Ma Dante non l'ha scritto… dunque leggiamolo!

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    Ciò che dante non ha scritto
    leggiamolo!

    (In queste note sono ripetuti molti argomenti trattati in altro scritto https://storiaepolitica.forumfree.it/?t=78491481, ma qui ne propongo un diverso punto di vista; nell’insieme si dovrebbe produrre un contributo alla lettura della Commedia che spero sarà condiviso da molti)

    Salendo lungo il vetrato di un canalone montano capita, verso la fine quando si restringe la lastra e compare la roccia, di notare un imbocco da cui sbirciare un rivolo d’acqua che scorre sotto il ghiaccio: si scopre allora di essere passati sopra una volta sottile che protegge il torrente.

    Sembra un’immagine adatta per annodare un paragone con quanto succede in alcuni passi della Commedia, sotto il velame delli versi strani. Storie non dette, suoni di un’orchestra muta, versi che fanno da contrappunto al contenuto nascosto.

    Inf, XIII, 31 – 46

    Allor porsi la mano un poco avante
    …ond’io lasciai la cima
    Cadere …


    L’io narrante ha colto il ramicello dal pruno e resta attonito durante tutta la protesta del suicida, calpestando la logica del raccontare: come mai tanto rispetto per lo sterpo, quando ancora non sa che si tratta di Pier delle Vigne? Lo sapevamo già, Dante e noi, sapevamo già della colpa di aver reagito all’ invidia criminale con un patetico gesto estremo che non influirà sugli squallidi autori delle false accuse, sapevamo già della mancata presenza di Federico, sapevamo che la teologia scolastica impone la dannazione del calunniato, e lo sapeva anche lui, che pure si è ucciso. Passa uno strazio di sentimenti e pensieri, mentre Pier delle Vigne, nella sua disperata dignità, esige il rispetto di Dante che tiene ancora in mano lo stizzo verde. Il fluire del non detto produce una orrenda delicatezza del brano, che in superficie di delicato non ha nulla. Poi verrà giustamente il dialogo e l’accenno di storia, ma ciò costituisce ceralacca, timbro e spiegazione del passo letto.

    Inf V 82 – 96

    Quali colombe dal disio chiamate,

    Mentre che il vento, come fa, si tace


    Il racconto pieno di tenerezza scorre su una comprensione assoluta del dramma dei due ancora sconosciuti; a uno di loro è permessa una considerazione blasfema (Se fosse amico il re dell’universo), muto è il sottofondo, e anche il vento (bellissimo) si tace. Poi verranno i chiarimenti, la storia, le reazioni, ma già tutto è stato “non” detto.

    Inf. VIII 32 – 63

    Quanti si tengon or lassù gran regi,
    Che qui staranno come porci in brago,



    Tutto si svolge contro “un pien di fango”, che Dante conosce, ma ce ne fa dire il nome dai congeneri solo al termine della scena, mentre il fino allora innominato rivolge la propria ira contro se stesso. E’ uno dei dannati per cui il Poeta ostenta un particolare disprezzo: a far scattare lo sdegno sembra che questo Filippo Argenti valga l’eponimo di quelli che non si ribellano alla violenza dei potenti, ma sfogano l’ira sui vinti (episodi narrati da Boccaccio nel Decameron IX 8, e da Benvenuto, che racconta gli scherzi orchestrati da Filippo col suo cavallo dalla ferratura argentata), In questo caso quello che passa sotto il ghiaccio non viene detto neanche “dopo”, non ne vale la pena.
    Che il particolare disprezzo vada a chi adula i prepotenti e calpesta i vinti sembra confermato dall’episodio di Bonifacio Ottavo, dove la viltà servile è ritenuta perfino più grave della simonia

    Inf XIX 105

    Calcando i buoni e sollevando i pravi

    E Vanni Fucci che lascia incolpare Rampino Ranucci della rapina che egli stesso ha compiuto, e predice con gioia la disfatta della fazione dantesca

    Inf XXIV 139 - 151

    E detto l’ho perché doler ti debbia!


    Purg. I 31 - 81

    Da me non venni:
    Donna scese dal ciel, per li cui preghi
    Della mia compagnia costui sovvenni


    (Coazione a notare: in questo canto fioriscono passim alcuni tra i versi più belli di tutta la letteratura).

    Soltanto dopo diciassette terzine si rivela indirettamente il nome del personaggio. Reverendo, ricco di virtù cardinali, Catone è, secondo il regolamento attuativo che gestisce le situazioni personali a cavallo dell’Antico e del Nuovo Testamento, amputato della capacità di amare la sua Marzia, esclusa dal novero degli eletti. Mentre è oggetto di venerazione con Dante inginocchiato davanti, ascolta del percorso privilegiato narrato da un Virgilio che pure ne è escluso per sempre. Cinquanta versi di un Catone silenzioso, forse un silenzio empio.

    Ma c’è da accorgersi

    di un leitmotiv che scorre lungo tutte le tre cantiche, sotto la cappa dalla teologia imposta alla conoscenza umana, che il “pio” Dante accetta e ribadisce in forma apotropaica, e che non ammetterebbe mai di dover subire. Un silenzio ora discreto, ora prorompente, che forse è troppo chiamare ribellione?

    Inf IX 61 - 63

    O voi che avete gl’intelletti sani
    Mirate la dottrina che s’asconde
    Sotto il velame delli versi strani!


    Per non guardare la Medusa, Dante ha dovuto voltarsi dall’altra parte e coprirsi gli occhi con le mani, e non bastando, Virgilio ha coperto con le sue le mani di Dante. Solo i saggi eletti possono rifuggire dalla scienza e nutrirsi di rivelazione

    Purg. III, 32 - 45, 71 e altri

    Simili corpi la virtù dispone ecc.

    Virgilio consiglia Dante di rinunciare a capire dei fatti fisici perché la religione non vuole che si capisca, si spinge a confermare un dogma niceano, deplora la volontà di conoscenza dei grandi pensatori, si accorge di far parte di costoro, e rimane turbato. Il silenzio dell’ascoltatore è quanto meno un tacere perplesso.

    Purg XII 25 - 61

    Vedea Nembrot a pié del gran lavoro,


    Qui il tetto teologico limitante le aspirazioni umane è ben giustificato in quanto punitivo della superbia, tuttavia Aracne ha la colpa di essere più brava di Minerva, Niobe va punita perché più prolifica di Latona, Eva avrebbe fatto meglio a lasciare in pace il pomo della conoscenza. Inoltre per analogia c’è da ricordare i versi del

    Purg. I 20 - 21

    Sì come quando Marsia traesti
    Dalla vagina delle membra sue


    rivolti ad Apollo che avendo vinto Marsia nella gara di musica, lo scuoia vivo; Marsia, come hai osato!

    Purg. XIX 97 - 126

    Sì come l’occhio nostro non s’aderse
    In alto …


    Il personaggio è Adriano V Ottobono de’ Fieschi, papa per poco più di un mese, che deplora la cupidigia e l’avarizia delle istituzioni ecclesiastiche e fa capire che un diverso approccio al potere sarebbe possibile.
    E’ presentato in modo generico, come un papa qualunque che avrebbe potuto dire le stesse cose, mentre è chiaro che costituisce l’eccezione unica e rara. Lungo tutto il discorso Dante tace come in preda alla nostalgia di una Chiesa genuina e conforme alla sua visione politica; il fastidioso non detto continua al momento del congedo, e dopo, con l’immagine della spugna poco imbevuta. Da notare che Dante (Purg XX, 84 …89), rispettando la chiesa in quanto istituzione. condanna le violenze perpetrate in Anagni su Bonifacio VIII suo nemico.


    Purg. XXX 1oo - 145

    Questi fu tal nella sua vita nova
    Virtualmente, ch’ogni abito destro
    Fatto avrebbe in lui mirabil prova


    E’ la requisitoria pronunciata da Beatrice sulla vita che Dante ha malamente condotto, per cui deve operare espiazione e copioso pentimento, come del resto fa, assai piangendo in disparte. Beatrice non pronuncia accuse di particolare superbia, di gesta temerarie, di ardimenti blasfemi sul piano della conoscenza, non apertamente e platealmente, almeno, per non solleticare troppo la vanagloria dell’accusato, non troppo, solo un po’. Scontato il piglio burbero della ramanzina, la cappa teologica si posa lieve e materna sulle irrequietezze laiche del Poeta
    L’assestamento tettonico va ancora avanti per 145 versi del canto successivo, coprendo alla meglio i veri profondi sentimenti del Poeta.


    Par. XIII 95 - 142

    Parmenide, Melisso, Brisso e molti,
    Li quali andavano e non sapean dove.


    La cappa teologica è finemente rivettata a limitare le pretese dell’intelletto umano, cui è preposto il re Salomone a portabandiera, in un ruolo che manterrà purché non si azzardi a discettare sulla logica aristotelica o sul primo mobile, purché eviti di impastoiarsi in altri filosofemi come un traballante Parmenide, e soprattutto guai a tentar di prevedere il futuro, ché tale opera è soggetta a fallire per definizione. Tacendo lungo tutta la tiritera, Dante ostenta entusiasmo e accettazione incondizionata, ma è chiaro che si tratta di una posizione autoimposta. La solfa continua nel canto XX, tuttavia verso la fine, entrando su fatti specificamente politici, la condanna della miopia umana diventa intimamente genuina.
    L’analisi prosegue fino al termine del poema; la riflessione fi fa più intima e più aperta al tempo stesso, man mano il non dire diventa non ricordare, si insinua dubbio e incertezza sul che da ricordare, fino all’incapacità di recepire l’alta fantasia, il disvelamento impossibile, il niente da disvelare. E allora


    Ma già volgeva il mio disiro e ‘l velle,


    La ragione fa atei di tutti noi, la disperazione fa credenti di alcuni




    Par. XXXI 91 - 93


    … ed ella, sì lontana
    Come parea, sorrise e riguardommi:
    Poi si tornò all’eterna fontana.


    Il silenzio del messaggio si effonde dopo, anziché prima dell’orazione.
    I versi velano un arcano che ti cattura in un pathos profondo, fuori dal tempo. Mentre il riguardato tace, un breve sguardo è il richiamo ultraterreno che la poesia regala talvolta a ciascuno di noi.

    Edited by Rafel mei - 28/11/2021, 15:59
     
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    Alcune interpretazioni sono facilmente seguibili, altre, ad esempio quella dei versi Sì come l’occhio nostro non s’aderse
    In alto … non sono un pò ardite?
     
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    Sono interpretazioni ardite, certo, ma qui c'è Uno che per posizione mistica è costretto a plafonare il suo genio cosmico sotto la cappa teologica. Lo fa troncando tutte le imprese umane che possono apparire insensate e plaudendo alle relative punizioni, ma qualche volta sembra chiedersi un perché: perché un papa non dovrebbe stigmatizzare le deviazioni morali degli alti livelli, come Eva non cogliere il pomo della sapienza?
     
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    Si nota una gran disinvoltura nel passare dalle citazioni i mitologiche a quelle religiose, come se la concretezza delle une fosse pari a quella delle altre. Nel saggio “pape satan” si tenta una giustificazione che non soddisfa; qualcosa non va?
     
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    Qualcosa non va. Ci sarebbe molto da lavorare per i commentatori Di Dante. Forse l'atteggiamento di "imparzialità" nei confronti degli episodi mitologici e delle citazioni religiose fa parte della reazione inconscia del Poeta ai condizionamenti mentali imposti da una religione prima accettata e poi subita. Di questo ci si può accorgere già commentando i vari "tetti" che Dante impone alle scienze umane, e le punizioni per chi osa sporgersi troppo col dire e col fare. Il genio illimitato si ingabbia, la nostra ammirazione si espande.
     
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    Quali sono
    (del)li versi strani!
    sotto i cui velami è nascosta la dottrina da mirare da parte degli intelletti sani?
     
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    Non so rispondere; potrei però dare qualche suggerimento utile a cercare (sarebbe un esercizio produttivo per qualche esegeta).
    Credo che i "versi strani" siano i linguaggi, il dire inconcreto e allusivo delle fiabe con morale e sottintesi, cioè qualcosa che riguarda molti passaggi del Poema, in particolare, certo, la descrizione delle Furie e del loro comportamento, sottolineando forse il fatto che la scienza umana è attività distruttiva, produttrice di lutti per chi ci scava troppo. mentre sfumando e guardando teologicamente in alto si dimora entro il novero degli intelletti sani.
    L'esortazione a mirare "la dottrina che s'asconde" forma un paradosso con l'affannoso riparo alla possibile sperimentazione di Medusa, ed è parte del leit motiv che fa da sottofondo a tutto il Poema, come per assottigliare con la pialla il genio sconfinato di Dante.
     
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