Storia e Politica

Votes taken by Soniadf

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    Non so se c'entra qualcosa, ma io mi sono trovata bloccata l'accesso diverse volte ed ogni volta partiva una procedura di verifica, che poi abortiva.
    Ora ho l'accesso, ma è altalenante. Che significa?
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    https://www.rivistailmulino.it/a/il-nazion...ugno+%5B9173%5D


    Vi propongo un interessante articolo del Mulino sul “Nazionalcapitalismo”, che è la formula magica, in fondo, di tutte le dittature di destra del passato, del presente e del futuro.
    A parte i rischi sul piano dei diritti individuali e dell’equilibrio dei poteri, il sistema economico che ne deriva è un capitalismo corporativo che non si pone neppure il problema della redistribuzione, ma garantisce politicamente potentati e monopoli nazionali, insomma “oligarchie”, la cui sopravvivenza dipende dal favore politico. Il primo “oligarca” d’Italia è stato Berlusconi, e nessuno lo ha riconosciuto come tale. Le favolette sul grande imprenditore ancora girano senza vergogna, e uno stuolo di piccoli e piccolissimi imprenditori ancora coltivano giustamente l’idea che il loro successo dipenda dalla benevolenza della politica sulle pratiche elusive e truffaldine che intendono mettere in campo, a scapito di altri.
    In questo regime, i ricchi protetti diventano sempre più ricchi, mentre gli altri si accollano sacrifici, redditi minimi e servizi tagliati.
    Ho letto le considerazioni sulla Schlein da parte di qualche utente e pare di tornare indietro nel tempo, quando per liquidare la sinistra si parlava di “invidia e rancore sociale”. La Schlein è di buona famiglia e D’alema aveva una barca, tutte cose inammissiibili per chi sogna un’Italia delle pari opportunità e di libera concorrenza.
    Questa imprenditoria che si deve far adottare dalla politica è la vena parassitaria che blocca il Paese, non le legittime aspirazioni per condizioni dignitose garantite a tutti. L’imprenditoria alla Santanchè e tanti altri che circolano intorno a questa destra da squali ci fanno regredire da 30 anni ed ancora c’è qualcuno che parla di “invidia sociale”? Come se il sistema premiasse veramente i meritevoli e capaci e non gli ammanicati e spregiudicati?
    E’ vero che gli italiani sono troppo rassegnati. Solo una punta di esasperazione ha provocato l’elezione della Schlein , tanto per non ridare fiducia a coloro che si sono fatti infinocchiare per anni nell’esibizione di un liberalismo che gli avversari hanno costantemente tradito. Oltretutto, mentre proteggevano corporazioni ed oligopoli, accusavano la sinistra di voler aprire al mercato, di tassare progressivamente, di garantire parità di condizioni contrattuali, insomma di inserirsi nel solco delle regole liberali, quelle che loro stracciano per protezionismo interno ed esterno.
    La propaganda fa il resto. La Meloni, che diceva di non essere ricattabile da Berlusconi, pensa che debba giocarsi la carta del MES per ricattare l’Europa, mentre il giochetto le è già costato una grossa fetta di credibilità (nessuno ha chiamato l’atlantissima premier italiana durante la crisi russa).
    Qualcun’altro parlava di pragmatismo. Davvero l’allocazione delle poste di bilancio di questo governo, che dimentica sanità, istruzione, lavori pubblici essenziali, emergenze territoriali sono utili al Paese?
    Come l’autonomia differenziata, il Ponte sullo stretto, la flat tax, i Commissari di partito e tanti altri sprechi che faranno la felicità di pochi, sempre gli stessi, e lasceranno gli altri a sopportare l’ennesimo ristagno sociale? E’ proprio in nome del sano pragmatismo che bisogna ostacolare questo ideologismo da nazionalcapitalismo, che sperpera e non distribuisce, regala settori ai privati e lascia a terra milioni di cittadini che, non avendo spazio, hanno ripreso ad andarsene all’estero.
    Invece, si montano discussioni sui calzini spaiati o il guardaroba di donne pubbliche. Davvero pensiamo che la Meloni non abbia una incaricata per il guardaroba? Ma lei si guarda bene dal dirlo, perché deve dare l’idea di essere calata nella realtà popolare. La Schlein, che non è ossessionata dall’immagine, ne ha parlato en passant , come a confessare una incapacità. Ed ecco la ghiotta occasione per tacciare di frivolezza la paladina dei deboli che, tra l’altro, mi pare costituzionalmente assai contenuta nei modi, mentre la Meloni gigioneggia largamente in mises. accessori e atteggiamenti frivoli. Ma Meloni, nonostante la manipolata autobiografia da piccola fiammiferaia, non difende mica i deboli.
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    La senatrice Paita dimentica di dire che il loro candidato alla Presidenza è indagata per reati ambientali e un altro componente della Commissione , ex sottosegretario di Renzi, è indagato per corruzione. La loro battaglia a viso aperto mi pare fosse fornita di strumenti discutibili. Condivido, come Mieli, la necessità di crearsi comunque spazi di controllo attraverso la vicepresidenza di Cafiero de Raho, risiedendo la purezza nella qualità e nella competenza dei candidati, non nell’ arraffare un ruolo. Come compagni di opposizione, il terzo Polo è affidabile quanto uno sconosciuto autostoppista.
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    CITAZIONE (greenintro @ 27/2/2023, 21:46) 
    la storia degli ultimi decenni dimostra che elettoralmente il centrosinistra era più competitivo prima della nascita del Pd, ai tempi di Ds e Margherita, o comunque dell'Ulivo inteso come alleanza di partiti diversi. Il Pd è sempre stato un partito invotabile per le persone di sinistra radicale che lo giudicano troppo moderato e per i moderati che lo vedevano come troppo di sinistra. Con due partiti forti, uno chiaramente di sinistra e uno chiaramente di centro l'attrattiva complessiva di quel campo sarà maggiore.

    Io temo che Calenda si illuda sull’entità di una destra riformista in Italia. Quel fantomatico Centro, che avrebbe voluto essere egemonico nel PD e che non viene apprezzato neppure da una destra moderata che, alla fine, preferisce essere cripto-meloniana, non solo è esiguo, ma anche sostanzialmente troppo bifronte per garantire rigore e fermezza.
    L’OPA sul PD tentata alle regionali è andata a vuoto, perché gli elettori hanno preferito astenersi piuttosto che premiare chi ha disertato l’alleanza per battere la destra, e accogliere i fuoriusciti dal PD non vuol dire accoglierne gli elettori. Anzi.
    Questa operazione di chiarezza potrebbe essere funzionale ad una rinascita della sinistra italiana, il cui volto è stato per troppo tempo offuscato dalle manovre centriste di stampo democristiano, esperti di correntismo e gestione delle tessere. Oltre che di linee politiche confuse e occasionali.
    Il compito che attende la Schlein è riconvertire i metodi di gestione del partito ed i meccanismi di partecipazione dal basso, che sono andati perduti con l’abbraccio veltroniano degli ex-DC e l’ambizione americaneggiante del contenitore elettorale senza identità. Una politica condotta su questo piano vedrà sempre vincitrice una destra pragmatica e legata ad interessi più forti.
    Sarebbe bello che Calenda riuscisse ad aggregare una destra seria, legalista e attenta a tutta la comunità nazionale. Temo, purtroppo, che la tradizione e la storia siano contro di lui.
    La forza della Schlein dovrebbe consistere proprio in questo deflusso di personaggi anodini e nel flusso di rientro di ex elettori rivoltisi ai 5 stelle per disperazione.
    La proporzione dei rientri è sicuramente più vantaggiosa rispetto alla fuga di chi continua quotidianamente a rimproverare la sinistra di voler agire come una forza di sinistra.
    Da elettrice della Schlein, domenica sono andata a letto con un minimo di aspettativa. Non accadeva da 15 anni.
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    Riporto il testo della lettera inviata dalla Preside agli studenti di un liceo di Firenze per indurli a riflettere sull’aggressione avvenuta fuori da un altro liceo fiorentino da parte di membri di “Azione Studentesca”, una organizzazione di estrema destra, riconducibile a FDI.

    www.huffingtonpost.it/cronaca/2023...1396984-P1-S2-L

    <i>“È una lettera del tutto impropria, mi è dispiaciuto leggerla, non compete a una preside lanciare messaggi di questo tipo e il contenuto non ha nulla a che vedere con la realtà: in Italia non c'è alcuna deriva violenta e autoritaria, non c'è alcun pericolo fascista, difendere le frontiere non ha nulla a che vedere con il fascismo o con il nazismo. Sono iniziative strumentali che esprimono una politicizzazione che auspico che non abbia più posto nelle scuole; se l'atteggiamento dovesse persistere vedremo se sarà necessario prendere misure".
    Queste le parole del Ministro Valditara a Mattino 5.
    E questa mattina è apparso uno striscione, poi rimosso, fuori dal Leonardo da Vinci, il liceo della preside Annalisa Savino . La firma è di Blocco studentesco, associazione neofascista. "Non ci fermerà una circolare, studenti liberi di lottare", la scritta. Su twitter Blocco studentesco ha messo una foto dello striscione e scritto: "Un'intera generazione di cosiddetti 'docenti', in realtà propagandisti politici in servizio permanente, dovrebbe finalmente andare in pensione anticipata. Sono loro la causa principale del disastro del sistema educativo italiano. Rottami del 68". Nelle immagini si vedono anche persone che bruciano la lettera della preside.
    In tutto questo, il governo e il ministro si sono ben guardati dal condannare l’aggressione squadrista di Firenze ai danni di studenti davanti ad una scuola, di cui tutti abbiamo visto le immagini e la vigliacca dinamica.
    Viceversa, ci esortano ad allarmarci del pericolo anarchico e delle supposte commistioni del PD con la mafia, portando quelle formidabili “prove” messe a disposizione dal sottosegretario Del Mastro.
    Io spero solo che nessuno cada nelle provocazioni di questi nostalgici degli anni di piombo, perché è quello l’humus che li alimenta e che vorrebbero riproporre. Questi non hanno ancora digerito il ’68, sono fermi alla scuola e alla società patriarcale pre-bellica.
    L’aspetto più surreale è che è proprio grazie alla tolleranza e alle aperture sociali del ’68 che tutti, anche loro e la loro leader di riferimento (seppur lamentandosi di essere vissuta come una underdog, che pure è approdata in parlamento credo 20 anni fa), hanno prosperato e beneficiato di tutte quelle opportunità che la loro visione sociale non gli avrebbe garantito.
    La famosa “egemonia culturale” della sinistra, di cui si dicono vittime, non è altro che il rifiuto di pensarla come loro, è guardare testardamente avanti sulle basi costituzionali, sono i margini ampi di libertà conquistata anche con il movimento del ’68. Non è una “egemonia”, è la diversità radicale di chi non si sottomette al loro tempietto di padri-padroni e alla loro fede nella disuguaglianza naturale.
    Non è una egemonia, purtroppo, ma un superiore grado di civiltà.
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    Io finisco col guardare il festival come Frapalin, perché siamo semplicemente circondati. Salvo alcuni fortunati momenti di show, le canzoni mi sembrano in maggioranza orribili e soprattutto tutte uguali e detesto qualsiasi forma di rap et similia, che sembra essere l’unico genere frequentato. Riconosco di non avere una accurata preparazione musicale, ma la mia reazione è pressappoco simile a quella di Dceg.
    Io osservo il fenomeno sociologico, a volte costringendomi ad ascoltare, aspettando che finisca presto, e non è puzza sotto il naso, semplicemente sono infastidita ed annoiata. Mi chiedo anche se questa mia impermeabilità non somigli a quella dei miei genitori quando io ascoltavo i Beatles, ma finisco col rispondermi che proprio non c’è paragone. :( :D
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    CITAZIONE (dceg @ 8/2/2023, 15:20) 
    La mia domanda non è però di carattere musicale o di spettacolo: perché il festval musicale ha preso un valore politico? (Presenta di Mattarella, discussione sulla presenza di Zelenssky, messaggi più o meno politici in scena ecc.).

    Caro Dceg, Si vede che non vivi in Italia da tempo. La prendo alla lontana.
    Il blocco dell’alternanza in Italia, dovuto alla guerra fredda, ha anche significato che l’unica cosa che potessero fare i partiti, per anni, era spartirsi freneticamente pezzetti di potere periferico. Una spartizione cui hanno partecipato anche i partiti di destra estrema, checchè ne dicano. Certo, in proporzione al consenso (il famigerato manuale Cencelli ne indicava pedissequamente le quote). La “partitocrazia” di pannelliana memoria è la definizione più azzeccata per definire questa invasività capillare, per cui ogni ruolo, ogni funzione pubblica veniva attribuito alle decisioni e alle esigenze spartitorie della politica, con le storture di gestione facilmente intuibili.
    Per quanto riguarda la TV pubblica, siamo passati dal monocratico bigottismo democristiano alla televisione coi canali targati per partiti e, dopo Berlusconi e la sua sguaiata TV commerciale, c’è stata anche una parte di TV pubblica nominata dal suo concorrente (un traguardo veramente notevole).
    Come vedi, non è un paese normale. Non è normale che qualsiasi cosa passi per una valutazione dell’ effetto elettorale che può produrre, visto che ogni cosa è retta sulla base di una accordo politico, di cui i contraenti possono sempre chieder conto, senza riguardo per le professionalità coinvolte e per la loro libertà di espressione.
    Ti informo che negli ultimi trent’anni, la libera espressione di sé ha sempre dovuto fare i conti con lo starnazzare dei partiti che ritenevano la TV pubblica uno spazio di proprietà condominiale, ove tutto dovesse passare per un CDA lottizzato, fino a provocare interrogazioni parlamentari per uno sketch comico o un contratto di partecipazione ad un varietà. Non ci credi? Il marziano di Flaiano siamo tutti noi, ormai abituati a veder calare ghigliottine sulle battute di artisti ed intrattenitori, come se dovessero rispondere della loro attività, non al pubblico, ma alla corte del Castello, l’unico giudice in grado di elaborare sibilline imputazioni di lesa neutralità ed emanare condanne di partigianeria illegale.
    La presenza di Mattarella in questa edizione era legata alla celebrazione dei 75 anni della Costituzione italiana ed è stata l’occasione per un bel monologo di Benigni sull’art. 21, che riguarda la libertà di opinione e che gli ha anche dato modo di sottolineare la differenza con la condizione autoritaria che caratterizzava il regime precedente alla sua emanazione. Un monologo comico, con qualche bella battuta sulla “costituzionalità” dei mandati multipli all’attuale presentatore e allo stesso tempo celebrativo del patrimonio istituzionale del Paese.
    Il Festival di Sanremo è il simbolo della cultura pop del Paese ed è cresciuto come un mastodonte in quanto evento televisivo, catalizzatore di risorse pubblicitarie, e generatore principale di questa televisione autoreferenziale che si partorisce addosso, commentando e riospitando sé stessa in un loop senza fine di formats eterni.
    La presenza di Mattarella ha onorato uno spazio di spettacolo popolare, così come fece Elisabetta II quando nominò baronetti i Beatles, senza chiedersi cosa ne avrebbero pensato i laburisti o i conservatori.
    Sembra che l’Italia, invece, debba costituire un comitato di Salute Pubblica ogni qualvolta si appronti un evento pubblico che possa avere ricadute sul consenso politico, una clausola di “par condicio” da applicare a tutto, anche a cultura, spettacolo, sport, ed ogni altra espressione di libera creatività che fiorisca autonoma da condizionamenti o da ridicoli confronti col diverso da sé.
    A fronte di Zelenski, secondo questa logica, si sarebbe dovuto ospitare qualche filo-putiniano doc, in modo da sterilizzarne gli effetti.
    Un’altra singolarità nefasta, conseguenza di questo regime condominiale del Paese è che, negli ultimi trent’anni, l’opposizione politica si è manifestata più sui palcoscenici televisivi che nelle aule parlamentari, dove abortivano le iniziative legislative e gli elettori si consolavano con la parodia dei loro inetti rappresentanti.
    Questa asfissia da minculpop allargato produce tonnellate di chiacchiere sul nulla, ma soprattutto cristallizza le divisioni di un passato che non si vuole superare, perché utile a rivendicare una eterna visibilità di parte a scapito della coesione sociale.

    P.S.: leggo adesso che Il ministro Sangiuliano chiede che il Festival renda omaggio alle vittime delle Foibe (sic), secondo la legge del rimbalzo per cui ad ogni argomento affrontato e sostenuto da una certa opinione pubblica debba essere sempre contrapposto un argomento caro alla destra, in qualunque contesto, come un osceno sbracciamento da esibizionisti.
    Stiamo rapidamente evolvendo, dal mutismo anodino del primo dopoguerra, alle pelose par condicio, al “dover tener conto di chi ha vinto le elezioni” (parole di un altro opinion maker del centro-destra).
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    E’ successo ad agosto del 2020, ne avevo scritto. La casa è in campagna e ancora con i sigilli dei vigili del fuoco, che hanno impedito a me di portare via alcune cose, ma non ai ladri di razziare quanto era rimasto incustodito in giardino, nel portico, nelle cantine e al secondo piano, in una stanza dove il fuoco non era arrivato. Io mi sono spostata al mare (Anzio) e non voglio più saperne di campagna. A parte i ricordi di famiglia, mi è dispiaciuto molto per la mia collezione di volumi Adelphi ed una vecchia edizione del Gregorovius, oltre alla mia variegata collezione di teatro.
    Qualche giorno fa, ho preso su una bancarella un vecchio Albo di Topolino che, ricordo, fu la mia prima lettura, nella sala d’attesa del parrucchiere di mia madre. L’ho piazzato su una mensola vuota, a simbolo di tutti i miei libri svaniti. Ormai, leggo solo su E-book.
    Per Natale, mio fratello mi ha regalato una vecchia foto in cornice, di cui non avevo memoria e che mi aveva scattato quando eravamo entrambi adolescenti. Ora fa compagnia all’Albo doppio di Topolino.
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    CITAZIONE (frapalin @ 29/12/2022, 09:30) 
    C'è da tempo una domanda che mi pongo e per cui ho trovato anche scontro sui social con qualche utente: per quale motivo una persona dovrebbe essere detestata in quanto membro della Massoneria? Perché quando si parla di Massoneria lo si fa con senso dispregiativo?
    Ve lo chiedo perché è sinceramente un argomento su cui ho una competenza davvero scarsa.

    Forse perché la massoneria è un portato del passato, che avrebbe potuto giustificarsi in tempi di assolutismo, ma non dopo la nascita dei partiti politici e della democrazia liberale?
    Obiettivi ed interessi delle logge massoniche sono segreti, le adesioni anche, azioni e risultati coperti, un contropotere sibillino che non dà conto a nessuno. La Mafia criminale agisce allo stesso modo, e spesso i metodi rivelano la sostanza.
    La trasparenza richiesta alle istituzioni democratiche costituiscono la garanzia che le azioni intraprese siano condotte nell’interesse della comunità e dello stato e siano soggette a controllo giuridico.
    Una organizzazione segreta dichiara già la sua autonomia dalla legge vigente e garantisce agli adepti un mutuo soccorso che ne prescinde, una “cittadinanza” altra che prevede benefici ed obblighi.
    Oggi l’ex magistrata Principato ha affermato che la massoneria ha protetto la latitanza di Messina Denaro. Purtroppo, è una ipotesi assolutamente credibile. E, purtroppo, sono state condotte anche diverse inchieste sui legami tra massoneria e servizi segreti. Le famose liste di Gelli contenevano di tutto, dai giornalisti agli imprenditori e ai professionisti, una rete variegata cui a volte si aderiva anche solo per far carriera, con una leggerezza etica impressionante.
    Non ho grandi e specifiche conoscenze sulla massoneria, ma non credo che si possa liquidarla solo come innocuo folclore o un facile bersaglio complottistico, perché alla base della sua continuità c’è un groviglio di interessi reali che si sostengono a vicenda, nell’ombra, mentre il resto della comunità combatte le sue battaglie alla luce del sole e delle istituzioni democratiche.
    Nell’ambito del discorso sulle connivenze e le “zone grigie”, non bisogna meravigliarsi che la contiguità tra criminalità organizzata ed altre organizzazioni oscure possa essere “fisiologico”, per cui la trasparenza è ancora il miglior antidoto in tema di legalità e democrazia. Vale anche per i partiti politici, la cui contendibilità certifica il grado di democrazia interna.
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    Io credo che la crisi del bipartitismo sia invece una crisi di sistema, perché, in fondo il bipartitismo è sempre stato una forzatura rispetto alla reale composizione della società, un espediente per garantire la governabilità e , nel mondo anglosassone, praticare l’alternanza senza conseguenze.
    Il radicalismo, da una parte e dall’altra, veniva soffocato nell’organizzazione elettorale, che non dà scampo agli indipendenti e riduce il bacino elettorale con vari espedienti di regime. Come dicevo prima, il bipartitismo è sempre il risultato di leggi elettorali abbastanza truffaldine, che affermano maggioranze e uniformità di rappresentanza del tutto artificiali, penalizzando proprio chi non riesce ad intrupparsi acriticamente in una precisa sponda.
    Anche l’attuale legge elettorale italiana è stata concepita a questo scopo, ma mentre il ricatto interno è una pratica sperimentata in Italia anche attraverso il ferreo sistema correntizio, in America il fenomeno Trump ha scompaginato l’unica regola veramente vigente, che era quella del rispetto formale delle regole.
    I terzi poli all’italiana sono dei cuscinetti elettorali che vengono buoni per alleanze bivalenti. Non caratterizzati da precisi contorni ideologici, vampirizzano le ali dei partiti ai quali si propongono come alleati, diventando così decisivi per le vittorie e le sconfitte elettorali.
    L’elezione dello speaker MacCarthy ha replicato uno di quei brutti spettacoli a cui noi italiani siamo purtroppo abituati, il braccio di ferro tra alleati infedeli, senza alcun rispetto delle istituzioni.
    A me pare che la lezione che se ne può trarre, azzardando una audace comparazione tra le sorti del partito democratico americano e il PD Italiano, è che il tiepido riformismo finisce sempre col non pagare. Essersi trasformati in un partito leggero, attento ai diritti ma dimentico delle ingiustizie economiche e sin troppo sensibile ad assecondare un’opinione pubblica condizionata, ha reso il PD proprio come gli evanescenti democratici americani (sarà contento Veltroni, e pochi altri).
    La novità americana della reazione allo scoperto nel campo repubblicano, coi trumpiani palesemente eversivi, può considerarsi come l’europeizzazione della politica americana, con le feroci spaccature del vecchio continente e l’impossibile mediazione delle regole.
    Che di “fascismo” e di “razzismo” l’America fosse imbottita non è una novità, ma la vecchia illusione che si potesse conviverci facendo in modo che la battaglia delle disuguaglianze si giocasse solo sul piano dei diritti formali e non sostanziali è evidentemente perduta, per sempre.
    La finzione della società giusta è stata un vessillo che ha smesso di sventolare di qua e di là dell’oceano, ed è così simile lo sgomento che si legge negli occhi dei democratici americani e dei piddini italiani, quando si rendono conto che i propri avversari, lungi dal deporre i loro vessilli, ne rispolverano anche di più antichi, consci del deserto distrattamente coltivato dall’appeasement nel sistema dei riformisti immaginari.
    Il tramonto del bipartitismo americano, forse, è la definitiva presa d’atto che non si può scegliere tra identità politiche così nebulose, che promettono entrambe solo la persistenza di un sistema.
    Consegnarsi a questo bipolarismo extraeuropeo è l’ultima autolesionistica decisione della nostra classe politica, finita di corsa nella trappola della destra populista, compatta, cinica e resistente nei suoi eterni disvalori, ma che oggi può contare anche sui condizionamenti psicotici dei social networks per incistare rigurgiti eversivi.
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    L’ho riletto, e devo dire che il perno del discorso è ancora una volta la narrazione di una diga rispetto al pericolo “comunista”, e questo quando già era in campo il PDS. Le accuse di illiberalità sono generiche e raffazzonate, roba da guerra fredda, ma ancora spendibile per la pletora di ben altri nostalgici ancora presenti nella società italiana. E che si sono mantenuti indenni fino ai giorni nostri, grazie proprio al celere sdoganamento operato dal Nostro nei confronti del MSI, poi AN.
    Quello che funziona in questo discorso è esattamente quello che volevano sentirsi dire i cattolici ed i conservatori del tempo che, orfani della DC dopo tangentopoli, cercavano rassicurazioni immediate, sorvolando anche su conflitti di interessi, commistioni e plateali false narrazioni di una sinistra illiberale alle porte.
    L’involontario umorismo del tycoon delle comunicazioni alle prese con telegiornali e stampa comunista, e che anticipa l’odierno vittimismo della destra al governo, non fu colto. Anzi, rinforzava la convinzione di tutti gli anticomunisti d’Italia sulla cosiddetta “egemonia culturale”, esercitata dalla sinistra.
    Perfetto il passaggio in cui si sogna una società in cui “al posto dell’invidia sociale e dell’odio di classe” ( che a destra definiscono l’atteggiamento rivendicativo delle classi subalterne, che vorrebbero solo star meglio) , stiano la generosità, la dedizione, la solidarietà, l’amore per il lavoro, la tolleranza e il rispetto per la vita”. In un colpo solo, si fa intendere che il lavoro, possibilmente non sindacalizzato, deve essere sempre ritenuto “congruo”, e che il rispetto per la vita non prevede legislazioni sul fine vita o altre libertà sgradite al mondo cattolico.
    Un altro punto che ha dato la stura all’antipolitica successiva è quello in cui si sostiene che “ciò che vogliamo offrire agli italiani è una forza politica fatta di uomini totalmente nuovi”, una promessa di società civile impegnata contro i “professionisti della politica”.
    Naturalmente, Forza Italia imbarcò i residuati della destra DC e dei socialisti e, in seguito di AN, tutti vecchi politicanti stagionati, oltre a famigli di Fininvest e giovani arrivisti da formare al lealismo aziendale.
    Eppure, ha funzionato. O dobbiamo dire che ha funzionato proprio per questo? Non lo so. La forza economica e mediatica ha avuto il suo peso, ma credo che il terreno fosse fertile di suo, con intere regioni inquinate dal voto mafioso, che si trasferì in blocco dalla DC a Forza Italia, e quella destra sotterranea ben più numerosa rispetto al conservatorismo istituzionale e legalista che ci illudiamo di possedere.
    Sono stati pochi gli esponenti di destra liberale che hanno rifiutato di imbarcarsi su quella scialuppa così male assortita. Montanelli fu uno dei pochi e causò l’immediato disvelamento del carattere reazionario di quella destra padronale e in cerca di impunità.
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    Prima che sia troppo tardi, forse dovremmo interrogarci su quanto sta succedendo in Italia. Il governo Meloni è la narrazione patinata di una donna molto attenta alla sua immagine che, oltre alle doverose ed istituzionali conferenze stampa, continua a dispensare spettacolini social, momenti privati e spiegazioni unilaterali, conditi di narrazioni rassicuranti ma poco veritiere. Disgraziatamente, oltre a questa esibizione da statista accorta e compiacente, si susseguono le spallate alle garanzie democratiche e alla giustizia sociale. Del resto, gli eredi del Movimento Sociale hanno affermato di non credere nella uguaglianza né nel suffragio universale.
    La nostra Presidente del Consiglio, che viene da quel partito e lo onora come se fosse stato un partito di destra democratica e repubblicana, mente sapendo di mentire. Il primo decreto licenziato è stato un decreto di polizia atto a frenare le manifestazioni pubbliche di dissenso, le manovre fiscali tendono a favorire precise categorie di cittadini infedeli, i posizionamenti europei preludono ad una autarchia sovranista che sfonderà qualsiasi controllo di bilancio. E tutto questo con l’aria di stare ricostruendo a beneficio di tutti quel paradiso reazionario che è la loro concezione di “nazione” (un termine che non userò mai più neanche con una pistola alla fronte).
    Il nostro Paese, come succede quasi sempre in queste circostanze, sta assistendo a questa carica sistematica contro i valori progressisti senza che in campo ci sia una opposizione agguerrita ed organizzata. A parte lo sfregio che si prepara sulla giustizia, che si vuole mero strumento del potere esecutivo, la riforma presidenzialista sarà il nuovo passo verso uno stravolgimento della Costituzione, che renderà il Parlamento un orpello inutile. Il signor Presidente del Consiglio ci ha già avvisato che o la riforma si fa a modo suo, o se la fabbrica da sola, senza nessun apporto dell’opposizione.
    Per le crisi sanitarie, il consiglio di “rivolgersi al medico” è il massimo dello sforzo che questo stato potrà garantire a chi non è fragile o anziano, per i quali anche il consiglio di vaccinarsi sembra forzato, visto che si ritengono i vaccini insicuri e lesivi della propria libertà.
    La favola bella della prima donna capo del governo sta dispiegandosi tra il glamour dei tailleurs e del trucco impeccabile, ma poi c’è anche la necessità di raccontare con noncurante leggerezza quello che stanno apparecchiando per gli italiani che non li seguono, che non sono uguali, che devono accontentarsi di fare i lavori dei migranti; per quelli che se ne vanno all’estero perché hanno una laurea e vorrebbero sfruttarne il “merito”; per quelli che non hanno una bottega o una Partita IVA con dichiarazioni dei redditi mediamente inaffidabili; per quelli che non godono di licenze e concessioni da difendere come diritti ereditari inalienabili.
    Insomma, tutti quegli altri cittadini che si erano abituati alle libertà e alle occasioni della democrazia politica ed economica e che non vogliono prevaricare nessuno, ma neanche essere prevaricati.
    In questo regno dei furbi che sarà il regime meloniano, il concetto di sicurezza pare sarà garantito dai divieti e dalle multe ai ragazzotti dei rave party e alle navi delle ONG, mentre Mafia, Camorra e ‘Ndrangheta saranno probabilmente assidui frequentatori del nuovo codice degli appalti.
    Se bastassero queste convinzioni primitive a garantire il governo di un Paese senza troppi guasti, saremmo anche fortunati, ma l’incompetenza pratica già esibita nei primi decreti, tutta quella vernice propagandistica e la fanga che esce ogni volta che si gratta la superficie delle loro banalità, già fanno intravedere il destino di paria europeo che ci aspetta e anche questo sarebbe il meno, perché nel mentre si consolida il clima culturale che li ha portati alla vittoria: le narrazioni false, l’aberrante sicumera dei “me ne frego” di fronte agli obblighi istituzionali, le oscene semplificazioni della storia, l’ammiccante soddisfazione che correda i loro provvedimenti “punitivi” nei confronti di ben individuati obiettivi, cittadini storti da raddrizzare e che complessivamente fanno meno danni al bilancio dello stato di quanto non ne facciano le loro generose agevolazioni ad autonomi, evasori e percettori di rendite finanziarie.
    E’ questo che succede quando non si crede nell’uguaglianza. Isabella Rauti e La Russa hanno tutti i motivi di festeggiare.
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    Non lo so. Ma potrà fare molti danni anche in cinque mesi. Il motivo più probabile per una eventuale caduta sarà l’attuazione del PNRR, un campo in cui ci vuole competenza e credibilità per convincere l’Europa a sganciare le tranches di finanziamento. Ma anche l’autonomia differenziata dovrebbe costituire una frizione insanabile tra i “patrioti” unitari di FDI e la Lega federalista. Quella è una riforma che svuota il Parlamento di competenze e consegna all’esecutivo e alle regioni il governo del Paese. Questo azzoppamento dello Stato si può fare in pochissimo tempo, senza neanche una legge costituzionale. Ma forse l’obiettivo di scardinare l’equilibrio dei poteri può essere un obiettivo unificante di questi partners di governo. Il PIL sarà destinato comunque ad abbassarsi in conseguenza del clima di sfiducia del sistema economico verso la scarsa competenza ed autorevolezza di questo esecutivo.
    Altre amenità illiberali di stampo reazionario non credo possano far cadere un governo che non può illudersi che basti la faccia feroce e la strafottenza per far digerire ad un paese democratico dei palesi attentati alle libertà individuali e collettive. Vedremo molte retromarce ed imbarazzanti pretese di superiori interessi di sicurezza ed ordine.
    Speriamo che duri poco e che torneremo a crescere come il resto di Europa. Tra ponti sullo stretto e bonus nuziali, ci vuole poco a cadere nel ridicolo, ma chissà quanto ci vorrà a cadere dal governo.
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    Ragazzi, sono veramente commossa di come abbiate preso sul serio il quesito di Gelointenso, visto che si trattava di una evidente provocazione, tesa a sostenere che privilegi e corruttele fossero di esclusiva pertinenza del regime comunista, mentre in più o meno larga misura appartengono a tutti i regimi, anche quello democratico.
    Anzi, da questo punto di vista, i veri campioni sono le destre, legittimate ideologicamente a fare a fette la popolazione, dividendola in categorie protette e paria di regime, attraverso leggi razziali ed altre amenità giuridiche.
    I privilegi sono l’altra faccia dei diritti universali negati, una legittimazione delle disuguaglianze e, quando compaiono con preoccupante regolarità, sono un campanello d’allarme per la sopravvivenza democratica.
    Nelle demokrature, i privilegi basati sulle fasce elettorali di riferimento sono ancora più odiosi, perché non si tratta di limitate classi burocratiche e militari, ma di interi settori economici, che vengono privilegiati a scapito di altri, indirizzando l’economia verso una disuguaglianza di fondo.
    La flat tax per gli autonomi fino a 85.000 euro di reddito è una legge fiscale che fomenta la disuguaglianza, prevedendo una discriminazione di prelievo per lo stesso reddito a danno dei dipendenti. Questo “privilegio” non è giustificato da nessun ragionamento economico, perché se le tasse sono troppo alte, lo sono per tutti, indipendentemente dall’attività svolta.
    Chi non riesce a trovare lavoro è povero comunque, sia che abbia una laurea o la licenza elementare ( a proposito della proposta del Ministro Valditara, che pretende la scolarizzazione obbligatoria per usufruire del Reddito di cittadinanza), come se veramente l’impossibilità di un impiego e la necessità di un sostegno fosse unicamente frutto del proprio impegno scolastico. C’è sempre la filosofia del “se l’è cercata” in questa demonizzazione del povero e del disoccupato, facili bersagli di chi è chiamato ad occuparsene mentre coltiva infastidito la teoria della “selezione naturale”, che tanto naturale non è.
    I privilegi di qualsiasi nomenklatura, comunista e non, sono uno scherzo di fronte a norme di legge che impediscono l’accesso universale a bandi e concorsi, che soccorrono lobbies monopoliste, e via dicendo, perché fabbricano “privilegi” inaccettabili ed estremamente nocivi per il resto della Comunità. Davvero dovrei prendermela con tutte quelle altre piccole furbizie che consentono a burocrati, militari, e compagnia bella di avere tutte quelle facilitazioni che, pur scandalose, fanno molto meno danni di quanti non ne facciano le leggi protezionistiche di ben altri privilegi?
    E’ vero che discutendo dei piccoli si distrae l’attenzione dai grandi privilegiati (tassisti, balneari, concessionari pubblici a prezzi d’affezione, pensioni d’oro, ecc.), ma bisognerebbe rifiutarsi di spalleggiare queste trite polemicuzze sui metodi di “fidelizzazione” di certi settori pubblici, quando lo scandalo si annida nella scientifica costruzione discriminatoria di una società concepita a scaloni gerarchici, tra quelli da difendere e quelli da abbandonare a un destino irrilevante. La disuguaglianza al potere: privilegi feudali e guerre culturali su sussidi di povertà, migranti, tossicodipendenti, omosessuali, come se fossero loro i grandi “frodatori” della Comunità.
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    CITAZIONE (LAVORI ARCHEOLOGICI @ 4/11/2022, 10:37) 
    Eh, ma questo è un buonissimo proposito, che però protratto nel tempo e nella molteplicità dei casi pratici diventa gradualmente una violazione del principio di uguaglianza.
    Ci vedo una potenziale distorsione degli ideali che dovrebbero essere alla base del nostro ordinamento.

    La Giustizia mi aspetterei che fosse bendata, indifferente quanto alla natura delle vittime e imparziale quanto ad individuazione delle responsabilità di ciascuno.

    Vorrei spostare l’attenzione non sulle vittime, che sono tutte tali allo stesso modo. L’attenzione va spostata sui “motivi” che, come si sa, costituiscono delle aggravanti. I cosiddetti “motivi abbietti”, cioè futili, cioè istigati da odio, o razzismo, o cultura maschilista sono purtroppo la base culturale dalla quale scaturiscono certi delitti che, per coloro che li compiono, scatenano e in qualche modo giustificano ai loro occhi l’estremità delle loro azioni, quasi una “provocazione” da cui aspettarsi l’impunità.
    La cultura sociale che ci circonda non è neutra, il delitto d’onore è una aberrazione che solo qualche decennio fa consentiva agli uomini di ricevere pene risibili per efferati uxoricidii, di cui andavano fieri come dimostrazione di legittimo dominio patriarcale.
    La guerra agli immigrati e al “diverso” costituisce lo stesso clima culturale che spinge molti soggetti instabili a coltivare un desiderio di “punizione” nei confronti di coloro che vengono additati come portatori di “colpe” per il solo fatto di esistere, di muoversi nel nostro territorio come se fossero uguali a noi, di vivere a nostro stretto contatto come fossero portatori di eguali diritti. Donne, omosessuali, stranieri, per una certa “cultura” devono essere sottomessi a padri-padroni e a “patrioti”, perché questo è l’ordine naturale delle cose, un passato che non muore mai, da coltivare e da erigere a giustificazione di qualsiasi nefandezza.
    Non servono nuovi reati, basta operare sulle aggravanti. Ci sarebbe da discutere se un omicidio per rapina sia più grave di un omicidio per insofferenza verso un vicino fastidioso, o verso una donna che non ci vuole più. Io trovo gli ultimi due più subdoli, perché desiderare di arricchirsi a scapito di altri è in qualche modo più severamente condannato dalla cultura della proprietà privata, e quei criminali lo sanno, mentre “punire” coloro che vengono considerati dei paria, per altri individui, è quasi un “adeguarsi” ad una diffusa e coltivata discriminazione.
    E’ la cultura del “giustiziere”, che è devastante per qualsiasi società civile, e questa fiorisce quando si pretende di imporre canoni di comportamento alle donne, atteggiamenti servili agli stranieri, camuffamento di sé e maschere sociali per i diversi: una pietrificazione evolutiva che soddisfa gli intolleranti e gratifica la paura di perdere ruoli e potere.
    Dunque, sono proprio gli autori di questi delitti a non considerare “uguali” le vitttime e a punirle per questo. Non è l’ordinamento che le categorizza, ma la cultura della discriminazione che ne fa oggetto legittimo della propria rabbia.
    Il semplicismo populista non fa che fabbricare bersagli, ossa da lanciare ai cani. Chiunque discrimini coltiva la violenza, perché gli fornisce alibi. E non serve, dopo, esecrare l’accaduto.
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