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Da laica, non mi sento legittimata a esprimere giudizi di merito sui diversi papi. Quanto all'immagine, trovavo piuttosto sorprendenti le futili scarpette rosse e mantelline di ermellino indossate dal teologo, e il suo sguardo mi sembrava sempre un po' imbarazzato. Interpretai le dimissioni all'incirca nel senso del corrispondente della ZDF. Nei mesi precedenti i media avevano inoltre richiamato l'attenzione sul fratello Georg, direttore del Regensburger Domspatzen, il coro della cattedrale di Ratisbona, a causa della presunta "miopia" sugli abusi sessuali. Mi colpì, e certo non compresi a fondo, l'interpretazione di Benedetto Ippolito, di cui ho rintracciato l'estratto.
(Redazione Start Magazine) ESTRATTO DELL’ANALISI FIRMATA DALLO STORICO DELLA FILOSOFIA E INTELLETTUALE CATTOLICO BENEDETTO IPPOLITO DOPO LE DIMISSIONI DI RATZINGER L’11 FEBBRAIO 2013: La Chiesa, per definizione evangelica e apostolica, è un’autorità non derivata dalla storia ma funzionale alla comunità dei credenti, ossia costitutiva e fondativa del Popolo di Dio. Questo fatto la separa da ogni altro tipo di società religiosa esistente. Perciò i romani la perseguitavano nei primi secoli, e ovunque lo stesso succede oggi: perché il Papa, che ne è architrave, non risponde ad altri che a Dio. Conviene ripetere. La sua autorità, che non è politica, deriva da Dio, e proprio per questo è in grado di riconoscere qualsiasi altra autorità politica che non ha la stessa origine. Dunque, nel suo, ossia nelle cose di Dio, il Papa non risponde al potere, esercita un’autorità. Ma, evidentemente, non lo fa come persona regnante, bensì è l’ufficio che la persona regnante ricopre a tempo determinato che autorizza e legittima, imponendo doveri specifici in coscienza. Il limite temporale, infatti, di solito è la morte, ma, come si è visto, può essere pure la rinuncia appunto in coscienza, nelle condizioni prescritte dal Codice di Diritto Canonico. Bene. La Chiesa è un’autorità divina, dunque, il cui perno è il Vicario di Cristo e la cui determinazione è la cosiddetta “romanitas”. Gregorio VII, nel Dictatus papae nel XI secolo, esprimeva questa trascendenza immanente dell’autorità petrina nel vescovo di Roma, così: “Ecclesia romana a solo Deo est fundata”. Il che significa che solo la Chiesa di Roma deriva da Dio; il resto della Chiesa deriva anch’esso da Dio, ma unicamente tramite la legittimità che il Papa trasmette. Altro che retaggio storico, caro Mancuso, è Matteo 16, 18: è il Vangelo che indica che il Fine della Salvezza passa attraverso la Funzione Sacra che il Papa svolge per l’umanità, le cosiddette Chiavi che Cristo ha affidato a Pietro, le quali, si ricorderà, sciolgono e legano in Terra le cose del Cielo: definizioni approfondite perfettamente da Leone I Magno e Gregorio I Magno, non da un commentatore di Formiche del XXI secolo. Negli ambienti non cattolici, d’altra parte, sono talmente abituati all’ignoranza dei cattolici che pensano di raccontarci le cose come pare a loro, non come sono in sé. Seconda osservazione. La Chiesa non è unicamente istituzione divina. E’ anche organizzazione umana, ossia una realtà sociale, un’“attrezzatura” che uomini legittimati, innanzi tutto, dal battesimo e poi dal sacerdozio hanno il compito di gestire. Qui subentra il bene e il male. Subentra cioè quel fenomeno che Scalfari chiama pastoralità, ma che io chiamerei invece potere, nel bene e nel male: ossia ambizioni, egoismi, voglia di emergere, eccetera eccetera, ma anche solidarietà, generosità sociale, cura dei poveri, sussidiaria donazione, eccetera eccetera. Da queste lunghe premesse, tirerò una breve conclusione. Se la Chiesa, insomma, è al contempo istituzione divina e organizzazione umana, ecco che il farsi da parte, umile e grandiosamente coraggioso, di Benedetto XVI non è per nulla il passaggio dall’eternità alla storia, il venir meno del divino per l’umano, e il celebrarsi finale di una secolarizzazione del teologico, come avrebbe detto Carl Schmitt, tanto desiderata in certi ambienti. No. Men che meno è la vittoria del potere pastorale sull’autorità divina, come dice Mancuso. Tutt’altro. on questa sua decisione libera, davanti ad una Chiesa probabilmente dominata da situazioni che Nietzsche definirebbe “umane, troppo umane”, Ratzinger ha detto di no a se stesso, alla perpetrazione debole della propria impotenza; ha detto no a un sistema di potere e di governo che non va; dicendo di sì a Dio, all’autorità del Papa, alla sua indipendenza, alla sua libertà di dominare il potere con la forza legittima della sua intrinseca autorità. Con tale atto, forse davanti a tante situazioni che in questi anni egli ha visto, conosciuto e toccato con mano nella loro gravità, l’uomo Ratzinger ha deciso di farsi da parte per qualcun altro che possa dopo di lui umanamente afferrare lo scettro divino, riaffermare il primato della Chiesa, della sua istituzione sull’organizzazione umana, della sua autorità sul potere, dando una scossa all’intera cristianità. Mi si convinca del contrario, se non è così. D’altronde, il senso di questo mio discorso è semplice, forse perfino banale. Senza potere non si può contrastare lo strapotere del relativismo mondano ed ecclesiale. E il mondo presente ha bisogno proprio di questo: lottare contro la dissipazione. E nella Chiesa l’unico potere legittimo che può fare una cosa del genere non è l’abuso personalista delle cariche ma l’espressione forte e decisionale di governo del Vicario di Cristo, un primato spirituale che non ha bisogno di mezzi militari ed economici per vincere corruzione, ipocrisia e tiepidezza, ma solo di santità e della forza della fede. Joseph Ratzinger resta un cardinale nella Chiesa, non uno sconfitto dalla vita; allo stesso modo che l’istituzione pontificia resta sempre la stessa, sopra la Chiesa e sopra i cardinali, a prescindere da tutto e tutti.
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