LA SHARIA E LE FONTI DEL DIRITTO ISLAMICO

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  1. Guida_Storia
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    La Sharia



    I reati penali nel diritto islamico
    Il diritto islamico è il terzo grande sistema giuridico mondiale. La caratteristica principale è che poiché Islam significa totale sottomissione a Dio, il diritto islamico non si sottrae a questa sottomissione. Inoltre, richiamandosi nei vari a scuole o riti diversi, spesso presenti in varia proporzione nella medesima nazione, non è unitario.

    La Sharia
    Il complesso di norme religiose, giuridiche e sociali direttamente fondate sulla dottrina coranica prende il nome di Sharia. In quest'ultima convivono regole teologiche, morali, rituali e quelle che noi chiameremmo norme di diritto privato, affiancate da norme fiscali, penali, processuali e di diritto bellico. Sharia significa, alla lettera, "la via da seguire", ma si può anche tradurre con "Legge divina".

    Le fonti del diritto islamico
    Coincidono con le fonti della teologia islamica e sono quattro: il Corano, la tradizione sacra (sunna), l'opinione concorde e l'interpretazione analogica. A queste si aggiungono alcune fonti non canoniche, usate però di fatto nella vita giuridica degli stati islamici e sono: la consuetudine ("urf"), le decisioni giudiziarie, il decreto del sovrano ("qanun") e il pubblico interesse ("maslaba")

    -Il Corano come fonte giuridica, offre poco materiale. Dei 6237 versetti che lo compongono, circa il dieci per cento si riferisce a temi giuridici in senso lato

    - La tradizione sacra ("Sunna").
    Maometto aveva risolto casi concreti o espresso opinioni che potevano contribuire a colmare in modo autentico le lacune del Corano. Una "tradizione" deve essere un racconto tramandato da una catena ininterrotta di narratori attendibili e avente per oggetto un comportamento di Maometto, il cui agire è ispirato da Dio.
    Come è facile immaginare, nel mondo islamico non esiste un'opinione unitaria e concorde su quali hadith siano da ritenere attendibili: una collezione di hadith del IX secolo ne elenca 300.000, di cui soltanto 8000 ritenuti autentici.

    - L'opinione concorde della comunità ("ijma").
    Corano e sunna, interpretati anche secondo tecniche minuziose, lasciavano però ancora qualche problema insoluto, né i pareri degli ulema avevano forza sufficiente ad integrare la parola di Dio. Tuttavia una tradizione della sunna afferma che, se la comunità dei giuristi-teologi da il suo consenso generale ad una teoria, questa non può essere errata. Questo consenso (ijma) non è facile da definire. Di fatto, l'ijma è intesa come il consenso dei giurisperiti più autorevoli, purché il loro numero sia ragionevolmente grande e il loro parere chiaramente formulato.

    - L'interpretazione analogica ("qiyas").
    Questa fonte è specificamente giuridica, nel senso che l'uso dell'analogia - strumento indiscusso in teologia - fu oggetto di gravi controversie nella soluzione di casi giudiziari, perché si riteneva empio usare la ragione umana per colmare un'apparente lacuna divina.
    L'analogia era un apporto esterno all'islam.

    Il diritto penale islamico
    Non presenta una distinzione netta tra peccato e reato, dato il carattere religioso dell'intero sistema giuridico. Di conseguenza, il diritto penale fa la sua apparizione come disciplina relativamente autonoma solo verso il XII secolo dell'ègira. I reati penali si possono distinguere in tre grandi categorie.

    Alla prima appartengono i reati espressamente puniti dal Corano e dalla sunna. Prendono il nome di reati hudud, sono i più gravi e il giudice ha nei loro riguardi un potere discrezionale molto limitato. Contro questi reati la religione nascente viene difesa con durezza: la flagellazione e la pena di morte colpiscono i reati contro Allah, quali l'apostasia, la bestemmia o l'adulterio. Pene corporali severe vengono applicate a reati gravi come il furto o il brigantaggio. Questi reati vengono sempre perseguiti d'ufficio, perché rivolti contro Dio e lo stato è il vicario di Dio sulla terra.
    Alla seconda categoria appartengono i delitti di sangue (reati qisas). Anche qui le pene sono determinate dal Corano e dalla sunna, quindi la discrezionalità del giudice è limitata. Essi sono puniti con la legge del taglione, la quale - a discrezione della vittima o della sua famiglia - può essere sostituita dal prezzo del sangue o dl perdono.
    La terza categoria di reati - detti tazir - comprende infine quei comportamenti che, di epoca in epoca, sono stati considerati nocivi alla buona convivenza sociale, ma per i quali né il Corano, né la sunna prevedono pene specifiche. La loro punizione ricade quindi nell'ambito della discrezionalità del giudice. Risulta perciò difficile fissarne con precisione la fattispecie, perché variano di luogo in luogo e di epoca in epoca. Le si può individuare soprattutto ex negativo: i reati che non sono né hudud né qisas sono tazir.
    I vari tipi di reato si distinguono in base alla fattispecie, alla prova richiesta e alla punizione prevista:
    Reati hudud: adulterio, diffamazione, apostasia, brigantaggio, uso di bevande alcoliche, furto, ribellione.
    Reati qisas: omicidio volontario con un'arma, omicidio volontario, omicidio per fatto involontario, omicidio indiretto, lesione corporale volontaria, lesione corporale involontaria.
    Reati tazir: sodomia; importazione, esportazione, trasporto, produzione o vendita di vino; reati minori (disobbedienza al marito, insulti a terzi); diserzione; appropriazione indebita, falsa testimonianza; evasione fiscale; vari reati minori; reo recidivo per un reato tazir; usura, corruzione, violazione dei doveri derivanti da negozi fiduciari.

    Femmis

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    In Iran, il codice penale Islamico prevede la morte mediante lapidazione per le adultere e per alcuni altri reati. Il codice penale stabilisce che "per la lapidazione, le pietre non dovrebbero essere tanto grosse da uccidere il condannato al primo o secondo colpo, né tanto piccole da non poter esser definite vere e proprie pietre". Nel corso del 1989, almeno 24 delle 40 persone che sarebbero state lapidate erano donne, giustiziate per reati quali l'adulterio e la prostituzione.

    In Pakistan, a causa dei decreti Hudood, che sono stati promulgati nel 1979, molte donne rischiano punizioni crudeli. I
    l crimine detto "zina" - rapporti sessuali extraconiugali volontari- può essere punito con la pubblica flagellazione e la lapidazione. Entro la fine del 1990, benché fossero stati condannati alla lapidazione sia uomini che donne, non era stata eseguita alcuna sentenza.
    Rischiano l'accusa di "zina" le donne che sono state violentate, che denuncino o meno l'aggressione subita.
    Se rimane incinta a seguito di uno stupro non denunciato, una donna può essere accusata di "zina".
    Quando però una donna denuncia uno stupro, l'onere della prova grava su di lei. Parecchie donne pakistane hanno accusato degli uomini di violenza carnale, ma non sono riuscite a provarlo in tribunale.
    Sono stati assolti degli imputati, mentre le querelanti sono state accusate "zina". Nel 1988, in una stazione di polizia a Lahore, sarebbero state violentate dai poliziotti due donne trattenute con l'accusa di "zina". In seguito a un'inchiesta ufficiale sul caso, l'Alta Corte di Lahore ha appurato che le due donne erano state stuprate e torturate, e che le accuse mosse contro di loro erano false. Le autorità non hanno però arrestato i poliziotti che sarebbero stati coinvolti negli stupri, e, nel marzo del 1990, non erano ancora state ritirate le accuse di "zina" formulate nei confronti delle due donne.(...)
    In Iran vengono puniti con la flagellazione reati quali il non portare il velo o il non rispettare altre norme sull'abbigliamento.
    Le autorità imporrebbero questa punizione in maniera incoerente; in alcune occasioni delle donne sarebbero state frustate sulla pubblica via senza la minima formalità legale.

    (tratto da "Rapporto sulle violazioni dei diritti umani delle donne", Amnesty International 1991).

    L'Urlo contro la pena di morte

    Edited by Oskar - 1/9/2014, 09:46
     
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0 replies since 9/7/2006, 06:59   5266 views
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