Fede e Ragione

La razionalità allontana da Dio? Il pensiero dominante della società moderna cambierà?

« Older   Newer »
 
  Share  
.
  1. SorenMathijsen
        +1   -1
     
    .

    User deleted


    Volevo proporvi una riflessione su come la razionalità avvicini a Dio. In questa società permeata dallo scientismo e dal pensiero illuminista ci tenevo a proporvi un qualcosa di diverso, forse innovativo per far nascere uno cambio di opinioni su questo tema.
    I link che sto per proporvi sono delle rielaborazioni di teologi e scienziati che ripropongono in chiave moderna i lavori dei grandi della scolastica e dei loro successori più moderni sia filosoficamente che scientificamente.

    Tra questi mi piacerebbe segnalarvi

    1) l'argomento cosmologico kalam (che deriva dalla prima filosofia islamica): https://apologeticaecreazione.wordpress.co...-kalam-parte-1/

    2) il Moral Argument (che tratta l'oggettività della morale e confuta il relativismo):
    https://apologeticaecreazione.wordpress.co...moral-argument/

    Secondo voi il pensiero comune che la ragione allontani da Dio e dalla religione, potrebbe un giorno cambiare? Qual è secondo voi il rapporto Fede-Ragione?

    grazie mille e buona giornata a tutti

    Edited by SorenMathijsen - 13/2/2016, 10:28
     
    Top
    .
  2.     +1   -1
     
    .
    Avatar

    Advanced Member

    Group
    Member
    Posts
    7,412
    Reputation
    +647

    Status
    Offline
    Il teista è un uomo fermamente convinto dell'esistenza di un Essere supremo tanto buono che potente, che ha formato tutti gli esseri estesi, vegetanti, senzienti e pensanti; che perpetua la loro specie, punisce senza crudeltà le colpe e ricompensa con bontà le azioni virtuose.
    Il teista non sa come Dio punisca, ricompensi e perdoni; poiché non è tanto temerario da lusingarsi di conoscere come Dio agisce; ma sa che Dio agisce ed è giusto.
    Le difficoltà contro la Provvidenza non scuotono affatto la sua fede, perché sono soltanto grandi difficoltà, non prove; è sottomesso a questa Provvidenza, sebbene ne scorga solo alcuni effetti e alcune apparenze; e, giudicando le cose che non vede da quelle che vede, pensa che essa si estenda a tutti i luoghi e a tutti i tempi.
    Concorde in questo principio con il resto dell'universo, il teista non abbraccia alcuna setta, sapendo che tutte si contraddicono.
    La sua religione è la più antica e la più diffusa di tutte, perché la semplice adorazione di un Dio precedette tutti i sistemi del mondo.
    Egli parla una lingua che tutti i popoli intendono, mentre essi non si intendono affatto tra loro.
    Ha fratelli da Pechino alla Caienna, e considera fratelli suoi tutti gli uomini saggi.
    Egli crede che la religione non consista né nelle opinioni d'una metafisica inintelligibile, né in vani apparati, ma nell'adorazione e nella giustizia.
    Fare il bene, questo il suo culto; essere sottomesso a Dio, questa la sua dottrina.
    Il maomettano gli grida:
    «Guai a te se non farai il pellegrinaggio alla Mecca!»; e un recolletto gli dice: «Sventura a te se non vai a Loreto a pregare la Madonna!»
    Egli ride di Loreto e della Mecca, ma soccorre il povero e difende l'oppresso.

    Questo è ciò che scrive Voltaire, e questo è ciò che penso anche io, considero l'ateismo un dogma, in nuce pericoloso come qualsiasi altro dogma religioso, inventato dagli uomini in cerca di verità assolute, o del modo di sfruttare presunte verità per affermare un potere, non esistono verità assolute, solo la ricerca costante e infinita della verità.

    Ripetiamolo ogni giorno a tutti gli uomini: «La morale è una: essa viene da Dio; i dogmi sono diversi: vengono
    da noi.»
    Gesù non insegnò nessun dogma metafisico; non scrisse opuscoli teologici; non disse: «Io sono consustanziale,
    ho due volontà e due nature in una sola persona.» Egli lasciò ai cordiglieri e ai giacobiti, che dovevano venire dodici
    secoli dopo di lui, il compito di argomentare per stabilire se sua madre fosse stata concepita o no nel peccato originale; non disse mai che il matrimonio è il segno visibile di una cosa invisibile; non disse una parola della grazia
    concomitante; non istituì né monaci né inquisitori; non prescrisse niente di quel che vediamo oggi.
    Dio aveva dato la conoscenza del giusto e dell'ingiusto in tutti i tempi che precedettero il cristianesimo. Dio
    non è mutato e non può mutare; il fondo della nostra anima, i nostri principi di ragione e di morale saranno eternamentei medesimi.
    A che servono alla virtù le distinzioni teologiche, i dogmi fondati su queste distinzioni, le persecuzioni
    fondate su questi dogmi? La natura, sgomenta e fremente d'orrore contro tutte queste invenzioni barbare, grida a tutti gli uomini: «Siate giusti, e non dei sofisti persecutori!»
    Leggete nel Sadder, che è il compendio delle leggi di Zoroastro, questa saggia massima: «Quando non è sicuro
    se un'azione che ti viene proposta sia giusta o ingiusta, astieniti.» Chi mai dette una regola più ammirevole? Quale
    legislatore si espresse meglio? Non è questo il sistema delle opinioni probabili, inventate da gente che si chiamava «la Società di Gesù».

    Dizionario Filosofico, alla voce Giusto e dell'ingiusto.

    Edited by Romeottavio - 13/2/2016, 11:36
     
    Top
    .
  3.     +1   -1
     
    .
    Avatar

    Advanced Member

    Group
    Amico del forum
    Posts
    3,315
    Reputation
    +496
    Location
    Lombardia

    Status
    Offline
    Ciao SorenMathijsen, hai scelto un argomentino da poco per iniziare :)
    Ovviamente il tema è estremamente complesso.

    Intanto l'argomentazione cosmologica non deriva dalla filosofia islamica ma deriva dalla filosofia greca ripresa poi in ambito medievale, in particolare fa riferimento all'idea del motore immobile di Platone ed Aristotele.

    Sulla seconda argomentazione ti rimando ad una discussione abbastanza accesa sul fatto se la morale esista o meno ed inizia più o meno qui

    Io, in genere, non amo le dimostrazioni sic et simpliciter.
    Certo, sono anche io con San Paolo che ci ricorda che dobbiamo saper rendere conto della ragione della nostra fede, ma non scivolerei sul piano della dimostrazione puramente logica.

    Sul piano della logica posso senz'altro argomentare che la morale esiste, che da questa ne derivi automaticamente Dio sul piano logico è un altro paio di maniche.

    Quanto alla prima dimostrazione, andrebbe confutata qual ora si dovesse scoprire che il nostro universo è ciclico (la teoria dell'eterno ritorno), ovvero che dopo il big bang si espande, per poi tornare nuovamente indietro fino a ricreare il big bang e così via.

    Io partirei da un po' più in basso.
    Che cos'è la ragione?

    Che cos'è la fede?

    La ragione non è altro che la capacità dell'uomo di spiegare dei fenomeni correlando fra essi tutti gli elementi del reale che lo compongono senza escluderne o censurarne qualcuno.

    La fede non è altro che un mezzo conoscitivo indiretto che si basa sul principio che se l'altro sa quello che dice e non mi vuole ingannare allora posso ritenere per vero quello che dice.

    Se vostra moglie vi manda al supermercato perché c'è un 3x2 di un prodotto che le interessa, voi vi ci recate a prescindere dal fatto che abbiate visto o meno il volantino, ovvero vi fidate, sapete, seppur in maniera indiretta, che quell'offerta al supermercato esiste.

    Venendo a Romeo
    CITAZIONE
    Il teista non sa come Dio punisca, ricompensi e perdoni; poiché non è tanto temerario da lusingarsi di conoscere come Dio agisce; ma sa che Dio agisce ed è giusto.

    Bellissima questa frase, sinceramente non la conoscevo.
    Devo dire che la condivido a tratti. Il tratto nobile di questa frase (e che tanti credenti dimenticano correndo il rischio di essere ideologici) è che l'uomo non può e non deve avere l'arroganza di ascrivere a Dio quello che in realtà è un loro pensiero. Dio si può sempre manifestare come e dove vuole senza essere particolarmente vincolato ad un determinato Dogma e solo se l'uomo è in perenne ascolto può cogliere i segni di Dio.
    Ma, l'altro lato della medaglia, è che se Dio decide di rivelarsi in un modo che sia comprensibile all'uomo, non si può più dire che l'uomo non possa conoscere come Dio si comporti.

    Togliamo di mezzo di Dio e mettiamo una persona che conosciamo molto bene.
    Per quanto possiamo conoscere nostra moglie, flglio, madre, ecc, sarebbe arrogante dedurre tutti i suoi comportamenti e pensieri da qui all'eternità, l'altra persona ha una sua iniziativa personale che si gioca nel rapporto interpersonale con noi e gli altri, è un'entità viva, non una serie di pensieri immobili e a loro stanti. Non per questo possiamo fingere di non sapere che cosa questa persona gradisce, cosa la fa arrabbiare, cosa le fa dispiacere, ecc, ecc.
    Direi che c'è una via di mezzo.

    Quanto al resto almeno sul matrimonio Gesù è stato chiaro "non separi l'uomo ciò che Dio ha unito", poi ovviamente si può benissimo non credere in Gesù, ma non si può dire che Gesù non abbia mai detto che il matrimonio è il segno visibile di una cosa invisibile.

    Inoltre se posso essere ben d'accordo sull'inutilità delle persecuzioni, non lo sono affatto sull'inutilità di dare alle virtù delle distinzioni teologiche. In fondo la saggia massima citata "Quando non sei sicuro se un'azione che ti viene proposta sia giusta o ingiusta, astieniti" non deriva, in ultima analisi da una serie di distinzioni precedentemente operate? Perché in fondo se una cosa è ingiusta è anche disapprovata da Dio, quindi il discorso teologico non è inutile, ma uno strumento ulteriore.
     
    Top
    .
  4. Mick3
        +1   -1
     
    .

    User deleted


    Sono ateo e amo la scienza e la ragione, ma non mi sento né scientista né illuminista.

    Ho dato una veloce scorsa agli articoli e non mi sono sentito molto stimolato a leggerli per intero e ad approfondirli.

    Prendiamo il secondo, per esempio: tu dici che "tratta l'oggettività della morale e confuta il relativismo". L'oggettività della morale in realtà è posta come premessa, la 2; viene sostenuta con argomento non troppo raffinati:

    "1) La nostra esperienza morale indica che leggi morali esistono [...] Le persone che non riconoscono questo sono semplicemente handicappate, ovvero hanno la stessa limitazione del cieco che non riesce a vedere il mondo fisico. Non c’è nessun motivo per il quale una persona che non sia in grado di riconoscere queste leggi debba influenzare la credibilità di esse, proprio come un cieco non deve convincerci che il mondo esterno non esista.
    Ricordiamoci infatti, che accettare il soggettivismo equivale letteralmente a dire che non esistono leggi morali."

    Ovvero: le leggi morali esistono; chi lo nega è handicappato e non bisogna prenderlo in considerazione; dire che le leggi morali sono soggettive equivale a dire che non esistono quindi, siccome esistono, sono oggettive. Dovrei sentirmi convinto da questi argomenti? assai improbabile!

    L'errore maggiore di questo approccio sta proprio nel vedere una relazione troppo stringente tra convinzioni ed azioni, o tra convinzioni e valore delle persone: la giustificazione dell'intolleranza è sempre dietro l'angolo. Filosofia e religione, a ben pensarci, hanno di per sé un valore del tutto "privato"; quello che ci interessa in quanto animali sociali è il diritto, nella sua accezione più ampia.

    La mia "religione" attuale è prima di tutto quella del diritto e della "verità" (rigorosamente con la minuscola); le domande religiose rimangono, così come il rispetto per le risposte che si danno gli altri - che magari coincidono con quelle che mi davo io 15 anni fa.

    Ho molta fiducia nella ragione (che credo possa giustificare il diritto), poca nei "ragionamenti", che spesso sono tali sono di nome: catene di connessioni logiche privi di reale cogenza.

    Il problema davvero stringente è quello del rispetto: se saremo d'accordo sui modi della convivenza, allora tutti potranno compiere in pace le proprie ricerche religiose, associarsi per i loro riti ecc... E l'inaccettabilità delle convinzioni - religiose, ma anche di qualunque altra natura - nascerà soltanto quando si esprimeranno in azioni - effettive o progettate - incompatibili col nostro "diritto" (di nuovo in senso esteso).

    Ho molta fiducia nella ragione; penso però che si debba ancora imparare ad usarla realmente: dopo millenni siamo fermi ai primi passi. I modi della ragione vengono scimmiottati per giustificare cose che poi ad essa si contrappongono brutalmente.

    Non ho tempo ora per esporre le mie convinzioni (che sono tutt'altro che definitive: spero di riuscire a metterle a fuoco e scriverle prima che morte mi separi da loro): anticipo però che il primo passo per l'uso della ragione consiste nell'imparare a non usarla troppo: spesso non si sa, e spesso non si è in grado di trarre conclusioni (è una specie di parziale agnosticismo - in senso filosofico e non teologico, naturalmente). Scrivo in minuscolo "verità" perché so bene quali rischi intellettuali siano legati agli Universali e alle universalizzazioni, e soprattutto perché per ora mi azzardo a definirla solo in negativo. Dunque la non-verità, l'errore, è al momento il mio "demonio"; se i giudizi sugli altri, sul loro valore o la loro pericolosità, sono non-veri (perché affrettati o basati su argomenti poco cogenti), allora evitare tali giudizi (e dunque rispettare gli altri) è una forma di rispetto per se stessi.

    Il rispetto per le persone è dunque un corollario del rispetto per la verità, il quale a sua volta poggia sull'amore per se stessi; diffido di complessi ragionamenti che portino a conclusioni troppo facili da tradurre in atteggiamenti di intolleranza - specie se questa intolleranza è già contenuta negli argomenti ("Le persone che non riconoscono questo sono semplicemente handicappate").

    Tutto sommato ho più simpatia (ma non approvazione incondizionata) per chi si accosta alla religione con un approccio del tutto irrazionale, basandosi magari su proprie esperienze interiori (evito la parola "mistiche" perché troppo impegnativa) molto forti; perché lambiccarsi per darsi risposte, se non c'è un'urgenza interiore? e l'urgenza interiore difficilmente si accontenterebbe di argomenti come quelli presentati sopra.

    L'altra "religione" (quella della prima fonte indicata da Bergson) da secoli cerca l'approvazione e la tutela della ragione: ma lo fa per i suoi fini. E' dunque inaccettabile? no! paradossalmente è anch'essa accettabile; ma a chi la pratica suggerisco di rivolgersi apertamente alla sociologia, difendendo senz'altro il proprio modello di società (che Bergson definisce - un po' tendenziosamente - "chiusa"; sarebbe peggio ancora definirla "di destra", e forse il termine "tradizionale" è il migliore) senza usare faticosamente la ragione per difendere lo strumento (la religione) che tale società usava (e ancora cerca di usare) per sostenersi. Nonostante le disavventure novecentesche, penso che la società "tradizionale" sia un modello ancora meritevole di essere esaminato e magari originalmente interpretato: è una strada ancora sostanzialmente aperta.

    L'argomento proposto è davvero troppo ampio: chiudo qui, per ora.

    p.s.: vedo che mr.chipko ha risposto con argomenti qua e là simili ai miei, seppur con più dottrina: rileggerò con calma.
     
    Top
    .
  5.     +1   -1
     
    .
    Avatar

    Advanced Member

    Group
    Amico del forum
    Posts
    3,315
    Reputation
    +496
    Location
    Lombardia

    Status
    Offline
    CITAZIONE (Mick3 @ 13/2/2016, 13:32) 
    L'errore maggiore di questo approccio sta proprio nel vedere una relazione troppo stringente tra convinzioni ed azioni, o tra convinzioni e valore delle persone: la giustificazione dell'intolleranza è sempre dietro l'angolo.

    Concordo.
    CITAZIONE (Mick3 @ 13/2/2016, 13:32) 
    Filosofia e religione, a ben pensarci, hanno di per sé un valore del tutto "privato"; quello che ci interessa in quanto animali sociali è il diritto, nella sua accezione più ampia.

    Il diritto senza filosofia non va molto lontano.
    CITAZIONE (Mick3 @ 13/2/2016, 13:32) 
    Ho molta fiducia nella ragione (che credo possa giustificare il diritto), poca nei "ragionamenti", che spesso sono tali sono di nome: catene di connessioni logiche privi di reale cogenza.

    Forse, e dico forse, intendi dire che hai molta fiducia nell'osservazione e poco nei ragiomenti?
    Mi riferismo alla massima di Alexis Carrel:Poca osservazione e molto ragionamento conducono all'errore; molta osservazione e poco ragionamento conducono alla verità
    CITAZIONE (Mick3 @ 13/2/2016, 13:32) 
    Il problema davvero stringente è quello del rispetto: se saremo d'accordo sui modi della convivenza, allora tutti potranno compiere in pace le proprie ricerche religiose, associarsi per i loro riti ecc... E l'inaccettabilità delle convinzioni - religiose, ma anche di qualunque altra natura - nascerà soltanto quando si esprimeranno in azioni - effettive o progettate - incompatibili col nostro "diritto" (di nuovo in senso esteso).

    È un ottimo principio, però a volte salta. Prendiamo temi sensibili che coinvolgono la vita umana delle persone.
    Tipo il classico esempio dell'aborto. È omicidio, non lo è? La scienza, intendendo con essa quella esatta e non quella positiva non è in grado di definire cosa sia l'uomo (a meno che non ci si fermi al puro dato genetico, che confema che al momento della fusione dei gameti c'è a tutti gli effetti una cosa diversa dall'ovulo e dalla spermatozoo e che da lì in poi non c'è soluzione di continuità) o stabilire cosa rende degno il vivere una vita.
    Come si traduce qui il rispetto dell'opinione altrui? Posso rispettare l'altro, non c'erto l'opinione. E se il figlio in questione fosse il mio? Di fatto il diritto permette perfino a mia moglie di abortire, anche in seguito ad un rapporto perfettamente consensuale. Il diritto del padre non conta niente? E del figlio?
    Ripeto è un ottimo principio ispiratore, ma è più un auspicio. Sulle questioni che più ci premono sempre alla filosofia o alla religione dobbiamo far riferimento per il semplice fatto che la scienza non può rispondere in termini di giusto o sbagliato. La scienza è completamente estranea alla morale.
    CITAZIONE (Mick3 @ 13/2/2016, 13:32) 
    anticipo però che il primo passo per l'uso della ragione consiste nell'imparare a non usarla troppo: spesso non si sa, e spesso non si è in grado di trarre conclusioni (è una specie di parziale agnosticismo - in senso filosofico e non teologico, naturalmente).

    Concordo nuovamente, ma questa tua conclusione, che ritengo essere assolutamente giusta in quanto è basata sull'esperienza che ognuno di noi può fare, non è "imparare a non usarla troppo", ma il riconoscere che ha dei limiti.
    Che si possa sapere di non poter sapere, non è altro che la conferma della limitatezza dello strumento (come ogni altro strumento umano del resto).
    CITAZIONE (Mick3 @ 13/2/2016, 13:32) 
    Scrivo in minuscolo "verità" perché so bene quali rischi intellettuali siano legati agli Universali e alle universalizzazioni, e soprattutto perché per ora mi azzardo a definirla solo in negativo. Dunque la non-verità, l'errore, è al momento il mio "demonio"; se i giudizi sugli altri, sul loro valore o la loro pericolosità, sono non-veri (perché affrettati o basati su argomenti poco cogenti), allora evitare tali giudizi (e dunque rispettare gli altri) è una forma di rispetto per se stessi.

    Non so se ti possa aiutare a sconfiggere questo tuo demonio laico, ma nella Chiesa c'è distinzione fra peccato e peccatore, dove la condanna è riservata al peccato e non al peccatore. Se tieni a mente questa distinzione puoi giungere più facilmente ad alcuni principi generali e dire "questo è sbagliato" o "questo è giusto" senza correre il rischio di cadere in preda a intolleranza. Io posso condannare l'omicio e perdonare l'omicida senza rinunciare al principio.
    CITAZIONE (Mick3 @ 13/2/2016, 13:32) 
    Il rispetto per le persone è dunque un corollario del rispetto per la verità, il quale a sua volta poggia sull'amore per se stessi;

    Ci devo pensare su. Ci sono delle premesse molto interessanti ma le devo mettere a fuoco.

    CITAZIONE (Mick3 @ 13/2/2016, 13:32) 
    Tutto sommato ho più simpatia (ma non approvazione incondizionata) per chi si accosta alla religione con un approccio del tutto irrazionale, basandosi magari su proprie esperienze interiori (evito la parola "mistiche" perché troppo impegnativa) molto forti;

    Io no ;) , perché questi sono proprio quelli che poi diventano inquisitori, torturatori, proclamatori di crociate e quant'altro, e data la caratura carismatica di queste persone sono un vero e proprio pericolo per la società.
    Mentre un principio o un ragionamento sbagliato lo si può confutare, è impossibile sindacare sui sentimenti, o sulle sensazioni interiori.
    CITAZIONE (Mick3 @ 13/2/2016, 13:32) 
    L'altra "religione" (quella della prima fonte indicata da Bergson) da secoli cerca l'approvazione e la tutela della ragione: ma lo fa per i suoi fini. E' dunque inaccettabile? no! paradossalmente è anch'essa accettabile; ma a chi la pratica suggerisco di rivolgersi apertamente alla sociologia, difendendo senz'altro il proprio modello di società (che Bergson definisce - un po' tendenziosamente - "chiusa"; sarebbe peggio ancora definirla "di destra", e forse il termine "tradizionale" è il migliore) senza usare faticosamente la ragione per difendere lo strumento (la religione) che tale società usava (e ancora cerca di usare) per sostenersi. Nonostante le disavventure novecentesche, penso che la società "tradizionale" sia un modello ancora meritevole di essere esaminato e magari originalmente interpretato: è una strada ancora sostanzialmente aperta.

    Hai qualche link dove viene spiegato più diffusamente quanto sopra? Non conosco i modelli sopra citati e vorrei prima capire cosa significano alcuni concetti (tipo cos'è la prima fonte?)
     
    Top
    .
  6. SorenMathijsen
        +1   -1
     
    .

    User deleted


    CITAZIONE (mr.chipko @ 13/2/2016, 13:25) 
    Ciao SorenMathijsen, hai scelto un argomentino da poco per iniziare :)
    Ovviamente il tema è estremamente complesso.

    Intanto l'argomentazione cosmologica non deriva dalla filosofia islamica ma deriva dalla filosofia greca ripresa poi in ambito medievale, in particolare fa riferimento all'idea del motore immobile di Platone ed Aristotele.

    Sulla seconda argomentazione ti rimando ad una discussione abbastanza accesa sul fatto se la morale esista o meno ed inizia più o meno qui

    Io, in genere, non amo le dimostrazioni sic et simpliciter.
    Certo, sono anche io con San Paolo che ci ricorda che dobbiamo saper rendere conto della ragione della nostra fede, ma non scivolerei sul piano della dimostrazione puramente logica.

    Sul piano della logica posso senz'altro argomentare che la morale esiste, che da questa ne derivi automaticamente Dio sul piano logico è un altro paio di maniche.

    Quanto alla prima dimostrazione, andrebbe confutata qual ora si dovesse scoprire che il nostro universo è ciclico (la teoria dell'eterno ritorno), ovvero che dopo il big bang si espande, per poi tornare nuovamente indietro fino a ricreare il big bang e così via.

    Io partirei da un po' più in basso.
    Che cos'è la ragione?

    Che cos'è la fede?

    La ragione non è altro che la capacità dell'uomo di spiegare dei fenomeni correlando fra essi tutti gli elementi del reale che lo compongono senza escluderne o censurarne qualcuno.

    La fede non è altro che un mezzo conoscitivo indiretto che si basa sul principio che se l'altro sa quello che dice e non mi vuole ingannare allora posso ritenere per vero quello che dice.

    Se vostra moglie vi manda al supermercato perché c'è un 3x2 di un prodotto che le interessa, voi vi ci recate a prescindere dal fatto che abbiate visto o meno il volantino, ovvero vi fidate, sapete, seppur in maniera indiretta, che quell'offerta al supermercato esiste.

    Venendo a Romeo
    CITAZIONE
    Il teista non sa come Dio punisca, ricompensi e perdoni; poiché non è tanto temerario da lusingarsi di conoscere come Dio agisce; ma sa che Dio agisce ed è giusto.

    Bellissima questa frase, sinceramente non la conoscevo.
    Devo dire che la condivido a tratti. Il tratto nobile di questa frase (e che tanti credenti dimenticano correndo il rischio di essere ideologici) è che l'uomo non può e non deve avere l'arroganza di ascrivere a Dio quello che in realtà è un loro pensiero. Dio si può sempre manifestare come e dove vuole senza essere particolarmente vincolato ad un determinato Dogma e solo se l'uomo è in perenne ascolto può cogliere i segni di Dio.
    Ma, l'altro lato della medaglia, è che se Dio decide di rivelarsi in un modo che sia comprensibile all'uomo, non si può più dire che l'uomo non possa conoscere come Dio si comporti.

    Togliamo di mezzo di Dio e mettiamo una persona che conosciamo molto bene.
    Per quanto possiamo conoscere nostra moglie, flglio, madre, ecc, sarebbe arrogante dedurre tutti i suoi comportamenti e pensieri da qui all'eternità, l'altra persona ha una sua iniziativa personale che si gioca nel rapporto interpersonale con noi e gli altri, è un'entità viva, non una serie di pensieri immobili e a loro stanti. Non per questo possiamo fingere di non sapere che cosa questa persona gradisce, cosa la fa arrabbiare, cosa le fa dispiacere, ecc, ecc.
    Direi che c'è una via di mezzo.

    Quanto al resto almeno sul matrimonio Gesù è stato chiaro "non separi l'uomo ciò che Dio ha unito", poi ovviamente si può benissimo non credere in Gesù, ma non si può dire che Gesù non abbia mai detto che il matrimonio è il segno visibile di una cosa invisibile.

    Inoltre se posso essere ben d'accordo sull'inutilità delle persecuzioni, non lo sono affatto sull'inutilità di dare alle virtù delle distinzioni teologiche. In fondo la saggia massima citata "Quando non sei sicuro se un'azione che ti viene proposta sia giusta o ingiusta, astieniti" non deriva, in ultima analisi da una serie di distinzioni precedentemente operate? Perché in fondo se una cosa è ingiusta è anche disapprovata da Dio, quindi il discorso teologico non è inutile, ma uno strumento ulteriore.

    Ciao, grazie mille per il commento. Punto primo, la prova cosmologica della Kalam è a tutti gli effetti di origine islamica, infatti tutte le argomentazioni cosmologiche greche si basavano sulla subordinazione sostanziale dell'entità e non sulla subordinazione temporale. Questa è una distinzione molto importante.

    Punto secondo, quando dici che accetti l'oggettività della morale, ma non la sua implicazione significa che rifiuti la prima premessa dell'argomento, che l'articolo difende bene. Avresti delle critiche a riguardo? Nello specifico l'articolo sostiene ragionevolmente che ogni legge necessita di un legislatore e che la causa della morale non può che venire da una entità trascendente poiché l'oggettività della morale implica la sua trascendenza.

    Punto terzo, l'articolo sulla Kalam non parla di Big bang e né dei PBBM (pre big bang models) come appunto il big crunch, che tu chiami con il termine "ciclico". Non credo sia necessario confutare l'ipotesi del big crunch (anche se è una teoria facilmente dimostrabile essere falsa grazie alla termodinamica), poiché le argomentazioni filosofiche proposte nell'articolo si applicano anche all'universo ciclico.

    La discussione sul che cosa sia la fede e che cosa sia la ragione può essere interessante. In poche parole dici che la fede si basi sul principio di autorità. Probabilmente sì, ma questo non esclude una base razionale.
     
    Top
    .
  7. SorenMathijsen
        +1   -1
     
    .

    User deleted


    CITAZIONE (Mick3 @ 13/2/2016, 13:32) 
    Sono ateo e amo la scienza e la ragione, ma non mi sento né scientista né illuminista.

    Ho dato una veloce scorsa agli articoli e non mi sono sentito molto stimolato a leggerli per intero e ad approfondirli.

    Prendiamo il secondo, per esempio: tu dici che "tratta l'oggettività della morale e confuta il relativismo". L'oggettività della morale in realtà è posta come premessa, la 2; viene sostenuta con argomento non troppo raffinati:

    "1) La nostra esperienza morale indica che leggi morali esistono [...] Le persone che non riconoscono questo sono semplicemente handicappate, ovvero hanno la stessa limitazione del cieco che non riesce a vedere il mondo fisico. Non c’è nessun motivo per il quale una persona che non sia in grado di riconoscere queste leggi debba influenzare la credibilità di esse, proprio come un cieco non deve convincerci che il mondo esterno non esista.
    Ricordiamoci infatti, che accettare il soggettivismo equivale letteralmente a dire che non esistono leggi morali."

    Ovvero: le leggi morali esistono; chi lo nega è handicappato e non bisogna prenderlo in considerazione; dire che le leggi morali sono soggettive equivale a dire che non esistono quindi, siccome esistono, sono oggettive. Dovrei sentirmi convinto da questi argomenti? assai improbabile!

    L'errore maggiore di questo approccio sta proprio nel vedere una relazione troppo stringente tra convinzioni ed azioni, o tra convinzioni e valore delle persone: la giustificazione dell'intolleranza è sempre dietro l'angolo. Filosofia e religione, a ben pensarci, hanno di per sé un valore del tutto "privato"; quello che ci interessa in quanto animali sociali è il diritto, nella sua accezione più ampia.

    La mia "religione" attuale è prima di tutto quella del diritto e della "verità" (rigorosamente con la minuscola); le domande religiose rimangono, così come il rispetto per le risposte che si danno gli altri - che magari coincidono con quelle che mi davo io 15 anni fa.

    Ho molta fiducia nella ragione (che credo possa giustificare il diritto), poca nei "ragionamenti", che spesso sono tali sono di nome: catene di connessioni logiche privi di reale cogenza.

    Grazie mille per la risposta Mick3, prima di tutto
    "le leggi morali esistono; chi lo nega è handicappato e non bisogna prenderlo in considerazione; dire che le leggi morali sono soggettive equivale a dire che non esistono quindi, siccome esistono, sono oggettive. Dovrei sentirmi convinto da questi argomenti? assai improbabile!"
    Dai per presupposto che chi nega le leggi morali oggettive non sia COME un handicappato, sottovalutando il criterio di autoevidenza che sotto sotto suppongo che anche tu accetti: credo sia auto evidente che ciò che Hitler abbia fatto sia qualitativamente diverso da ciò che ha fatto Madre Teresa. Se neghi la seconda premessa, sei poi costretto a dire che non esista alcuna differenza tra colui che uccide per divertimento un bambino e colui che lo salva. Il dibattito credo che quindi si debba concentrare più sulla prima premessa.

    Dire che se la morale è soggettiva allora non esiste non mi sembra un punto molto discutibile: se sostieni che la morale sia soggettiva vuol dire che credi che la verità della morale ricada nel soggetto e questo vuol dire che non c'è alcuna differenza tra colui che crede che uccidere per divertimento sia giusto e colui che crede sia sbagliato. Il fatto che esistano e non dipendano dalla propria opinione significa che sono oggettive, ovvero che la loro verità trascende l'opinione personale.
     
    Top
    .
  8.     +1   -1
     
    .
    Avatar

    Advanced Member

    Group
    Amico del forum
    Posts
    3,315
    Reputation
    +496
    Location
    Lombardia

    Status
    Offline
    Non quotare tutto il messaggio, se no il forum diventa illeggibile, ;)
    CITAZIONE (SorenMathijsen @ 13/2/2016, 16:00) 
    Ciao, grazie mille per il commento. Punto primo, la prova cosmologica della Kalam è a tutti gli effetti di origine islamica, infatti tutte le argomentazioni cosmologiche greche si basavano sulla subordinazione sostanziale dell'entità e non sulla subordinazione temporale. Questa è una distinzione molto importante.

    Certo ma alla fine sempre a Platone ed Aristotele si rifanno, non a caso da lì partirà anche Tommaso che è stato uno dei sistematori di Aristotele reintrodotto in Europa sotto i commenti di Averroè. Cmq è un punto di poca importanza.
    CITAZIONE (SorenMathijsen @ 13/2/2016, 16:00) 
    Punto secondo, quando dici che accetti l'oggettività della morale, ma non la sua implicazione significa che rifiuti la prima premessa dell'argomento, che l'articolo difende bene. Avresti delle critiche a riguardo? Nello specifico l'articolo sostiene ragionevolmente che ogni legge necessita di un legislatore e che la causa della morale non può che venire da una entità trascendente poiché l'oggettività della morale implica la sua trascendenza.

    Che l'uomo sia un animale morale è, per me, un fatto assolutamente oggettivo (ne ho parlato diffusamente alla discussione che ti ho linkato). Io, da credente, non ho alcuna difficoltà a riconoscere Dio come legislatore della morale, ma devo anche mettermi nei panni di chi non crede per capire se è una questione risolvibile puramente dalla logica o dalla ragione.

    Facciamo un esempio. Io torno a casa e trovo un regalo. Non c'è nessuno a cui chiedere. La logica mi suggerisce che a farmi questo regalo sia mia moglie, mio figlio, mia madre, mio padre (o da parte di qualcuno a cui hanno aperto la porta precedentemente).
    Sul regalo non c'è biglietto né niente. Poi lo apro e, dal momento che conosco mia madre, capisco che a farmelo è stata lei. Poi arriva un mio amico e mi chiede
    -chi ti ha fatto quel regalo?
    -mia madre
    -ah ti lasciato un biglietto?
    -no
    -allora come fai a sapere che è stata lei?
    -perché questo è il genere di regali che mi fa lei
    -ma non ne puoi essere sicuro
    -...
    -...

    e così via in una discussione che potrebbe essere molto lunga.

    Da parte mia, ricollegare quel tipo di regalo a mia madre è un'operazione assolutamente legittima, logica e razionale, ma tali premesse logiche derivano dal fatto che io conosco mia madre, mentre il mio amico no. Quindi il punto di partenza delle nostre logiche non è il medesimo, pertanto lui potrebbe arrivare a credermi per fede (si fida del fatto che io conosca mia madre e che quindi non mi sia sbagliato), ma a sua volta l'arrivare a credermi non dipende tanto dalla mia capacità di argomentare su mia madre su base razionale e logica (che certo non sono escluse), quanto dalla credibilità che io ho nei suoi confronti. Vale a dire che la sola forza dei miei argomenti non basta per essere creduto, se alla base non c'è un rapporto di fiducia preesistente (basato a sua volta da principi che sono anche razionali).
    Il mio argomentare in maniera logica il perché io sono certo del fatto che sia stata mia madre a darmi quel regalo non è una prova logica del fatto che sia stata lei a regalarmelo.
    La logica, da sola, non prova l'esistenza di Dio, nè la nega.

    CITAZIONE (SorenMathijsen @ 13/2/2016, 16:00) 
    La discussione sul che cosa sia la fede e che cosa sia la ragione può essere interessante. In poche parole dici che la fede si basi sul principio di autorità. Probabilmente sì, ma questo non esclude una base razionale.

    Infatti. Non per niente l'ho definita metodo conoscitivo.

    CITAZIONE
    Dai per presupposto che chi nega le leggi morali oggettive non sia COME un handicappato, sottovalutando il criterio di autoevidenza che sotto sotto suppongo che anche tu accetti

    Sì ma se qualcuno nega questa autoevidenza significa che tanto autoevidente non è.
    Tanto più che sarebbe un po' arrogante presupporre di essere gli unici normali in un mondo di handicappati (per quanto il sospetto a volte mi viene).
    Alla fine l'unica cosa innegabile è la morale, ma la piega che essa prende dipende da un insieme altissimo di fattori.
    Hitler aveva una morale, esso agiva secondo un suo codice etico (ben diverso dal mio, si intende), secondo il quale il bene era uccidere gli ebrei e i deboli.
    Secondo il principio del legislatore dovremmo allora presumere che un qualche legislatore avesse prescritto come giusto sterminare gli ebrei.

    Partiamo dalla legge morale verosimilmente più semplice e condivisa "non uccidere".
    Credo che in questo forum siamo tutti concordi su questo principio.
    Eppure...
    Cosa fare quando è in gioco un altra vita umana? È lecito uccidere una persona per impedirle di ucciderne un'altra?
    E se lo si facesse per impedire di uccidere una moltitudine di persone?
    Ecco che vediamo che pur un principio oggettivo inizia ad incarnarsi e assumere contorni più sfumati. Il non uccidere dipende dai numeri? Dalla colpevolezza della persona? È lecito uccidere nei casi in cui questo è il male minore? E con quali mezzi e strumenti stabiliamo in maniera oggettiva quale sia il male minore posto che le conseguenze future sono al di là di una previsione oggettiva?

    Quello che voglio farti capire, è che va bene avere delle certezze, io sono certissimo della mia fede e non c'è argomento razionale che possa scalfirla proprio perché la mia fede è razionale anch'essa, ma da lì a presumere che quindi abbiamo capito tutto, che abbiamo la verità in tasca, e che tutti gli altri siano degli idioti ne passa.
    San Paolo diceva (sto presumendo che tu sia cristiano) che la lettera uccide e lo spirito vivifica. Ciò significa che non dobbiamo mai avere un atteggiamento dogmatico

    Non a caso il papa ha detto:
    CITAZIONE
    Sì, in questo cercare e trovare Dio in tutte le cose resta sempre una zona di incertezza. Deve esserci. Se una persona dice che ha incontrato Dio con certezza totale e non è sfiorata da un margine di incertezza, allora non va bene. Per me questa è una chiave importante. Se uno ha le risposte a tutte le domande, ecco che questa è la prova che Dio non è con lui. Vuol dire che è un falso profeta, che usa la religione per se stesso. Le grandi guide del popolo di Dio, come Mosè, hanno sempre lasciato spazio al dubbio. Si deve lasciare spazio al Signore, non alle nostre certezze; bisogna essere umili. L’incertezza si ha in ogni vero discernimento che è aperto alla conferma della consolazione spirituale». «Il rischio nel cercare e trovare Dio in tutte le cose è dunque la volontà di esplicitare troppo, di dire con certezza umana e arroganza: “Dio è qui”. Troveremmo solamente un dio a nostra misura. L’atteggiamento corretto è quello agostiniano: cercare Dio per trovarlo, e trovarlo per cercarlo sempre.
     
    Top
    .
  9.     +1   -1
     
    .
    Avatar

    Advanced Member

    Group
    Amico del forum
    Posts
    3,315
    Reputation
    +496
    Location
    Lombardia

    Status
    Offline
    Alcune critiche di carattere puramente logico alla prima argomentazione:

    CITAZIONE
    La prima premessa, il fatto che tutto ciò che inizia ad esistere abbia una causa, è praticamente inconfutabile, poiché un qualcosa che viene in esistenza senza una causa equivale a dire che quella cosa sia venuta dal nulla (se qualcosa non viene dal nulla esiste già, quindi non viene in esistenza) e questo è impossibile per tre motivi:

    Teniamo per buona questa premessa e confrontiamola con questa altra conclusione:

    CITAZIONE
    Dire che la transizione di stati di una realtà condizionata dal tempo è asimmetrica significa che non si può tornare allo stato precedente, poiché lo stato precedente non esiste in quanto è stato sostituito dallo stato successivo (ovviamente ci si può spostare ad uno stato simile a quello passato, ma questo non vuol dire che si torni nel passato! Se si rompe una sedia, posso ricostruirla allo stato precedente, ma non per questo il tempo ha perso il suo carattere asimmetrico). Si può concludere quindi che gli eventi resi possibili dal tempo sono asimmetrici.

    In poche parole in questi due punti viene "dimostrato" che la realtà non può venire dal nulla (e fin qui) e che non è possibile tornare indietro nel tempo.

    Se prendiamo per buone entrambe queste tesi viene però negato quest'altra preposizione dell'argomentazione
    CITAZIONE
    Un numero infinito non può esistere in atto

    Infatti posto che nulla può essere tratto dall'essere l'essere non può essere tratto dal nulla è vero anche il suo contrario, ovvero che l'essere non può cessare di esistere secondo il noto principio "nulla si crea, nulla si ditrugge, tutto si trasforma". Ma dal momento che il tempo è asimmetrico, l'unica conseguenza logica è che, non potendo l'esistente distruggersi esso sia destinato ad un numero infinito di trasformazioni.

    Quindi o l'essere può passare al non essere (come sospettava Parmenide o come dice la Bibbia), o il tempo non è asimmetrico, o un numero infinito può esistere in atto.
    Le tre preposizioni insieme non sono coerenti.

    Edited by mr.chipko - 13/2/2016, 21:55
     
    Top
    .
  10. Mick3
        +1   -1
     
    .

    User deleted


    Rieccomi; rispondo intanto a mr.chipko.

    CITAZIONE (mr.chipko @ 13/2/2016, 14:49) 
    CITAZIONE (Mick3 @ 13/2/2016, 13:32) 
    Filosofia e religione, a ben pensarci, hanno di per sé un valore del tutto "privato"; quello che ci interessa in quanto animali sociali è il diritto, nella sua accezione più ampia.

    Il diritto senza filosofia non va molto lontano.

    Certo, perbacco! non ricordo cosa pensassi quando l'ho scritto, ma ho scritto una sciocchezza.

    CITAZIONE (mr.chipko @ 13/2/2016, 14:49) 
    CITAZIONE (Mick3 @ 13/2/2016, 13:32) 
    Ho molta fiducia nella ragione (che credo possa giustificare il diritto), poca nei "ragionamenti", che spesso sono tali sono di nome: catene di connessioni logiche privi di reale cogenza.

    Forse, e dico forse, intendi dire che hai molta fiducia nell'osservazione e poco nei ragiomenti?
    Mi riferismo alla massima di Alexis Carrel:Poca osservazione e molto ragionamento conducono all'errore; molta osservazione e poco ragionamento conducono alla verità

    Sto catalogando una biblioteca - un lavoretto per arrotondare - e proprio oggi pomeriggio mi è capitato sotto mano "L'uomo questo sconosciuto" di Alexis Carrel... curiosa coincidenza.
    No, la "osservazione" qui non c'entrava nulla: intendevo, molto banalmente, distinguere dalla ragione come strumento e da ciò che di fatto se ne ricava o le si attribuisce: catene di connessioni logiche prive di reale cogenza (e quindi con conclusioni alquanto opinabili).

    CITAZIONE (mr.chipko @ 13/2/2016, 14:49) 
    CITAZIONE (Mick3 @ 13/2/2016, 13:32) 
    Il problema davvero stringente è quello del rispetto: se saremo d'accordo sui modi della convivenza, allora tutti potranno compiere in pace le proprie ricerche religiose, associarsi per i loro riti ecc... E l'inaccettabilità delle convinzioni - religiose, ma anche di qualunque altra natura - nascerà soltanto quando si esprimeranno in azioni - effettive o progettate - incompatibili col nostro "diritto" (di nuovo in senso esteso).

    È un ottimo principio, però a volte salta. Prendiamo temi sensibili che coinvolgono la vita umana delle persone.
    Tipo il classico esempio dell'aborto. È omicidio, non lo è? La scienza, intendendo con essa quella esatta e non quella positiva non è in grado di definire cosa sia l'uomo (a meno che non ci si fermi al puro dato genetico, che confema che al momento della fusione dei gameti c'è a tutti gli effetti una cosa diversa dall'ovulo e dalla spermatozoo e che da lì in poi non c'è soluzione di continuità) o stabilire cosa rende degno il vivere una vita.
    Come si traduce qui il rispetto dell'opinione altrui? Posso rispettare l'altro, non c'erto l'opinione. E se il figlio in questione fosse il mio? Di fatto il diritto permette perfino a mia moglie di abortire, anche in seguito ad un rapporto perfettamente consensuale. Il diritto del padre non conta niente? E del figlio?
    Ripeto è un ottimo principio ispiratore, ma è più un auspicio. Sulle questioni che più ci premono sempre alla filosofia o alla religione dobbiamo far riferimento per il semplice fatto che la scienza non può rispondere in termini di giusto o sbagliato. La scienza è completamente estranea alla morale.

    Per il punto successivo, dove fai l'esempio dell'aborto, io in realtà mi fermavo molto prima, limitandomi a un accenno. Una prima linea di confine è tra le opinioni "inattive" (o non direttamente attive) e quelle che si traducono in azioni. Il problemaccio dell'aborto è già di là da questa linea.

    La scienza e la morale, secondo me, sono meno distinte di quanto sembrino; ma è un discorso lunghissimo e davvero complesso, che neppure ho messo del tutto a fuoco: soprassediamo.

    CITAZIONE (mr.chipko @ 13/2/2016, 14:49) 
    CITAZIONE (Mick3 @ 13/2/2016, 13:32) 
    anticipo però che il primo passo per l'uso della ragione consiste nell'imparare a non usarla troppo: spesso non si sa, e spesso non si è in grado di trarre conclusioni (è una specie di parziale agnosticismo - in senso filosofico e non teologico, naturalmente).

    Concordo nuovamente, ma questa tua conclusione, che ritengo essere assolutamente giusta in quanto è basata sull'esperienza che ognuno di noi può fare, non è "imparare a non usarla troppo", ma il riconoscere che ha dei limiti.
    Che si possa sapere di non poter sapere, non è altro che la conferma della limitatezza dello strumento (come ogni altro strumento umano del resto).

    Riguardo a questo, concordo solo in parte; i limiti non stanno tanto nella ragione in sé, quanto nelle situazioni in cui la si usa. La ragione parte dai "dati": bisogna saper rinunciare ad uscire dal loro "codominio".

    CITAZIONE (mr.chipko @ 13/2/2016, 14:49) 
    CITAZIONE (Mick3 @ 13/2/2016, 13:32) 
    Scrivo in minuscolo "verità" perché so bene quali rischi intellettuali siano legati agli Universali e alle universalizzazioni, e soprattutto perché per ora mi azzardo a definirla solo in negativo. Dunque la non-verità, l'errore, è al momento il mio "demonio"; se i giudizi sugli altri, sul loro valore o la loro pericolosità, sono non-veri (perché affrettati o basati su argomenti poco cogenti), allora evitare tali giudizi (e dunque rispettare gli altri) è una forma di rispetto per se stessi.

    Non so se ti possa aiutare a sconfiggere questo tuo demonio laico, ma nella Chiesa c'è distinzione fra peccato e peccatore, dove la condanna è riservata al peccato e non al peccatore. Se tieni a mente questa distinzione puoi giungere più facilmente ad alcuni principi generali e dire "questo è sbagliato" o "questo è giusto" senza correre il rischio di cadere in preda a intolleranza. Io posso condannare l'omicio e perdonare l'omicida senza rinunciare al principio.

    Riguardo alla questione del peccato e peccatore, forse non mi sono fatto capire. Parlo di "demonio" da sconfiggere perché al momento definisco la verità solo in negativo, quindi mi limito ad osteggiare il suo opposto - che ho chiamato "demonio" senza dare troppa enfasi al vocabolo. Sfuggire a questa anti-verità è nell'interesse mio, è rispetto per me stesso; lo faccio evitando quegli pseudoragionamenti (pseudo perché pochi stringenti o comunque affrettati) che mi porterebbero a sbagliare. Se è vero che questi stessi ragionamenti portano all'intolleranza, allora il rispetto per il prossimo diventa un corollario del rispetto per se stessi.

    CITAZIONE (mr.chipko @ 13/2/2016, 14:49) 
    CITAZIONE (Mick3 @ 13/2/2016, 13:32) 
    Tutto sommato ho più simpatia (ma non approvazione incondizionata) per chi si accosta alla religione con un approccio del tutto irrazionale, basandosi magari su proprie esperienze interiori (evito la parola "mistiche" perché troppo impegnativa) molto forti;

    Io no ;) , perché questi sono proprio quelli che poi diventano inquisitori, torturatori, proclamatori di crociate e quant'altro, e data la caratura carismatica di queste persone sono un vero e proprio pericolo per la società.
    Mentre un principio o un ragionamento sbagliato lo si può confutare, è impossibile sindacare sui sentimenti, o sulle sensazioni interiori.

    Riguardo alla simpatia, era più che altro una battuta; l'ho scritta pensando a persone conosciute che avevano (o credevano di avere) avuto esperienze "mistiche" importanti ed erano tutte prese da questa loro ricerca: chi si sognerebbe di disturbarle? non fanno male a nessuno finché stanno nella loro testa; magari si interviene quando cominciano a fare danni.
    Se però uno non ha urgenze interiori, perché deve usare la religione come punto di partenza per ragionamenti che influenzino la società? i problemi interiori arrivano all'esterno tardi e con fatica: non sono i veri pericoli. Il pericolo è la religione usata come rampa di lancio per altri fini.

    CITAZIONE (mr.chipko @ 13/2/2016, 14:49) 
    CITAZIONE (Mick3 @ 13/2/2016, 13:32) 
    L'altra "religione" (quella della prima fonte indicata da Bergson) da secoli cerca l'approvazione e la tutela della ragione: ma lo fa per i suoi fini. E' dunque inaccettabile? no! paradossalmente è anch'essa accettabile; ma a chi la pratica suggerisco di rivolgersi apertamente alla sociologia, difendendo senz'altro il proprio modello di società (che Bergson definisce - un po' tendenziosamente - "chiusa"; sarebbe peggio ancora definirla "di destra", e forse il termine "tradizionale" è il migliore) senza usare faticosamente la ragione per difendere lo strumento (la religione) che tale società usava (e ancora cerca di usare) per sostenersi. Nonostante le disavventure novecentesche, penso che la società "tradizionale" sia un modello ancora meritevole di essere esaminato e magari originalmente interpretato: è una strada ancora sostanzialmente aperta.

    Hai qualche link dove viene spiegato più diffusamente quanto sopra? Non conosco i modelli sopra citati e vorrei prima capire cosa significano alcuni concetti (tipo cos'è la prima fonte?)

    Nell'ultimo passo, mi riferivo a "Le due fonti della morale e della religione", l'ultima opera importante di Bergson - lettura del liceo poi ripresa in mano (ma ormai quasi venti anni fa...). Schematizzando molto brutalmente, vi si contrappongono la società "tradizionale", o "chiusa", nel cui equilibrio la religione (un certo tipo di religione) ha un ruolo rilevante, e la società "aperta" in cui la religione è la conseguenza dell'azione del famoso "soffio vitale": la religione dello Spirito, insomma (ho usato la maiuscola per rispetto: proprio non mi piace).

    Dietro c'è la distinzione - così come era ben messa a fuoco e percepita da chiunque a inizio '900 - tra società umanistica e società eroica; quest'ultima è sempre la società "tradizionale", cioè organizzata a "caste" o quantomeno a "ruoli" (eroismo è l'adesione fino al proprio ruolo spinta fino all'abnegazione). Il termine è usato non ha caso da Maritain per la sua opera principale e, come si legge lì, il pensiero marxista-leninista sentì il bisogno di fornire un'interpretazione umanista di se stesso; sempre Maritain, nelle prime righe del suo testo, cita Malraux come bravo esemplificatore della mentalità eroica; quando lo lessi avevo già apprezzato molte pagine di questo romanziere-critico letterario intelligente, colto e un po' spregiudicato, e mi trovai del tutto d'accordo.

    La società tradizionale è anche la società "di destra", conservatrice perché stabile (ma dobbiamo appunto dimenticare per un momento le "disavventure" della destra nel Novecento, che hanno reso odioso il termine); in essa, da sempre, la religione ha una funzione unificante, laddove gli individui hanno una visione del mondo parziale e differente da casta a casta (o da ruolo a ruolo). Per contro, nella società umanistica ogni uomo è completo, le visioni del mondo sono potenzialmente uguali (di fatto diverse perché diversi sono gli individui e le relative esperienze) e, in linea di principio, tutti capiscono tutto.

    Detto molto pianamente, sempre nell'ambito di questa ultra-grossolana schematizzazione, trovo ormai ridicolo difendere la religione perché poi questa possa difendere un certo modello di società - una società che non sopporta per esempio la teoria dell'evoluzione (p.s.: vedo che il sito che ospita gli "argomenti" dedica parecchio spazio alla confutazione del darwinismo).

    Da tempo mi propongo di leggere con calma qualche opera di Berdjaev, in particolare "Nuovo medioevo"; penso che aiuterebbe anche a capire parte del fascino che l'ISIS esercita su tante persone. Il tempo per leggere si trova sempre, però il difficile è assimilare e sistemare concetti così complessi e dalle implicazioni tanto importanti; per cui il progetto slitta di anno in anno. E negli ultimi tempi mi sto accorgendo che è molto più importante una costruzione "dal basso", dai principi fondamentali.

    Non saprei dare dei link: ma le informazioni veramente sovrabbondano. Comunque era solo un cenno.

    Dispiace un po' trattare con tanta semplificazione (e con confessata ignoranza) argomenti così importanti; ho seguito altre discussioni analoghe sul forum, guardandomi bene dall'intervenire: stavolta mi sono fatto prendere la mano.

    CITAZIONE (SorenMathijsen @ 13/2/2016, 16:30) 
    Grazie mille per la risposta Mick3, prima di tutto
    "le leggi morali esistono; chi lo nega è handicappato e non bisogna prenderlo in considerazione; dire che le leggi morali sono soggettive equivale a dire che non esistono quindi, siccome esistono, sono oggettive. Dovrei sentirmi convinto da questi argomenti? assai improbabile!"
    Dai per presupposto che chi nega le leggi morali oggettive non sia COME un handicappato, sottovalutando il criterio di autoevidenza che sotto sotto suppongo che anche tu accetti: credo sia auto evidente che ciò che Hitler abbia fatto sia qualitativamente diverso da ciò che ha fatto Madre Teresa. Se neghi la seconda premessa, sei poi costretto a dire che non esista alcuna differenza tra colui che uccide per divertimento un bambino e colui che lo salva. Il dibattito credo che quindi si debba concentrare più sulla prima premessa.

    Dire che se la morale è soggettiva allora non esiste non mi sembra un punto molto discutibile: se sostieni che la morale sia soggettiva vuol dire che credi che la verità della morale ricada nel soggetto e questo vuol dire che non c'è alcuna differenza tra colui che crede che uccidere per divertimento sia giusto e colui che crede sia sbagliato. Il fatto che esistano e non dipendano dalla propria opinione significa che sono oggettive, ovvero che la loro verità trascende l'opinione personale.

    Rispondo a SorenMathijsen.

    Non volevo pronunciarmi sull'oggettività o meno della morale: è un problema troppo grosso e l'affronterei cominciando da un'accurata analisi del termine "morale". Però sostenerla dicendo che è vera perché chi la nega è handicappato - dal momento che nega una cosa evidentemente vera -, vuol dire incorrere in una petitio principii cogliendo en passant l'opportunità per denigrare gli avversari.

    Trovo assolutamente arbitrario sostenere che, fuori dalla religione c'è solo la morale soggettiva, cioè l'assenza di morale; e che il risultato non può essere che un Hitler, laddove la religione, con la sua morale oggettiva, produce delle Madre Teresa. E' anche pericoloso ma, se fosse innegabile, le conclusioni, per quanto sgradevoli, sarebbero ineludibili; prima di tutto però è arbitrario: si costruiscono catene consequenziali dove i non sequitur sono più numerosi delle stesse parole.

    Sul paragone tra Hitler e Madre Teresa, neppure mi pronuncio: è ovvio che si può scegliere un santo di qua e un dannato di là; sicuramente anche l'opposto, ad avere voglia di pensarci.

    Riguardo all'evidenza o, peggio ancora, alla "auto evidenza", è l'ultimo dei criteri ai quali io ricorra. L'evidenza si può usare quando c'è consenso, per risparmiare tempo, ma deve sempre avere al di sotto un ragionamente rigoroso, che possa essere esibito all'occorrenza.

    Tutte queste sono critiche; credo però che l'esercizio dell'apologia non sia di per sé nocivo: che non peggiori cioè la religione. L'argomento morale mi è piaciuto assai poco; l'altro mi è sembrato debole, ma non l'ho letto con troppa attenzione: cercherò di farlo con calma; sicuramente è meno pericoloso ed ha risvolti logico-matematici nei quali dovrei destreggiarmi meglio.

    Mi riservo di dare un'occhiata con più calma al vostro sito; perlomeno è scritto in un italiano molto corretto. Ho notato però che un certo spazio dedicato alla confutazione del darwinismo: troppo prevedibile per un sito (italo-)americano di religione e filosofia; pazienza.
     
    Top
    .
  11. SorenMathijsen
        +1   -1
     
    .

    User deleted


    CITAZIONE
    Che l'uomo sia un animale morale è, per me, un fatto assolutamente oggettivo (ne ho parlato diffusamente alla discussione che ti ho linkato). Io, da credente, non ho alcuna difficoltà a riconoscere Dio come legislatore della morale, ma devo anche mettermi nei panni di chi non crede per capire se è una questione risolvibile puramente dalla logica o dalla ragione.

    Facciamo un esempio. Io torno a casa e trovo un regalo. Non c'è nessuno a cui chiedere. La logica mi suggerisce che a farmi questo regalo sia mia moglie, mio figlio, mia madre, mio padre (o da parte di qualcuno a cui hanno aperto la porta precedentemente).
    Sul regalo non c'è biglietto né niente. Poi lo apro e, dal momento che conosco mia madre, capisco che a farmelo è stata lei. Poi arriva un mio amico e mi chiede
    -chi ti ha fatto quel regalo?
    -mia madre
    -ah ti lasciato un biglietto?
    -no
    -allora come fai a sapere che è stata lei?
    -perché questo è il genere di regali che mi fa lei
    -ma non ne puoi essere sicuro
    -...
    -...

    e così via in una discussione che potrebbe essere molto lunga.

    Da parte mia, ricollegare quel tipo di regalo a mia madre è un'operazione assolutamente legittima, logica e razionale, ma tali premesse logiche derivano dal fatto che io conosco mia madre, mentre il mio amico no. Quindi il punto di partenza delle nostre logiche non è il medesimo, pertanto lui potrebbe arrivare a credermi per fede (si fida del fatto che io conosca mia madre e che quindi non mi sia sbagliato), ma a sua volta l'arrivare a credermi non dipende tanto dalla mia capacità di argomentare su mia madre su base razionale e logica (che certo non sono escluse), quanto dalla credibilità che io ho nei suoi confronti. Vale a dire che la sola forza dei miei argomenti non basta per essere creduto, se alla base non c'è un rapporto di fiducia preesistente (basato a sua volta da principi che sono anche razionali).
    Il mio argomentare in maniera logica il perché io sono certo del fatto che sia stata mia madre a darmi quel regalo non è una prova logica del fatto che sia stata lei a regalarmelo.
    La logica, da sola, non prova l'esistenza di Dio, nè la nega.


    Sì ma se qualcuno nega questa autoevidenza significa che tanto autoevidente non è.
    Tanto più che sarebbe un po' arrogante presupporre di essere gli unici normali in un mondo di handicappati (per quanto il sospetto a volte mi viene).
    Alla fine l'unica cosa innegabile è la morale, ma la piega che essa prende dipende da un insieme altissimo di fattori.
    Hitler aveva una morale, esso agiva secondo un suo codice etico (ben diverso dal mio, si intende), secondo il quale il bene era uccidere gli ebrei e i deboli.
    Secondo il principio del legislatore dovremmo allora presumere che un qualche legislatore avesse prescritto come giusto sterminare gli ebrei.

    Partiamo dalla legge morale verosimilmente più semplice e condivisa "non uccidere".
    Credo che in questo forum siamo tutti concordi su questo principio.
    Eppure...
    Cosa fare quando è in gioco un altra vita umana? È lecito uccidere una persona per impedirle di ucciderne un'altra?
    E se lo si facesse per impedire di uccidere una moltitudine di persone?
    Ecco che vediamo che pur un principio oggettivo inizia ad incarnarsi e assumere contorni più sfumati. Il non uccidere dipende dai numeri? Dalla colpevolezza della persona? È lecito uccidere nei casi in cui questo è il male minore? E con quali mezzi e strumenti stabiliamo in maniera oggettiva quale sia il male minore posto che le conseguenze future sono al di là di una previsione oggettiva?

    Quello che voglio farti capire, è che va bene avere delle certezze, io sono certissimo della mia fede e non c'è argomento razionale che possa scalfirla proprio perché la mia fede è razionale anch'essa, ma da lì a presumere che quindi abbiamo capito tutto, che abbiamo la verità in tasca, e che tutti gli altri siano degli idioti ne passa.
    San Paolo diceva (sto presumendo che tu sia cristiano) che la lettera uccide e lo spirito vivifica. Ciò significa che non dobbiamo mai avere un atteggiamento dogmatico

    Non sono d'accordo, la prima premessa non si basa su una preconoscenza di Dio. E' una semplice inferenza. Ciò che è trascendente deve avere una causa trascendente. No c'è quindi alcun ricollegamento.

    Il fatto che tu dica che Hitler aveva una morale mi fa capire che tu non abbia capito la seconda premessa, forse perché l'articolo lo ha spiegato male. Il consenso comune non è condizione necessaria dell'oggettività. Infatti, poiché la morale oggettiva non dipende dal soggetto, anche se Hitler avesse indottrinato tutti facendo credere che ciò che li stesse facendo fosse giusto, sarebbe comunque sbagliato. Negare l'oggettività, vuol dire che non si può nemmeno fare un confronto tra due visioni, poiché in quanto soggettive, nessuna sarebbe superiore all'altra. Dire che Hitler credeva di fare il giusto, non vuol dire che lo stesse facendo. Se tu, in cuor tuo, credi che bruciare ebrei sia sbagliato, anche se Hitler credeva fosse giusto, vuol dire che accetti la seconda premessa.

    L'obiezione dei dilemmi morali è molto interessante. L'articolo infatti risponde già a questa obiezione: "Come detto prima le persone ammettono e distinguono il bene e il male, il giusto e lo sbagliato, dalla reazione più che dalla loro azione. Quando una persona è vittima di un comportamento cattivo, non hanno alcun problema nel riconoscere la realtà assolutamente sbagliata di quella ingiustizia/cattiveria. Però anche se due vittime finiscono nel dissentire sulla moralità di una particolare cosa/azione, non vuol dire che la moralità sia relativa.
    Considerate il dilemma che molti professori usano per dimostrare la veridicità del relativismo morale: tre persone stanno cercando di sopravvivere su una scialuppa progettata per supportare solamente due persone; se una persona non viene gettata in mare, tutti e tre moriranno. La diversità di opinioni porta poi a pensare che non ci sia il giusto e lo sbagliato (e il buono e il cattivo)
    Ma i dilemmi morali non fanno altro che provare l’opposto: appunto che una moralità oggettiva esista! Infatti, se la moralità fosse relativa non ci sarebbe nessun dilemma. Senza una moralità non ci sarebbe un “diritto” alla vita e quindi non farebbe alcuna differenza il fatto che venga gettata la persona o che muoiano tutti e tre. Il motivo per il quale ci strappiamo i capelli per risolvere il dilemma è proprio perché conosciamo il valore della vita.
    Infatti possiamo notare come i valori ed i doveri più basici vengano universalmente accettati, ad esempio il dovere “non uccidere” è stato persino capito da Hitler, che dovette de-umanizzare la “razza” ebraica al fine di rendere giustificabile la loro uccisione. Anche i cannibali sono consapevoli del fatto che uccidere umani innocenti sia sbagliato, tanto è vero che anche loro non considerano umane le persone delle altre tribù (non escludo che poi esistano eccezioni)." L'esempio dell'uccisione come esempio di moralità oggettiva, non pretendeva sostenere che ogni forma di omicidio fosse oggettivamente sbagliata, ma che in alcuni casi è oggettivamente giusto (concetto di guerra giusta) e in alcuni caso oggettivamente sbagliato, come ad esempio uccidere per divertimento.

    Si certo, anche io sono cristiano. E' proprio San Paolo a sostenere la seconda premessa in Romani 2:15 "essi dimostrano che quanto la legge comanda è scritto nei loro cuori, perché la loro coscienza ne rende testimonianza e i loro pensieri si accusano o anche si scusano a vicenda"
     
    Top
    .
  12. SorenMathijsen
        +1   -1
     
    .

    User deleted


    CITAZIONE (mr.chipko @ 13/2/2016, 20:40) 
    Alcune critiche di carattere puramente logico alla prima argomentazione:

    CITAZIONE
    La prima premessa, il fatto che tutto ciò che inizia ad esistere abbia una causa, è praticamente inconfutabile, poiché un qualcosa che viene in esistenza senza una causa equivale a dire che quella cosa sia venuta dal nulla (se qualcosa non viene dal nulla esiste già, quindi non viene in esistenza) e questo è impossibile per tre motivi:

    Teniamo per buona questa premessa e confrontiamola con questa altra conclusione:

    CITAZIONE
    Dire che la transizione di stati di una realtà condizionata dal tempo è asimmetrica significa che non si può tornare allo stato precedente, poiché lo stato precedente non esiste in quanto è stato sostituito dallo stato successivo (ovviamente ci si può spostare ad uno stato simile a quello passato, ma questo non vuol dire che si torni nel passato! Se si rompe una sedia, posso ricostruirla allo stato precedente, ma non per questo il tempo ha perso il suo carattere asimmetrico). Si può concludere quindi che gli eventi resi possibili dal tempo sono asimmetrici.

    In poche parole in questi due punti viene "dimostrato" che la realtà non può venire dal nulla (e fin qui) e che non è possibile tornare indietro nel tempo.

    Se prendiamo per buone entrambe queste tesi viene però negato quest'altra preposizione dell'argomentazione
    CITAZIONE
    Un numero infinito non può esistere in atto

    Infatti posto che nulla può essere tratto dall'essere l'essere non può essere tratto dal nulla è vero anche il suo contrario, ovvero che l'essere non può cessare di esistere secondo il noto principio "nulla si crea, nulla si ditrugge, tutto si trasforma". Ma dal momento che il tempo è asimmetrico, l'unica conseguenza logica è che, non potendo l'esistente distruggersi esso sia destinato ad un numero infinito di trasformazioni.

    Quindi o l'essere può passare al non essere (come sospettava Parmenide o come dice la Bibbia), o il tempo non è asimmetrico, o un numero infinito può esistere in atto.
    Le tre preposizioni insieme non sono coerenti.

    Dire che dal nulla, nulla possa venire, non vuol dire che non possa esserci un intervento creativo, bisogna infatti capire il motivo per il quale esiste questo principio di causalità. Il motivo per il quale l'essere non può venire dal non essere è che il non essere non ha un potere di causalità. Risulta evidente quindi come il nostro universo (inteso come totalità di materia spazio e tempo), in quanto temporalmente finito, un tempo non esisteva. Se non esisteva esso non poteva essere causa di se stesso. Se poi da qui diciamo che Dio sia stata la causa, non infrangiamo il concetto che dal non essere venga l'essere, poiché Dio è qualcosa; ma se uno nega l'esistenza di Dio, è costretto a credere che l'essere sia venuto dal non essere.
    Le premesse quindi, a mio avviso, non vanno in contraddizione. Infatti la pria legge della termodinamica, non fa che sostenere la prima premessa e la successione aggregativa di tempo non la infrange poiché questa, anche se reale, non è materia.
    Il fatto che l'essere non si possa distruggere e sia quindi destinato ad un numero infinito di trasformazioni, non vuol dire che esista un infinito in atto, ma bensì un infinito in potenza. L'articolo, parlando del futuro dice: "qualcuno, vista la definizione di tempo passato potrebbe chiedersi che cosa sia il tempo futuro in relazione all’infinto. Mentre il tempo passato infinto, se esistesse, sarebbe un infinito in atto, il tempo futuro è un semplice infinito potenziale, e quindi l’argomentazione sottostante non si applicherà al tempo futuro."
    Fammi sapere se ho capito la tua obiezione, perché non ne sono sicuro. :rolleyes:
     
    Top
    .
  13.     +1   -1
     
    .
    Avatar

    Advanced Member

    Group
    Amico del forum
    Posts
    3,315
    Reputation
    +496
    Location
    Lombardia

    Status
    Offline
    Non quotare i messaggi per intero. Quando clicchi su "rispondi" puoi cancellare parte del messaggio fra le parentesi che contengono le parole quote e /quote

    CITAZIONE (SorenMathijsen @ 14/2/2016, 12:40) 
    Il fatto che tu dica che Hitler aveva una morale mi fa capire che tu non abbia capito la seconda premessa, forse perché l'articolo lo ha spiegato male.

    Ti assicuro che l'ho capita

    CITAZIONE (SorenMathijsen @ 14/2/2016, 12:40) 
    Il consenso comune non è condizione necessaria dell'oggettività.

    E invece sì, perché il fatto che l'acqua bolla a 100°C sul livello del mare è un fatto oggettivo in quanto nessuno può contestare tale asserzione se non mentendo.

    CITAZIONE (SorenMathijsen @ 14/2/2016, 12:40) 
    Infatti, poiché la morale oggettiva

    Ad essere oggettivo è il fatto che esista una morale, e che quindi esista il bene o il male, ma è ridicolo, e lo dico da cristiano, che l'uomo sia in grado di capire cosa sia il bene e il male completamente da solo e con la pura forza della ragione. Se così fosse non ci sarebbe stato bisogno della rivelazione, la tua idea è quella socratica che partiva dal presupposto che l'uomo fosse perfetto.

    CITAZIONE (SorenMathijsen @ 14/2/2016, 12:40) 
    Negare l'oggettività, vuol dire che non si può nemmeno fare un confronto tra due visioni, poiché in quanto soggettive, nessuna sarebbe superiore all'altra.

    Io non nego che esista il bene o la Verità (sia con v minuscola che maiuscola), ma da una prospettiva umana sono una meta da raggiungere, attraverso verità e/o beni, via via sempre maggiori. È un'enorme pretesa pensare che l'uomo possa possedere il bene o la verità nella sua totalità. Socrate almeno questa pretesa non l'ha mai avuta in quanto sapeva di non sapere.

    CITAZIONE (SorenMathijsen @ 14/2/2016, 12:40) 
    Dire che Hitler credeva di fare il giusto, non vuol dire che lo stesse facendo. Se tu, in cuor tuo, credi che bruciare ebrei sia sbagliato, anche se Hitler credeva fosse giusto, vuol dire che accetti la seconda premessa.

    Il problema della logica è che dipende solo dalle premesse e le premesse, come gli assiomi matematici, partono da assunti di per sé indimostrabili (teorema di Godel), in sostanza, al di là delle varie argomentazioni che potremmo opporre ai nostri ragionamenti, la fede in Dio deve essere libera. Se esistesse la prova dell'esistenza di Dio non esisterebbe più la libertà di crederci o meno. Io credo che il vero compito, oggi più urgente che mai, di chi ha fede e di mostrare che essa non è in contraddizione con la ragione e non rappresenta il dominio dell'irrazionalità (basti vedere gli scritti di Ratzinger).
    Il dominio della ragione è ben più ampio della pura dimostrabilità che è dove un certo scientismo e illuminismo l'hanno relegata. Io non posso dimostrare scientificamente che mia mamma mi voglia bene, eppure tale affermazione è assolutamente ragionevole e per nulla irrazionale.

    Io credo che esista una verità oggettiva e una morale oggettiva, ma anche che tale oggettività sia al di là di quel processo che chiamiamo dimostrazione, di fatto l'uomo può conoscere i fenomeni non in noumeni, ed è vero anche per Dio, noi possiamo conoscerlo sì, ma certo non nella sua essenza.
    CITAZIONE (SorenMathijsen @ 14/2/2016, 12:40) 
    non vuol dire che la moralità sia relativa.

    Bisogna intendersi su questo termine, ne ho già parlato nell'altra discussione, perché di fatto l'uomo conosce solo per relazione, quindi anche la morale è relativa, ma non nel senso del relativismo etico dove tutto e il contrario di tutto stanno assieme, ma nel senso che la morale chiede di guardare ad ogni singolo caso.

    CITAZIONE (SorenMathijsen @ 14/2/2016, 12:40) 
    Ma i dilemmi morali non fanno altro che provare l’opposto: appunto che una moralità oggettiva esista! Infatti, se la moralità fosse relativa non ci sarebbe nessun dilemma. Senza una moralità non ci sarebbe un “diritto” alla vita e quindi non farebbe alcuna differenza il fatto che venga gettata la persona o che muoiano tutti e tre.

    Ni, provano che esista una moralità a cui l'uomo tende, essa sarà anche oggettiva, ma rimane al di là dal poter essere completamente afferrata, esattamente come è per Dio.
    Perché se la moralità oggettiva fosse afferrabile, dimostrabile, deducibile pure non vi sarebbe nessun dilemma, sapremmo sempre cosa fare.

    CITAZIONE (SorenMathijsen @ 14/2/2016, 12:40) 
    L'esempio dell'uccisione come esempio di moralità oggettiva, non pretendeva sostenere che ogni forma di omicidio fosse oggettivamente sbagliata, ma che in alcuni casi è oggettivamente giusto (concetto di guerra giusta) e in alcuni caso oggettivamente sbagliato, come ad esempio uccidere per divertimento.

    Ho degli enormi problemi a sentire espressioni come "in alcuni casi è oggettivamente giusto uccidere" o "guerra giusta".
    Prefersico dire che in alcuni casi è stato inevitabile uccidere o fare una guerra.
     
    Top
    .
  14.     +1   -1
     
    .
    Avatar

    Advanced Member

    Group
    Amico del forum
    Posts
    3,315
    Reputation
    +496
    Location
    Lombardia

    Status
    Offline
    CITAZIONE (SorenMathijsen @ 14/2/2016, 12:56) 
    "qualcuno, vista la definizione di tempo passato potrebbe chiedersi che cosa sia il tempo futuro in relazione all’infinto. Mentre il tempo passato infinto, se esistesse, sarebbe un infinito in atto, il tempo futuro è un semplice infinito potenziale, e quindi l’argomentazione sottostante non si applicherà al tempo futuro."

    Esatto, ma trovo proprio in quel punto l'argomentazione debole. Si nega l'infinito nel passato per ammetterlo nel futuro, ma siccome ciò che riguarda il futuro è solo potenziale si fa finta che non ci sia il problema.
    Cmq molte delle cose e dei paradossi presentati nella prima argomentazione sono solo teorie, non prove.
    Come anche trovo sbagliato l'affermare che qual ora ci si trovi di fronte ad un paradosso dobbiamo rigettarlo.
    La luce è uno degli esempi più lampanti di paradossi, in quanto si presenta sia come particelle sia come onda. Eppure dobbiamo rassegnarci a questo paradosso. I paradossi esistono con buona pace della logica.
    Non a caso Shakespeare scriveva "Ci sono più cose in cielo e in terra che non nelle tue filosofie Orazio".
    I paradossi possono spaventare solo i razionalisti più estremi o gli scientisti, i greci, che erano saggi, lo accettavano.
     
    Top
    .
  15. SorenMathijsen
        +1   -1
     
    .

    User deleted


    CITAZIONE
    Esatto, ma trovo proprio in quel punto l'argomentazione debole. Si nega l'infinito nel passato per ammetterlo nel futuro, ma siccome ciò che riguarda il futuro è solo potenziale si fa finta che non ci sia il problema.

    Esattamente. Non è un problema e non sono io che lo dico, ma bensì il fondatore della matematica moderna Hilbert. Poiché, per arrivare ad oggi, il passato deve essere già avvenuto, esso si è attualizzato, e quindi se si postula un universo eterno, si sostiene che un'infinità di tempo sia già avvenuta, mentre, nel caso del futuro, il tempo infinito è solo potenziale, nl senso che il tempo tenderà all'infinito, ma non lo raggiungerà mai. Puoi vedere il futuro come una cifra numerica che continua ad aumentare, essa, per quanto tempo passi, non sarà mai attualmente infinita.
    Quindi il futuro non sarà mai infinito, e per questo l'argomentazione non si applica. Come puoi vedere, non è una distinzione arbitraria.


    CITAZIONE
    Cmq molte delle cose e dei paradossi presentati nella prima argomentazione sono solo teorie, non prove.
    Come anche trovo sbagliato l'affermare che qual ora ci si trovi di fronte ad un paradosso dobbiamo rigettarlo.
    La luce è uno degli esempi più lampanti di paradossi, in quanto si presenta sia come particelle sia come onda. Eppure dobbiamo rassegnarci a questo paradosso. I paradossi esistono con buona pace della logica.
    Non a caso Shakespeare scriveva "Ci sono più cose in cielo e in terra che non nelle tue filosofie Orazio".
    I paradossi possono spaventare solo i razionalisti più estremi o gli scientisti, i greci, che erano saggi, lo accettavano.

    Il paradosso è segno di una contraddizione. La luce non è una contraddizione, semplicemente non abbiamo una teoria adeguata per descrivere tutte le sue qualità.
    In ogni caso, nell'articolo viene spiegato il motivo di tale paradosso con l'argomentazione formale di Spitzer. Tu la condividi? A me sembra abbastanza solida come argomentazione: l'infinito attuale porta le unità del tempo a non essere costituenti, perdendo così il loro potere aggregativo. Ma questo non possibile perché se no avremmo una simultaneità di stati, andando a creare quindi contraddizioni.
    Scusatemi, sto ancora imparando ad usare i forum, spero questa volta di aver risposto correttamente con i QUOTE
     
    Top
    .
84 replies since 13/2/2016, 10:11   1030 views
  Share  
.