Storia e Politica

Posts written by Soniadf

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    CITAZIONE (LAVORI ARCHEOLOGICI @ 25/9/2023, 14:21) 
    CITAZIONE (Soniadf @ 25/9/2023, 11:15) 
    . . . , vorrei sottolineare l’accezione negativa che viene da tempo associata al termine “ideologico”, come a voler accusare la sinistra . . .

    Questa è una delle poche cose culturalmente serie di questa destra.

    Veramente, l’uso spregiativo del termine “ideologico” è stato adottato da subito dagli alleati della sinistra e del cosiddetto “Centro”, che vi ricorrevano e ancora vi ricorrono quando le loro iniziative cozzano coi principi di fondo della sinistra.
    Gli articoli di fede dei cattolici, che pretendono di imporre i sacramenti come provvedimenti normativi non hanno goduto di altrettanto biasimo, anzi, costituiscono un altare di vittimismo nei confronti della sopravvenuta laicità dello Stato.
    Come la sventolata equidistanza tra ragazzi di Salò e partigiani non impedisce ai nuovi post-fascisti di occupare le istituzioni di un Stato fondato sull’antifascismo.
    In questo vortice di ipocrisie, si scopre che solo la sinistra è “ideologica”, quindi colpevole di inflessibilità. Magari ! Sappiamo tutti che non è così, né potrebbe esserlo per il necessario pragmatismo che deve connotare l’azione politica.
    Tuttavia, l’impianto ideologico di una comunità deve rimanere un punto di riferimento e questo impianto, più o meno strutturato, più o meno ondivago, ce l’hanno tutti, anche se lo chiamano in un altro modo.
    Infatti, la cartina di tornasole per vagheggiate alleanze dovrebbe essere la compatibilità tra quegli impianti ideologici.
    Uguaglianza e disuguaglianza non possono stare insieme. A meno che il connubio sia solo strumentale al potere, come hanno fatto i 5stelle, il cui impianto ideologico era talmente labile da consentire a tutto e al suo contrario, senza neanche rendersene conto, una comunità forte solo della sua inaudita e improvvisa consistenza elettorale.
    Il campione di questa vaghezza ideale è Conte, un uomo per tutte le stagioni, e per tutte le cause, basta che si contrappongano a quelle dei suoi concorrenti elettorali. Non deve scusarsi di niente perché non ha mai legato la sua azione a principi fondamentali e valori condivisi dal suo eterogeneo elettorato.
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    A proposito del post di partenza, vorrei sottolineare l’accezione negativa che viene da tempo associata al termine “ideologico”, come a voler accusare la sinistra del fatto che qualsiasi critica o progetto sia inficiato da una visione fondata su valori e criteri specifici. E ci mancherebbe altro che così non fosse.
    Si chiama coerenza. La posizione sull’immigrazione non può scaturire che dalla visione inclusiva e solidaristica della sinistra, così come quella sul lavoro non può fondarsi che sulla tutela della dignità e dei diritti individuali, quella sulla sanità e l’istruzione sul concetto di uguaglianza e servizio pubblico, quello sulla sicurezza discende dalle garanzie giuridiche dell’ordinamento istituzionale. E’ questo che dovrebbe fare un partito politico, agire in coerenza con l’apparato ideologico condiviso dalla sua comunità.
    Senza per questo rinunciare al necessario pragmatismo, cioè l’aderenza alla realtà, ma trattenendosi sull’orlo della rinuncia alla propria “identità”.
    Non sono d’accordo, quindi, con quanto affermato da LA che la politica si faccia soprattutto con manovre interne dirette a conquistare leaderships fini a sé stesse, sganciate dalle aspettative di quella comunità elettorale. Schlein, indipendentemente dalle sue effettive capacità, è stato proprio il tentativo di riportare “la chiesa al centro del villaggio”, cioè il sistema valoriale della sinistra, reso irriconoscibile da anni di compromissioni e cedimenti allo spirito dei tempi.
    L’ “identità” della destra è tutt’altra cosa. Specie per questa nuova destra, la loro “ideologia” (perché qualsiasi sistema di idee è una “ideologia”) è fondata principalmente sulla disuguaglianza e la gerarchia sociale, per cui il “controllo” e la concessione dall’alto diventano il criterio principale della loro azione.
    Le loro fortune elettorali sono ondivaghe quanto il loro elettorato, disancorato dai valori complessi, ma coagulato attorno a ben orchestrate “cacce al colpevole” o a mitizzati bei tempi antichi, dove la carenza di diritti assicurava uno status quo del tutto comprensibile.
    Su queste basi, è facile condurre una propaganda elementare, in cui l’avversario sia colpevole anche del diluvio universale, e presentare qualsiasi provvedimento liberticida come una decisione di “buon senso”, sbeffeggiare il rispetto dei diritti universali come “buonismo” e fare mostra di decisionismo dichiarando fantomatiche guerre a drogati, minorenni deviati, francesi, tedeschi, scafisti e marziani.
    L’adesione alla sinistra è di tipo intellettuale perché prefigura quello che ancora non c’è, mentre la destra si basa sull’esistente e la sua conservazione. Perciò le parole rivolte ai propri elettori sono così differenti. Parlare del futuro è più difficile che parlare del passato, immaginare più impegnativo che contemplare un presente che si vorrebbe sempre uguale.
    Personalmente, ho sempre preferito il “ditino alzato” a richiamare principi fondanti che le bacchettate indiscriminate per ribadire chi è che comanda.
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    “Trova la differenza”, era un divertente giochino della vecchia “settimana enigmistica”. Proviamo ad applicarlo ai due termini abbondantemente usati nelle odierne cronache giornalistiche.
    I valori e le intenzioni alla base dei ragionamenti e dei comportamenti della sinistra sono sprezzantemente definiti “ideologici”, mentre valori e intenzioni della destra vengono benevolmente definiti “identitari”, come se tra ideologia ed identità politica non ci fosse una strettissima correlazione, anzi, come se non fossero sovrapponibili.
    La manipolazione propagandistica gioca su questi leit-motiv, i quali vogliono liquidare gli avversari con definizioni date per spregiative, sottintendendo una tara irrimediabile, come l’ancoraggio ad una visione egualitaria e solidaristica della società che, nelle loro intenzioni, si vuole possibilmente agganciare al defunto marxismo, di cui a sinistra non sono rimaste che tracce.
    Le molte tracce rimaste del fascismo sono invece definite “identitarie”, quasi a sospendere un giudizio di valore e negare un recinto ideologico ( quindi il fascismo non è una ideologia, ma solo un sistema storico di potere), mentre, sia pure a livelli molto elementari e poco strutturati, “Dio Patria e Famiglia” sono un assunto ideologico, come lo sono la disuguaglianza gerarchica e l’intolleranza.
    “Poverini, sono fatti così.” Lo sapevamo e lo sappiamo. Qualsiasi cosa abbiano fatto e stiano facendo in questi mesi di governo si aggancia continuamente alla loro propaganda vincente, persino il discorso all’ONU della Meloni era una ripetizione delle loro inverosimili analisi e ricette anti immigrazione da propinare agli elettori italiani, certo improponibile in un avveduto consesso internazionale.
    A pensarci bene, forse l’utilizzo diversificato dei due termini è giustificato proprio dal cinismo con il quale questa destra riduce tutto a sé stessa e ai propri interessi, prescindendo da qualsiasi altra considerazione (come è avvenuto con l’alluvione in Emilia-Romagna). E questo non può assurgere alla dignità di una ideologia, è solo una riconoscibilità spicciola, una “identità” vorace senza altro obiettivo che danneggiare gli avversari.
    Mentre il Gen. Vannacci può dare degli anormali ai gay, in nome della libertà di opinione, il direttore del Museo Egizio viene "insultato" come filo-arabo e “di sinistra”, cioè portatore di opinioni ritenute illegittime.
    Effettivamente, si fanno continuamente “riconoscere”. L’identità non è acqua.
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    Credo che quella analisi non sia completa. I ricchi non sono tutti uguali, come non lo sono i poveri. La grossa astensione registrata in Italia dovrebbe essere formata soprattutto da poveri che non credono più nella sinistra ma che preferiscono astenersi piuttosto che votare a destra, visto che il numero complessivo dei voti di destra non è aumentato. Si è solo frantumato e ridotto quello di chi votava a sinistra.
    In quanto ai ricchi che votano una sinistra istituzionale, questi fanno parte di quella porzione illuminata, alla Ford, che comprendono che la crescita è tale solo se è comune a tutte le componenti della società, che sono complementari l’una all’altra. Nessuno si salva da solo. La crescita della domanda interna è funzionale anche all’aumento della produzione e la crescita dei consumi si sostiene solo con l’aumento della capacità di acquisto. La stessa Confindustria ritiene che in Italia ci sia un serio problema salariale.
    I ricchi che votano a sinistra hanno da tempo compreso che il caos e la mancata coesione sociale costituisce un costo maggiore rispetto al mantenimento delle proprie posizioni, perché il declino economico del Paese finisce per coinvolgere la qualità della vita di tutti, anche la loro. Tempo addietro ho letto una spaventosa analisi dei costi che molti ultraricchi sostengono in scorte, meccanismi di sicurezza personale ed altre diavolerie da fortini medievali, al fine di proteggersi dai riots che in America scoppiano con una certa frequenza.
    In Italia, poi, si iscrivono alla categoria dei “ricchi” gli intellettuali che vivono in ZTL o liberi professionisti che non sono magari disagiati come gli operai di periferia, ma che spesso non hanno niente da invidiargli in quanto a precariato e mancanza di futuro per i loro figli.
    E’ vero che i poveri fanno analisi meno articolate. Non è questione di morale, è una questione di rabbia. E qui subentra la propaganda martellante che addita nemici fantocci e propone soluzioni semplicistiche a cui aggrapparsi come a un salvagente.
    La destra è sempre stata più manipolatrice nella ricerca del consenso, soprattutto nel far perdurare morali bigotte e giustificazionismi sulle prerogative del potere, generando la contrapposizione frontale utile alla confusione dei ruoli e alla raccolta indiscriminata di voti.
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    CITAZIONE (greenintro @ 9/7/2023, 15:12) 
    Il disprezzo verso la ricchezza si nota dal semplice sottolineare che i morti nel sommergibile fossero "miliardari", sottintendendo un disvalore negativo della categoria, come se la condizione di benessere in cui vivevano rendesse più accettabile la fine che hanno avuto, oppure sottolineando il fatto di star facendo qualcosa per diletto, che riecheggia "tutto sommato se la sono cercata", mettendo ciò in contrapposizione col dramma dei migranti, non tenendo conto del fatto che denigrare lo stile di vita dei benestanti che hanno la possibilità di dedicarsi a svaghi e diletti vuol dire implicitamente denigrare la stessa lotta per l'emancipazione dei migranti, il cui obiettivo è proprio quello di costruirsi un futuro che sia, se non identico, perlomeno il più possibile simile a quello dei ricchi, un futuro di serenità in cui potersi anche dedicare a quelle che cose i moralisti reputano frivole. In questo modo la sinistra rappresentata da Schlein mostra di amare la povertà, non i poveri.

    Una narrazione davvero singolare la tua. Forse confondi il pauperismo francescano con l’emancipazione politica ed economica che è il fondamento di ogni partito di sinistra. Ai tempi di San Francesco, il concetto di pari opportunità era di là da venire, come il concetto dei diritti universali dell’uomo e la lotta alle disuguaglianze. L’unica cosa che c’era già è il concetto di “carità”, cara alle destre e non alle sinistre, le quali prevedono diritti universali e un habitat libero ed equo nel quale dispiegare senza ostacoli le proprie energie individuali, per farne quello che si vuole, senza bisogno di ”invidiare” nessuno.
    “tutto sommato se la sono cercata” riecheggia quanto sostenuto da Piantedosi che rimproverava ai naufraghi di Cutro di aver messo in pericolo i loro figli, a soccorso dei quali lui non ha mandato neanche una vedetta della guardia costiera, mentre per i dispersi del Titan si sono mobilitati uomini e mezzi, pur nella quasi certezza che fossero morti. Tanto, qualcuno avrebbe pagato per quegli sforzi. Mentre, il soccorso ai naufraghi di Cutro era pura remissione.
    Ognuno, se può, si sceglie lo stile di vita che vuole, ma che il disinteresse o la ripulsa verso l’esibizione kitsch della propria ricchezza vengano ancora catalogati come “invidia sociale” o “moralismo” è veramente antidiluviano, come il patriarcato e il nazionalismo di questa eterna destra. Che è fascista solo perché lustra ancora i suoi feticci del ventennio, le sue fiammelle, e i suoi altarini degli eversori repubblicani.
    Ma non è quello che ci preoccupa. Quello che ci preoccupa è questo ristagno culturale, oltre all’evidente capitalismo protezionista che vuole vincolare al business privato anche i servizi essenziali di uno stato moderno. A questo proposito, quanti di quelli che hanno votato Fratelli d’Italia hanno capito che i tre monconi di questa destra mirano ad estendere la sanità privata e le scuole private? Quanti, tra gli strati popolari meno abbienti, hanno capito che questa destra non migliorerà mai le condizioni lavorative dei dipendenti, visto che li considerano un mero fattore della produzione, i cui costi vanno tenuti bassi?
    Sono gli “imprenditori” la loro classe di riferimento, sia quelli veri, che quelli che sono solo dei “faccendieri”, abili a rilevare aziende e spremerle, ad ottenere crediti e prestiti a condizioni di estremo favore, ad adoperare stato e imprese come un bancomat personale, senza nessun interesse né per la produttività né per il peso sociale delle risorse sottratte.
    E dai loro divani sproloquiano sulla schifiltosità dei percettori del RDC, che osano ritenere mortificante uno stipendio di poche centinaia di euro. Mentre sarebbe perfettamente corretto distribuirsi utili milionari da aziende indebitate e bisognose di investimenti.
    Quelli che amano la povertà, per gli altri, s’intende, sono gli arroganti catalogatori della cittadinanza in categorie forti e categorie deboli, naturalmente destinate a soccombere. Una volta Berlusconi si lasciò scappare che il figlio di un operaio non poteva pretendere di diventare un libero professionista, il leghista Castelli che bisognava contrattare con la mafia, insomma lasciare tutto come sta: il migliore dei mondi possibili per chi detiene già posizioni privilegiate. Il compito della sinistra dovrebbe essere quello di sgangherare questo immobilismo sociale, protetto da provvedimenti atti a preservare lo status quo.
    E, nel passato, la sinistra è riuscita ad imporre welfare e statuti sul lavoro. Oggi, rimbambita di governismo e di privilegi di “casta”, riesce solo a discutere dei diritti civili delle minoranze: un restringimento di orizzonte che ha lasciato tutto quel vuoto che un partitino di “reduci” e di apprendisti sta riempiendo con un rigurgito di primo novecento.
    A proposito di La Russa, almeno sappiamo già cosa risponderà a chi gli contesta la sua faziosità anti-istituzionale : “Me ne frego”.
    E forse non c’è niente di penalmente rilevante in quello che ha fatto suo figlio, ma abusare di una ragazza incosciente, in qualsiasi circostanza, è come prendere a calci un cucciolo, niente di penalmente rilevante, ma umanamente abominevole, anche se in entrambi i casi le vittime se la sono cercata per il semplice fatto di essere finite tra i piedi di quella persona.
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    Per quanto riguarda i posts di una riga, tipo: vi piacerebbe, noi sì che siamo bravi, voi siete tutti rosiconi, et similia, basta non rispondere e bannare dopo un pò, tanto non ci perdiamo niente, perchè niente significano. La mancanza di argomenti è ragione sufficiente a fuoriuscire da un forum di discussione.
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    Anch'io sono per la soluzione n. 4.
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    Solo i militari possono organizzare questi spettacoli. Non ci vedo niente di male. Magari servissero solo a formare competenze del genere, ad educare marinai su navi iconiche come la Vespucci. Militare non è una parolaccia quando è al servizio del Paese.
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    Non so se c'entra qualcosa, ma io mi sono trovata bloccata l'accesso diverse volte ed ogni volta partiva una procedura di verifica, che poi abortiva.
    Ora ho l'accesso, ma è altalenante. Che significa?
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    https://www.rivistailmulino.it/a/il-nazion...ugno+%5B9173%5D


    Vi propongo un interessante articolo del Mulino sul “Nazionalcapitalismo”, che è la formula magica, in fondo, di tutte le dittature di destra del passato, del presente e del futuro.
    A parte i rischi sul piano dei diritti individuali e dell’equilibrio dei poteri, il sistema economico che ne deriva è un capitalismo corporativo che non si pone neppure il problema della redistribuzione, ma garantisce politicamente potentati e monopoli nazionali, insomma “oligarchie”, la cui sopravvivenza dipende dal favore politico. Il primo “oligarca” d’Italia è stato Berlusconi, e nessuno lo ha riconosciuto come tale. Le favolette sul grande imprenditore ancora girano senza vergogna, e uno stuolo di piccoli e piccolissimi imprenditori ancora coltivano giustamente l’idea che il loro successo dipenda dalla benevolenza della politica sulle pratiche elusive e truffaldine che intendono mettere in campo, a scapito di altri.
    In questo regime, i ricchi protetti diventano sempre più ricchi, mentre gli altri si accollano sacrifici, redditi minimi e servizi tagliati.
    Ho letto le considerazioni sulla Schlein da parte di qualche utente e pare di tornare indietro nel tempo, quando per liquidare la sinistra si parlava di “invidia e rancore sociale”. La Schlein è di buona famiglia e D’alema aveva una barca, tutte cose inammissiibili per chi sogna un’Italia delle pari opportunità e di libera concorrenza.
    Questa imprenditoria che si deve far adottare dalla politica è la vena parassitaria che blocca il Paese, non le legittime aspirazioni per condizioni dignitose garantite a tutti. L’imprenditoria alla Santanchè e tanti altri che circolano intorno a questa destra da squali ci fanno regredire da 30 anni ed ancora c’è qualcuno che parla di “invidia sociale”? Come se il sistema premiasse veramente i meritevoli e capaci e non gli ammanicati e spregiudicati?
    E’ vero che gli italiani sono troppo rassegnati. Solo una punta di esasperazione ha provocato l’elezione della Schlein , tanto per non ridare fiducia a coloro che si sono fatti infinocchiare per anni nell’esibizione di un liberalismo che gli avversari hanno costantemente tradito. Oltretutto, mentre proteggevano corporazioni ed oligopoli, accusavano la sinistra di voler aprire al mercato, di tassare progressivamente, di garantire parità di condizioni contrattuali, insomma di inserirsi nel solco delle regole liberali, quelle che loro stracciano per protezionismo interno ed esterno.
    La propaganda fa il resto. La Meloni, che diceva di non essere ricattabile da Berlusconi, pensa che debba giocarsi la carta del MES per ricattare l’Europa, mentre il giochetto le è già costato una grossa fetta di credibilità (nessuno ha chiamato l’atlantissima premier italiana durante la crisi russa).
    Qualcun’altro parlava di pragmatismo. Davvero l’allocazione delle poste di bilancio di questo governo, che dimentica sanità, istruzione, lavori pubblici essenziali, emergenze territoriali sono utili al Paese?
    Come l’autonomia differenziata, il Ponte sullo stretto, la flat tax, i Commissari di partito e tanti altri sprechi che faranno la felicità di pochi, sempre gli stessi, e lasceranno gli altri a sopportare l’ennesimo ristagno sociale? E’ proprio in nome del sano pragmatismo che bisogna ostacolare questo ideologismo da nazionalcapitalismo, che sperpera e non distribuisce, regala settori ai privati e lascia a terra milioni di cittadini che, non avendo spazio, hanno ripreso ad andarsene all’estero.
    Invece, si montano discussioni sui calzini spaiati o il guardaroba di donne pubbliche. Davvero pensiamo che la Meloni non abbia una incaricata per il guardaroba? Ma lei si guarda bene dal dirlo, perché deve dare l’idea di essere calata nella realtà popolare. La Schlein, che non è ossessionata dall’immagine, ne ha parlato en passant , come a confessare una incapacità. Ed ecco la ghiotta occasione per tacciare di frivolezza la paladina dei deboli che, tra l’altro, mi pare costituzionalmente assai contenuta nei modi, mentre la Meloni gigioneggia largamente in mises. accessori e atteggiamenti frivoli. Ma Meloni, nonostante la manipolata autobiografia da piccola fiammiferaia, non difende mica i deboli.
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    Mi dispiace non aver letto il libro, quindi posso sicuramente prendere un granchio.
    Quello che mi viene di suggerirti è di focalizzare l’attenzione sul concetto di “costituzionalismo”, che rappresenta la prassi di redarre delle “carte fondamentali”, che regolino le istituzioni dello Stato sulla base di valori universalmente condivisi ( derivanti dalla “dichiarazione dei diritti dell’uomo” e dalla teoria del “bilanciamento dei poteri”, ad esempio), per cui l’autore parla di “interculturazione”.
    La cultura costituzionale è, banalmente, la conoscenza e l’aderenza ai dettami costituzionali, per cui ogni atto legislativo ulteriore deve passare il vaglio della sua “costituzionalità”, ma, meno banalmente, è il tentativo di assicurare per sempre “il diritto ai diritti”, come nella citazione di Hannah Arendt.
    E’ per questo che si parla di “attuazione” della Costituzione formale che, come atto di fondazione e di indirizzo, non può che essere assertiva e generica, mentre le fattispecie giuridiche sono numerosissime e in continua evoluzione.
    A parte i valori accolti nei principi generali delle Costituzioni, quello che incardina lo Stato in meccanismi più o meno democratici è l’architettura prevista per l’operatività dei suoi poteri fondamentali, per i quali è previsto un bilanciamento che impedisca l’esercizio del potere assoluto (anche se si vincessero le elezioni col 90%, ci sarebbe sempre un “giudice a Berlino”, indipendente).
    La costituzione culturale, mi pare di aver capito, è per l’autore la cultura che emana dalla Carta e che si sedimenta nella società, la quale, sposando quei valori e quelle forme istituzionali, diventa un baluardo della Costituzione, in quanto strumento di coesione sociale nazionale ed internazionale.
    Il costituzionalismo come scienza sarebbe dunque la ricerca del migliore assetto istituzionale e valoriale per garantire “la pace dell’umanità”, come dice l’autore nella citazione di Virelle.
    Le critiche riportate da Dceg vertono invece su un supposto eccesso socio-scientifico e su una dogmatica dei diritti fondamentali che dà per acquisiti il riconoscimento di diritti che, in realtà, rimangono affermati solo sulla Carta, una difesa formale che può evolversi in tutele effettive o rimanere una intenzione “decorativa”.
    In fondo, le Costituzioni sono maledettamente “giovani”. Derivano da quegli Statuti “octroyés”, cioè concessi alla fine dell’ottocento per pararsi dai moti liberali. Ed erano ancora molto illiberali, tanto che la “costituzione culturale” dell’epoca ne lamentava l’artificiosità e l’inefficacia.
    Anche la Magna Charta e la Costituzione americana erano Costituzioni fondate sulla disuguaglianza, ma a renderle ancora vigenti è proprio, forse, quella Costituzione culturale che le interpreta e le corregge col progresso scientifico del costituzionalismo interculturale.
    Spero di esserti stata utile almeno un poco.
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    ”Sono diventate troppe 2.100 scuole da mettere in sicurezza. E troppe le mille strutture in cui costruire o ampliare le mense, per estendere il tempo pieno e contrastare l’abbandono scolastico. L’ha messo nero su bianco, il ministro dell’Istruzione Valditara. Chiedendo quindi di ridimensionare gli obiettivi sull’edilizia scolastica «in proporzione» all’aumento dei prezzi. Anche gli asili nido sono finiti dentro l’elenco dei tagli”.
    Il governo sovranista si preoccupa e sostiene la natalità finanziando il ponte sullo stretto, ma non l’istruzione e gli asili nido. Non vuole il salario minimo ed incoraggia la precarietà lavorativa, spingendo fuori dai confini i nostri giovani, però la loro ricetta anti-migranti (quale?) ci salverà da tutto questo. E quando neppure un africano e siriano sfuggirà alle maglie melon-salviniane finalmente ci si metterà a figliare allegramente, anche con salari bassi, senza asili e scuole dignitose, coi lavori a tempo e gli affitti insostenibili. Saranno cavoli solo nostri, perché nel frattempo ci saremo sbarazzati di quelli che ci impedivano di figliare e cullavano la bizzarra idea di volerci sostituire in questo inferno lavorativo e di stato sociale al collasso.
    Una volta liberatici fino all’ultimo migrante, come faremo a trattenere i giovani italiani che vanno a cercare lavoro a condizioni dignitose, visto che sono giovani ma non scemi, e preferiscono un lavoro sicuro, protetto e ben pagato e persino consono alla loro preparazione. Il decreto lavoro varato da questo governo va bene per emigranti in transito, per giovani studenti, per manovalanza generica e impreparata, non per chi vuole mettere su famiglia e carezzi qualche progetto di vita.
    Temo che quelli che stanno preparando la “sostituzione etnica” siano proprio loro.
    Al servizio di imprenditori senza troppi scrupoli, in futuro li vedremo forse sulla tolda di qualche nave ONG a raccattare migranti disposti a farsi sfruttare nella nostra agricoltura e che promettano di rimanere in Italia senza, anche loro, cercare di scappare all’estero.
    Sarà dura. Neanche i migranti sono scemi.
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    La senatrice Paita dimentica di dire che il loro candidato alla Presidenza è indagata per reati ambientali e un altro componente della Commissione , ex sottosegretario di Renzi, è indagato per corruzione. La loro battaglia a viso aperto mi pare fosse fornita di strumenti discutibili. Condivido, come Mieli, la necessità di crearsi comunque spazi di controllo attraverso la vicepresidenza di Cafiero de Raho, risiedendo la purezza nella qualità e nella competenza dei candidati, non nell’ arraffare un ruolo. Come compagni di opposizione, il terzo Polo è affidabile quanto uno sconosciuto autostoppista.
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    CITAZIONE (LAVORI ARCHEOLOGICI @ 24/5/2023, 09:22) 
    Anche questo purtroppo non mi sembra una rappresentazione realistica. Ribadisco il purtroppo. Il ruolo degli espositori istituzionali è cresciuto (anche e ancora di più dopo l'avvicendamento del soggetto promotore) a dismisura per bilanciare la disaffezione delle Case Editrici private, le quali -salvo perlopiù quelle veramente molto grandi- hanno in quest'ultima manciata di anni progressivamente rinunciato a presentarsi o diluito la propria presenza optando per eventi similari che nel frattempo sono cresciuti nazionalmente ed internazionalmente (da Francoforte a Firenze) oppure per manifestazioni concorrenti che sebbene durate poco (come Milano 2017-2018 e in precedenza la particolarissima esperienza di Belgioioso) ne hanno eroso la fidelizzazione o quantomeno ne hanno evidenziato lo stato di debolezza. E per quello che ne capisco io è proprio un fenomeno in corso.

    Mah, veramente io ho letto cose diverse. Che il Salone di Torino ha raddoppiato le vendite rispetto all’anno scorso, che in 5 giorni di Fiera ha raggiunto il numero fantastico di 215.000 spettatori, 50.000 più dell’anno scorso, che la direzione di Lagioia ha letteralmente rilanciato il Salone. Questa storia di successo indipendente dalla politica è evidentemente una nota stonata per chi crede che il potere politico debba condizionare ogni interstizio della vita sociale, e farsi strumento al servizio delle maggioranze di governo.
    Tanto per capirci, qualche sera fa Italo Bocchino, nella trasmissione di Gruber, sentenziava che la destra aveva tutto il diritto di scegliere la Colosimo come Presidente della Commissione Antimafia perché loro avevano vinto le elezioni. Concludendo, col sorrisino di scherno che accompagna sempre il loro memento di primo partito alle urne: “E’ la democrazia, bellezza”.
    Una Commissione di garanzia prevede invece, in democrazia, che la presidenza sia ampiamente condivisa con le forze di opposizione perché in democrazia, quella vera, non basta vincere le elezioni, magari con leggi elettorali che gonfino artatamente le rappresentanze, ma occorre anche rispettare i dettati costituzionali, tra i quali brillano le garanzie per le forze di opposizione.
    Semplificazione per semplificazione, cosa c’entra una frequentatrice di ambienti eversivi, ammiratrice di Codreanu, il nazista fondatore della Guardia di Ferro romena, con una commissione che indaga su stragi politico-mafiose?
    Un’altra domanda. Perché quel Ciavardini, frequentato dalla Colosimo, condannato per la strage di Bologna e l’omicidio di un poliziotto e di un giudice, affiliato ai NAR, non è mai andato al 41 bis? Penso che fosse molto più inserito in una rete esterna di complicità di quanto non sia o possa mai essere l’anarchico Cospito.
    Di questi misteri è piena la storia della criminalità nera. Gli eroi di questa nuova dirigenza del Paese sono questo tipo di “arditi”, subito riabilitati e protetti, come il nuovo portavoce del presidente della Regione Lazio, un certo Marcello De Angelis, cognato di Ciavardini e condannato per associazione sovversiva e banda armata, già collaboratore di Rocca, quando questi era Presidente della Croce Rossa.
    Sia il pregiudicato per droga ed ora governatore Rocca che gli altri, come si vede, non hanno mai subito gravi danni per le loro malefatte, riuscendo a percorrere prestigiose carriere, protetti e coccolati come nessun vero underdog si aspetterebbe, eppure rivendicano la loro odierna protervia come una legittima reazione ad anni di ingiusta quanto immaginaria emarginazione.
    L’egemonia culturale della sinistra ha garantito loro di sopravvivere comodamente, nonostante i reati. Mentre i loro camerati nelle istituzioni li hanno sempre protetti, contraccambiati da un ferreo attivismo e dal sostegno elettorale.
    E’ questa la differenza tra l’egemonia culturale di sinistra, che non ha mai eretto monumenti ai brigatisti rossi e che non ha mai usufruito del sostegno elettorale degli estremisti di sinistra, e l’egemonia culturale di questa destra, che è capace solo di immaginare una fidelizzazione tribale.
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    In questa diuturna battaglia per stabilire chi è più fascista, pare di essere almeno giunti alla conclusione involontaria che “fascista” è un insulto. Anche da parte dei post-fascisti, che trovano disdicevole impedire a qualcuno di parlare. Ottanta anni di democrazia non sarebbero passati invano se gli esponenti della destra di governo si fossero limitati ad esecrare come “fascisti” i contestatori della ministra Roccella.
    Il fatto è che hanno esteso l’esecrazione al direttore della Fiera del libro, colpevole, secondo tale onorevole Montaruli di non saper gestire l’ordine pubblico e di rubare i soldi del suo stipendio.
    La deputata Montaruli, già consigliere alla Regione Piemonte e condannata in via definitiva per la distrazione di fondi pubblici, condanna che le è costata le dimissioni da sottosegretaria, ritiene evidentemente di poter imputare al direttore Lagioia l’incapacità di difendere ad oltranza i diritti inalienabili della ministra, anche se la Digos era già all’opera nello schedare e denunciare i vari contestatori, soprattutto pensava che lo stipendio di Lagioia fosse originato dalla capacità di garantire ad un esponente di governo il suo spazio di visibilità, dimostrando così la giusta affidabilità nel ruolo.
    Ma la Fiera del Libro è una organizzazione privata, con qualche minima partecipazione pubblica, cresciuta negli anni come fiera editoriale anche grazie al settennato di Lagioia, con la partecipazione di un migliaio di case editrici, che opera liberamente e non deve fedeltà a nessuno.
    Ecco il punto: la fedeltà. Lo chiamano “merito”. Questi sedicenti democratici, che si sbarazzano dell’aggettivo fascista rispedendolo al mittente, non possono certo sperare che tutte le loro brighe per fare dello stato e di ogni altra istituzione di rilievo una “cosa loro” vengano considerate una routine democratica e non una deriva da demoKratura. Li vediamo ogni giorno distorcere la storia e richiamare sul palco personaggi dal passato eversivo, nello sforzo titanico di normalizzare tutta quella brutta storia di connivenze e delitti.
    “Vergogna”, urlava la Montaruli. Non solo Lagioia, ma tutti noi, nel loro intento, dovremmo vergognarci di non essere dalla loro parte, di non raccogliere il verbo dei poveri underdogs emarginati dalla democrazia, loro che ne sognavano un’altra, onnivora e priva di contestazioni, con un bel partito unico legittimamente votato.
    Credo comunque che si facciano delle illusioni. L’Italia, al netto delle ataviche tendenze a salire sul carro dei vincitori, non è uno dei Paesi di Visegrad, che hanno patito le occupazioni sovietiche e sofferto a lungo la mancanza di democrazia. La società italiana è andata avanti anche malgrado la loro nefasta e ossessiva presenza, imparando a limitarne l’impatto, se non con la classica pernacchia di Totò, certamente con l’autorevolezza delle istituzioni degnamente rappresentate dall’attuale Presidente della Repubblica (che tale onorevole Montaruli considera sicuramente un altro inaffidabile mangiasoldi).
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