa” che affiora incontenibile tra i riformisti in cerca di leader, c’è il rovesciamento della famosa battuta per cui, secondo il grande drammaturgo tedesco, “il primo ladro è colui che ha fondato una banca, non quello che ha tentato di svaligiarla”. Si dirà: antiquata, démodé. Non è più chic. E infatti, se leggi le note commosse che ieri popolavano la prima pagina di Repubblica, o l’editoriale di Massimo Giannini che definiva Alessandro Profumo come L’ultimo dei Mohicani, ritrovi le tracce di un sentimento costante di questi anni: partecipazione, pathos, il senso del Pd per le banche.
    L’entusiasmo di Fassino. “Abbiamo una banca!”, esclamò, come è noto, Piero Fassino gioioso. La storia si incaricò di smentire questo grido di battaglia. Ma nessuno potrebbe correggere l’ex segretario se oggi gridasse: “Abbiamo un banchiere”. In realtà ne hanno più d’uno: sono diventati il bene-rifugio, la scuola quadri da cui attingere nei momenti di transizione. A chi pensava, Eugenio Scalfari, quando nell’editoriale di domenica tratteggiava il profilo del leader da opporre a Nichi Vendola, “il realista” da opporre “al sognatore”? Quel fondo, sembrava alludere a un leader possibile e cominciava, per esempio, scaricando Pier Luigi Bersani in maniera spietata: “Il Pd non ha appeal (stavo per dire sex appeal) Bersani da qualche tempo è più incisivo – scriveva Scalfari – ma ha ancora un’aria da buon padre di famiglia, di buonsenso, ma non certo da trascinatore. Bersani – aggiungeva – non fa sognare. Non è il suo genere, e credo che non gli piaccia”. E ancora: “Shakespeare dice nella Tempesta che la nostra vita è fatta della stessa stoffa di cui sono fatti i nostri sogni. Bè, Pier Luigi Bersani non è fatto di quella stoffa”. Il fondatore diRepubblica spiega che Vendola sa far sognare, ma il suo scopo è ricostruire la sinistra (dev’essere una colpa). E aggiungeva: “Ce lo vedo poco a Palazzo Chigi alle prese con i capi di governo stranieri, le banche, gli imprenditori, con Marchionne”. E cosa concludeva? “Veltroni parla da tempo di un Papa straniero come fu a suo tempo Romano Prodi che guidò il riformismo di centrosinistra mettendo insieme il carisma del leader e le capacità di governo che la politica richiede”. Ebbene, ieri leggendo Giannini si avvertiva entusiasmo: non solo per Profumo, ma per la figura stessa del banchiere come ruolo sociale di garanzia, un baluardo contro il berlusconismo: “Con Profumo ripone l’ascia di guerra l’ultimo dei Mohicani, l’ultimo banchiere che, nell’Italietta dei conflitti di interessi e del capitalismo di relazione, ha almeno provato a gestire la sua azienda con le logiche di mercato, compiendo svolte non ortodosse che l’hanno proiettato fuori dai confini asfittici dell’orticello domestico. L’ultimo manager che – proseguiva l’editorialista di Repubblica – nel Piccolo Paese dei “furbetti del quartierino”, coperti dalla vigilanza e dei “Salotti buoni” garantiti dalla politica, ha almeno cercato di difendere l’autonomia della sua banca, facendo scelte che l’hanno messo ai margini di quel che resta del cosiddetto establishment”. Caspita. È il profilo di uno statista, non certo di un uomo da Cda.
    Plutofilìa? Se si volesse tornare indietro nel tempo, risalendo il filo della pluto-filìa democratica si dovrebbe cominciare da Raffaele Mattioli e Palmiro Togliatti. Ovvero dal “banchiere rosso” che durante il fascismo salvò i diari di Antonio Gramsci in un caveau e “il Migliore”. E poi dalla grande campagna del Pci in difesa della banca d’Italia ai tempi di Paolo Baffi. Ma era ancora un tempo in cui la divisione di ruoli tra la politica e la finanza era chiara. Negli ultimi anni, invece, la destra è diventata populista e anti-plutocratica (almeno a parole): Giulio Tremonti ha aperto le danze contro “i banchieri di sinistra”, Silvio Berlusconi lo ha seguito (“Sono amici della sinistra”), e di recente Marina Berlusconi ha ribadito fingendo di smentire: “Non è una questione di banchieri di sinistra – ha detto al Corriere della Sera – quanto di banche di sinistra. È una constatazione innegabile il fatto che la sinistra abbia un’influenza massiccia su settori importanti dell’economia, dalle coop alle polizze al credito. È questo il vero conflitto di interessi” (se lo dice lei…). Va detto che non c’è banchiere che, in questi anni, non sia stato blandito o corteggiato dall’establishment progressista. Si cominciò nel 1993 con Carlo Azeglio Ciampi, che dal punto di vista storico è il primo premier ad aver designato ministri di area post-comunista. Si proseguì con Lamberto Dini che – a modo suo – sedusse anche Il manifesto con il suo titolo choc “Baciare il rospo”. Non è un mistero che quando fu colpito da ictus – nel 1999 Beniamino Andreatta lavorasse alla leadership di Giovanni Bazoli. Il banchiere bresciano, d’altra parte, è stato per anni ospite – in braghe di velluto – dei convegni ulivisti di Camaldoli.

    Banchierite. Nel 2000, mentre il centrosinistra era governato da Giuliano Amato ci fu persino chi fece il nome di Antonio Fazio come possibile leader. Tommaso Padoa-Schioppa divenne ministro dell’Economia nel Prodi-bis. Subito dopo fu la volta di Mario Draghi. Bastava che in una relazione criticasse la politica economica di Berlusconi perché il suo nome fosse nel toto-premier di tutti i governi tecnici. C’è insomma, un pezzo di Pd e un pezzo di giornalismo democratico che preferisce il soccorso bancario al soccorso rosso, la leggenda dei santi finanziatori al rischio di scalata del vendolismo o dei “rottamatori” renzisti. Nella comunità dei riformisti affranti cresce la speranza del “Papa straniero” che si fa leader, ovvero del marziano che arriva fuori dal mondo della politica dove la battaglia dell’egemonia è persa. Scherza, ma nemmeno troppo Marco Minniti: “Adesso diranno che noi 75 firmatari del documento Veltroni sapevamo, che abbiamo fatto cacciare Profumo e che ora lo candidiamo a leader del Pd”. Aggiunge, ironico, Giulio Santagata: “Non è che non mi piacerebbe ma…”. Dateci Passera! dateci Profumo! E se non c’è uno di questi due, dateci almeno Roberto Saviano.

    Da Il Fatto Quotidiano del 22 settembre 2010

    Edited by Romeottvio - 22/9/2010, 18:42
     
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  3. lupog
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    CITAZIONE (Romeottvio @ 22/9/2010, 18:05)
    Aiaiaia , per quel che ne sapevo Profumo era ed è legato al PD , la moglie si era addirittura candidata nelle liste del partito e parlare ora di ingerenza politica come se questa fosse una gran scoperta mi sorprende , contrariamente alle mie abitudini vorrei segnalare un articolo proveniente da un giornale di parte , esendo questo un giornale d' opposizione che più non si può lo facco volentieri.

    Nessuna sorpresa Romeo. Dico solo che non va bene. E lo dicevo anche in passato: leggere il post sulla vicenda unipol- BNL
    Non so se Profumo fosse legato al PD, so che di politico il suo piano che aveva consentito a Unicredit di diventare uno dei maggiori gruppi bancari europei aveva poco o nulla

    Ho dei dubbi che i clienti e i piccoli azionisti abbiano da guadagnare ad avere come referenti dell'andamento della loro banca i politici.

    Poi uno può esser anche indifferente di fronte all'andazzo. Però non si venga a piagnucolare quando ci si accorge che le banche italiane fanno cartello sulle commissioni e offrono i mutui più cari d'Europa :wallbash:

    Edited by lupog - 22/9/2010, 19:04
     
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    Bè , nòn mi pare che l' Unicredit si sia distinta per la sua rivoluzionaria politica di credito e credere che il Pd Nòn abbia influenza su banche , imprenditori e cooperative mi pare alquanto azzardato .
     
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  5. lupog
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    CITAZIONE (Romeottvio @ 22/9/2010, 19:04)
    Bè , nòn mi pare che l' Unicredit si sia distinta per la sua rivoluzionaria politica di credito e credere che il Pd Nòn abbia influenza su banche , imprenditori e cooperative mi pare alquanto azzardato .

    Caro Romeo non ho alcuna intenzione di fare pubblicità a un gruppo bancario piuttosto che a un altro. Dico solo che non vedo perchè in Italia, uno debba attuare politiche spregiudicate nel credito se questo gli consente comunque nell'attuale stato del sistema bancario nostrano di fare buoni profitti e mantenere una posizione di primo piano. I banchieri non sono certo dei benefattori.
    In generale se secondo te è un bene mantenere una stretta relazione tra potere politico e finanziario e che ciò non abbia alcuna influenza sulla qualità dei servizi erogati in Italia hai tutto il diritto di mantenere questa convinzione. Io la penso diversamente e ti propongo solo una spunto di riflessione: ma secondo te se la politica è ammanettata con le banche avrà più interesse a favorire lo sviluppo di una concorrenza a vantaggio dei clienti o a preservare il vantaggioso legame tra potere e denaro ? ;)

    P.S: sul rapporto tra sinistre e banche vedi il link postato sopra a proposito di Unipol
     
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  7. lupog
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    CITAZIONE (Romeottvio @ 23/9/2010, 09:19)
    volevo solo sttolineare che la gestione Profumo nòn era poi così "apolitica" , tutto lì. ;)

    Può darsi che tu abbia notizie che io non possiedo Romeo. Ma quali sono gli elementi da cui tu ricavi la politicità della gestione di Profumo? :hmm:

    Ammettiamo anche che lui abbia simpatie per il Pd, ma se non influenzano la gestione restano affari suoi. :dunno:
     
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    Nòn hò nessuna prova , come nòn ne avevo ai tempi di Greganti e nemmeno a quelli di Consorte , prima che la magistratura nòn confermasse , permettimi di esprimere il sospetto ,
     
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  9. lupog
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    CITAZIONE (Romeottvio @ 23/9/2010, 12:11)
    Nòn hò nessuna prova , come nòn ne avevo ai tempi di Greganti e nemmeno a quelli di Consorte , prima che la magistratura nòn confermasse , permettimi di esprimere il sospetto ,

    Va bien, a me pare che i casi da te citati abbiano poco in comune con Profumo su cui tra l'altro che sappia non pendono indagini della giustizia.
    Poi l'esercizio del sospetto preventivo a me non piace granché, ai tempi della Rivoluzione ai semplici sospetti tagliavano la testa.... e penso sia giusto riflettere sulla sua pericolosità.... :unsure: poi fai come meglio credi
     
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    Carissimo Lupo , nòn hò intenzione di tagliare teste e neppue di accusare Profumo di qualcosa di illegale , per favorire qualcuno nòn c' è bisogno di infrangere la legge , è più che logico un margine di discrezionalità , in quanto però alla nomea politica dèl banchere invito a leggere il seguente articolo :
    http://proletaricomunisti.blogspot.com/201...-unicredit.html
    :cheers:
     
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  11. lupog
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    CITAZIONE (Romeottvio @ 23/9/2010, 18:19)
    Carissimo Lupo , nòn hò intenzione di tagliare teste e neppue di accusare Profumo di qualcosa di illegale ,

    Infatti Romeo non ti ci vedo come tagliatore di teste. :D
    Purtroppo invece siamo in un Paese in cui le teste dei manager di aziende private cadono o rimangono in piedi non in base alle capacità dimostrate ma alle illazioni e alle preferenze dei politici. :giveup:
     
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  12. alexandrom
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    Un contesto che rispecchia la società italiana in senso lato.

    La piccola e media società italiana sè mi si concede il termine. Sempre piu' restia anche solo a gettare lo sguardo oltre il proprio cortile.

    Seguendo alla lettera il consiglio di Bilbo Baggins che recita:
    "It's a dangerous business, going out your door. You step onto the road, and if you don't keep your feet, there's no telling where you might be swept off to. "

    :D
     
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    passano i decenni ma...
    https://it.blastingnews.com/cronaca/2014/0...085759.amp.html

    Papa Francesco contro politici e manager: 'Stipendi, pensioni d'oro, vergogna'...

    l'assembea dei soci Unicredit che dovrà ufficializzrae il nuovo Cda con presidente Pier Carlo Padoan e amministratore delegato, appunto Andrea Orcel. Prenderà il posto di Jean Pierre Mustier che, dopo quattro anni al timone di piazza Gae Aulenti, ha abdicato lo scorso febbraio dopo la firma sul bilancio 2020 (perdita contabile di 2,78 miliardi, superiore alle attese di 2,3). Orcel ha dunque il compito di rilanciare Unicredit a partire dalla sfida sui ricavi, ma intanto, prima ancora di prendere il comando, è scoppiato il caso del suo compenso: 7,5 milioni l'anno (2,5 milioni più un premio in azioni di 5 milioni) che lo rendono il banchiere più pagato d'Italia....Orcel è certo che il Papa non si riferisce a lui...
     
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12 replies since 22/9/2010, 16:35   373 views
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