Perché la Grecia fu l'unica nazione dell'Europa occidentale a finire sotto dittatura nel dopoguerra?

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    Oggi, 17 novembre, è l'anniversario dell'assalto al Politecnico di Atene: ho citato l'evento nella data odierna...
    Essendo nato nel 1984, anche se ho sentito più volte parlare del "regime dei colonnelli", non ho mai capito perché una nazione europea ed occidentale (Spagna e Portogallo erano a loro volta sotto regime, ma furono lasciate stare per via della loro non belligeranza nel secondo conflitto mondiale), oltretutto dalla parte dei vincitori, fu lasciata in balia degli eventi che portarono alla famosa dittatura neo fascista...
    Se qualcuno mi può raccontare, magari con ricordi personali, gliene sarò immensamente grato.
    Mentre scrivevo, mi sono ricordato che il romanzo "un uomo" di Oriana Fallaci è incentrato sulla figura di un dissidente greco: qualcuno ha letto questo libro?
    Buona serata a tutti voi
     
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    C'ero e ho anche letto un bel po' di roba, ma occorrerebbe ben più di un post. Ti passo qualche link
    Bisogna partire dagli accordi di Yalta, considerare la politica di Stalin e tener conto della debolezza della monarchia greca.
    La solita Wiki mi pare contenga qualche inesattezza, ma segue tutto il percorso: https://it.wikipedia.org/wiki/Dittatura_dei_colonnelli
    Una sintesi/commento oggi www.ilpost.it/2017/04/21/colpo-di-stato-colonnelli/
    E, molto utile, https://sites.google.com/site/sentileranec...-dei-colonnelli qui si rammentano i rapporti tra le destre di alcuni paesi e il regime. Diffusa l'opinione sull'appoggio della CIA, da noi gioiva vistosamente Almirante, e ragazzi di Forza nuova mi pare studiassero in Grecia.
    Il dissidente Panagulis, protagonista del libro/intervista, è stato il compagno della Fallaci.
     
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    Io ero molto giovane, e quello che ricordo è quella data “21 Apriloy” , la data celebrativa del golpe, scritta in tutte le salse sui muri di Atene, nelle aiuole, sui pacchetti di fiammiferi, coi quali accendevo le mie prime sigarette. Visitavo Atene in un viaggio scolastico, e c’erano poliziotti dappertutto. Noi ragazzi cercavamo gli indizi della dittatura sul volto delle persone, che ci parevano troppo frettolose o poco sorridenti, ma la verità è che tutto sembrava normale, a parte quella data ossessiva. Su quelle vicende storiche potrai trovare notizie dappertutto, quello che io vorrei raccontarti è quello che io percepii allora, una specie di sollievo da parte di molte persone che mi stavano attorno, come per un pericolo scampato.
    Fu allora, da adolescente, che capii cosa significasse “guerra fredda”, cioè una sommaria scelta di campo che induceva a sopportare con benevolenza una dittatura, purchè fosse contraria alla minaccia dei comunisti. Brave persone a cui ero affezionata, parenti colti e bonari, non riuscivano a dissimulare una colpevole minimizzazione per le sorti del popolo greco e la soddisfazione per quel nuovo e saldo argine contro il nemico.
    Ecco, quell’atmosfera da mondo spezzato in due, mi colpì come uno schiaffo, come se non ci fosse più la possibilità di sentirsi veramente innocenti, visto che il nemico del nostro nemico, per quanto deplorevole, diventava un inconfessabile alleato, benvenuto e indisturbato.
    La grancassa del forte partito comunista italiano di quei tempi mi sembrava anch’essa poco onesta dopo la tiepida reazione per l’invasione della Cecoslovacchia ed imparai a convivere con queste due ipocrisie, cercando di prendere le distanze da entrambe.
    Quello che sorprende è che persino oggi un refolo di quella atmosfera aleggi ancora nel dibattito pubblico, come se si potesse ancora parlare di un anticomunismo viscerale, che giustifichi qualsiasi compromesso al ribasso in termini di democraticità e rispetto dei diritti. L’anticomunismo che sopravvive al comunismo è surreale quanto tutto il fascismo che sopravvive all’antifascismo costituzionale.
    Eppure, nel linguaggio di molti politici e dei loro sostenitori sopravvive proprio questo lascito crudele che è il giudizio sommario, la miope e pedissequa contrapposizione pregiudiziale, la spaccatura sociale come motore e ispirazione per la propaganda elettorale, una piccola parodia di guerra fredda fuori tempo e fuori contesto da inscenare ancora sui palcoscenici democratici successivi alla caduta del muro di Berlino e nel mondo delle pandemie e del mercato globali.
     
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    CITAZIONE (Soniadf @ 18/11/2021, 13:15) 
    . . . L’anticomunismo che sopravvive al comunismo è surreale quanto tutto il fascismo che sopravvive all’antifascismo costituzionale.
    . . .

    Azzarderei che si tratti di un refuso: " Il comunismo che sopravvive all'anticomunismo [democratico] è surreale quanto il fascismo che sopravvive all'antifascismo costituzionale".
     
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    No, è tutt’altro che un refuso. Il comunismo non c’è più, né in Italia, che è quello che dovrebbe interessarci, né nel resto del mondo, dove le leggi del capitalismo imperversano anche in dittature di diretta provenienza comunista. Quella ideologia è stata superata e gli eredi di quella tradizione fanno tranquillamente parte della logica liberista mondiale, disinteressandosi anche abbastanza vistosamente del problema delle disuguaglianze. Sventolare ancora la battaglia dell’anticomunismo è quindi una parodia del passato, mentre il sentimento autoritarista di stampo fascista è ancora vivo e vegeto. Questo sfugge alla condanna costituzionale perché l’ideologia primitiva che ne è alla base, una società gerarchica e la selezione naturale come politica sociale, non si supera se non con politiche attive di inserimento universale, che non sono facili e non sono in vista.
    Perciò, ribadisco il concetto che il nemico immaginario dell’anticomunismo odierno è solo il concetto di democrazia delle pari opportunità, una vera bestemmia per chi sogna ancora stivaloni ed olio di ricino, ovvero controllo e sottomissione.
     
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    Ahiahiahi!
    Mi sembra un approccio giustificazionista.
    Per esperienza di vita vissuta posso testimoniare che i danni funzionali ed ideali causati dal comunismo non solo nel complesso delle relazioni mondiali ma già da sola nella struttura pubblica italiana attuale (e parlo di prassi di funzionamento di apparati pubblici o semipubblici ancora prima che di storture ideologico-pseudoculturali nel mondo della cultura, della storiografia o dell'istruzione e dell''Università) sono oggi molto, ma veramente molto, più persistenti e lontani dall'essere risolti di quanto non fossero quelli ormai modesti che a parità di distanza temporale io vedevo concretamente spazzati via con molta maggior facilità e rapidità nella seconda metà degli anni Settanta come ormai solo blandissima traccia di aspetti che traevano lontana origine nel fascismo.

    Riflettiamo: dove sono iniziati i guai della Grecia? In un momento improvviso del secondo dopoguerra dopo che tutto sembrava essersi messo benone, oppure in una mancata riappacificazione nazionale (e sottolineo nazionale) che ha protratto per decenni lo stato di sostanziale guerra civile iniziato durante il periodo bellico, fino ad arrivare ai colonnelli?

    In questo la infelice manina degli Inglesi e la mancata metabolizzazione della questione istituzionale monarchia/Repubblica sono secondo me aspetti assai centrali (credo di essermi spiegato più diffusamente riguardo a ciò in un non vecchissimo thread nel quale si dibatteva sul come sarebbe ipoteticamente stato per l'Italia un esito storico differente da quello effettivamente verificatosi nella eventualità della persistenza in Italia del sistema monarchico dal 1946).
     
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    CITAZIONE (Soniadf @ 18/11/2021, 14:52) 
    No, è tutt’altro che un refuso. Il comunismo non c’è più, né in Italia, che è quello che dovrebbe interessarci, né nel resto del mondo, dove le leggi del capitalismo imperversano anche in dittature di diretta provenienza comunista. Quella ideologia è stata superata e gli eredi di quella tradizione fanno tranquillamente parte della logica liberista mondiale, disinteressandosi anche abbastanza vistosamente del problema delle disuguaglianze. Sventolare ancora la battaglia dell’anticomunismo è quindi una parodia del passato, mentre il sentimento autoritarista di stampo fascista è ancora vivo e vegeto. Questo sfugge alla condanna costituzionale perché l’ideologia primitiva che ne è alla base, una società gerarchica e la selezione naturale come politica sociale, non si supera se non con politiche attive di inserimento universale, che non sono facili e non sono in vista.
    Perciò, ribadisco il concetto che il nemico immaginario dell’anticomunismo odierno è solo il concetto di democrazia delle pari opportunità, una vera bestemmia per chi sogna ancora stivaloni ed olio di ricino, ovvero controllo e sottomissione.

    Ti dimentichi di Cuba e della Corea del Nord. Circa 37 milioni di persone al mondo sono ancora oppresse da un comunismo più o meno integrale che li affama e toglie loro ogni libertà. Inoltre ricorderei anche il Venezuela che pur non configurandosi nell'ideale marxista-leninista di comunismo, è uno Stato socialista con un livello di libertà economica pari a quello di Cuba, che espropria chi e quando vuole e controlla i prezzi in modo tale da aver scatenato una spaventosa iperinflazione.

    Non bastasse, in tutta Europa ci sono molti partiti comunisti che si rifanno, esplicitamente o implicitamente, all'Unione Sovietica. La maggior parte della popolazione ritiene giustamente i loro membri delle macchiette; ma se le tensioni sociali aumenteranno non possiamo escludere che in qualche paese cominci a tornare in auge l'estrema sinistra. In Spagna il Partito Comunista, che negli ultimi decenni si era democratizzato, è tornato all'ideologia marxista-leninista nel 2017. Occupa 6 posti su 350 al Congresso dei Deputati.
    Io frequento abbastanza il web italiano ed è sorprendente la quantità di anticapitalisti che vi si trova. Ho provato talvolta a fare dei dibattiti, ma si tratta palesemente di persone che non hanno studiato e che non sono interessate a farlo. La loro è una rivolta vitalistica contro l'esistenza, una rivolta che però parte da un presupposto ridicolo, ossia che il sistema economico-politico possa cambiare la natura umana.

    In questo senso, non mi stupisco che il primo partito italiano nei sondaggi oggi sia Fratelli d'Italia. Si tratta del partito che si dice da sempre "dalla parte delle imprese"; omette di dire però di essere soltanto dalla parte delle micro-imprese italiane. Usa una retorica palesemente ostile alle multinazionali e alle imprese aperte da stranieri, arrivando a fare la delirante proposta per cui ogni straniero debba versare un cauzione di 30.000 euro prima di aprire un'impresa, a loro dire per combattere l'evasione fiscale (??). Le loro politiche sono evidentemente contrarie al libero mercato per come si è configurato nel post-1989.

    Considerato ciò, credo che l'antisocialismo (che sia socialismo di sinistra o di destra) sia una bandiera ancora estremamente importante nel panorama politico attuale; ma si tratta di una battaglia che in pochi sono disposti a sostenere, perché i partiti italiani di destra e di sinistra hanno nel corso dei decenni instaurato dei veri e propri feudi personali (banche, pubblica amministrazione, la Rai, aziende parzialmente o totalmente statali ecc.) che hanno tutto l'interesse a mantenere, giustificando il loro statalismo dannoso sotto l'idea dell'interventismo volto a ridurre la povertà che però non hanno né la minima idea né l'intenzione di attuare.
     
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    CITAZIONE (frapalin @ 19/11/2021, 10:03) 
    CITAZIONE (Friedrich_ @ 19/11/2021, 09:48) 
    ...Fratelli d'Italia... Usa una retorica palesemente ostile alle multinazionali e alle imprese aperte da stranieri, arrivando a fare la delirante proposta per cui ogni straniero debba versare un cauzione di 30.000 euro prima di aprire un'impresa, a loro dire per combattere l'evasione fiscale (??).

    Di per se non sarebbe una cattiva idea, se questa valesse anche per le imprese italiane. E soprattutto per loro. Per esperienza, sono gli artigiani italiani i primi a voler fare le cose "in nero". Ma alla Meloni (così come al suo compagno di merende Salvini) fa comodo guardare solo allo straniero, soprattutto se dell'est, asiatico e africano (mica si preoccupano di un francese o un tedesco).

    Accipicchia no!

    Basta con questa storia che gli artigiani evadono: si tratta di una piaga che abbiamo sconfitto ormai da anni.

    Quanto alla concorrenza con mezzi truffaldini ed elusivi da parte di piccole imprese straniere -persino UE dall' Austria, tanto per fare un esempio, per non parlare delle attività commerciali "di comodo" gestite da extraeuropei- si tratta di questioni serie che andrebbero affrontate con determinazione perché producono danni ed ingiustizie. Le soluzioni ovviamente sono differenti: per aziende di Cittadini europei la strada dovrebbe essere quella di una sempre maggiore integrazione fiscale e contributiva (no che se vieni da fuori giochi sul dove e se -a buon cuore- fare i versamenti fiscali e contributivi), per gli extraeuropei una sostanziale maggior severità, persino in termini di minor facilità di ingresso, specie di fronte ad attività palesemente "di comodo" che non servono a generare utili perché è sfacciatamente impossibile che possano riuscirci, in quanto palesemente improduttive, ma che vengono istituite e gestite (e puntualmente chiuse o passate di mano, di solito nell'arco di un paio di anni) al solo scopo di ottenere permessi di soggiorno, incentivi economici ed accesso al sistema del welfare.

    Vero d'altra parte che quella richiamata non sarebbe minimamente una risposta seria alla questione.
     
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    Guarda che non è possibile, se non forse come percezione in qualche ambiente di nicchia (non virtuosa) particolare.

    Io vivo ed opero lungo l'asse della via Emilia, soprattutto fra Milano e Bologna, compresi i centri intermedi: le registrazioni fiscali si fanno e se per caso qualcuno si permette di non farle viene subito emarginato. D'altra parte in un mondo nel quale ad un conto spannometrico almeno la metà dei tuoi interlocutori sono a propria volta artigiani o piccoli o medi imprenditori o loro familiari, non appena -negli anni scorsi- ci siamo dati una raddrizzata su questa storia, è subito scattato l'atteggiamento del "da me le fatture ai clienti si fanno, mi spieghi perché cribbio tu saresti più furbo degli altri?"
     
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    Boh, immagino che nei centri piccoli scattino rapporti interpersonali particolari.
    Però secondo me in una qualsiasi città di medie dimensioni a forte vocazione artigiana e piccolo o medio imprenditoriale (perché sospetto che sia diverso come vede la cosa un lavoratore dipendente) non solo si avverte più seriamente la faccenda dell'evasione come principio, ma se non altro scatta istintiva l'idea che l'interlocutore che si permettesse di operare in nero si procurerebbe un ingiusto vantaggio decisamente sproporzionato rispetto a quel relativamente poco di differenza per il cliente di turno nel vedersi o meno applicata l'IVA.

    Insomma, se si è fra gente abituata a fare i conti riguardo a come si gestisce una azienda o una attività, una volta che l'ambiente nel quale ci si trova si è un po' raddrizzato ad un dato momento storico (fosse anche solo sotto il peso dei controlli e degli studi di settore) non c'è ora bisogno di essere degli idealisti per percepire che si tratterebbe di una ruberia odiosa.
     
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    Tornando all'argomento della discussione, confesso di non saperne abbastanza per rispondere con piena cognizione di causa.
    Credo che la Grecia abbia preso la strada della dittatura per ragioni interne e che a nessuno, a livello internazionale, la cosa sia importata purché il Paese rimanesse saldamente ancorato alla parte capitalista del mondo. Come ha detto Sonia, "il nemico del nostro nemico, per quanto deplorevole, diventava un inconfessabile alleato, benvenuto e indisturbato."
     
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    In estrema sintesi la storia della Grecia vede una vera e propria guerra civile che serpeggia per anni dopo la liberazione dall'accupazione nazista (quella fascista si era già dissolta per conto proprio), senza soluzione di continuità rispetto agli eventi bellici e resistenziali, pressappoco come se per ipotesi in Italia del Nord le formazioni partigiane di ispirazione comunista non avessero mai deposto le armi e non ci fosse stato il nostro 2 Giugno con la nostra Costituente.
    Per i primi anni in Grecia si è trattato di una guerra vera e propria, descritta come tale anche nei libri di Storia, con tanto di interventi stranieri, ma la contrapposizione asprissima non si è mai sedata (credo soprattutto nel NordEst, spero quanto a questo di non dire una inesattezza) senza mai un atto di riappacificazione nazionale nè simbolico nè sostanziale ridegenerando in quella grave instabilità interna (anche se talora con aspetti di ripresa economica tuttavia con il perdurare della crisi sociale) che in un arco di un ventennio portò nella seconda metà degli anni Sessanta ad un complesso intrigo fra più o meno finti colpi di stato e più o meno veri contro-colpi di stato che in definitiva aprì la strada alla giunta militare dei colonnelli.

    Quindi -comunque la si pensi quanto a valutazione ideale sul ruolo delle parti in causa- il titolo della nostra discussione contiene un paradosso: la Grecia cadde sotto un regime totalitario proprio per non essere fino a quel punto mai uscita dal proprio dopoguerra o addirittura si proptrebbe quasi dire dalla guerra stessa.
    Ma in modo opposto qualcosa del genere era già successo: nella parte orientale dell'Europa c'era stata l'instaurazione del regime in Polonia come efffetto immediato dell'occupazione sovietica (la seconda occupazione sovietica, dopo quella in condominio con la Germania nazista che aveva causato la guerra mondiale) e poi (in maniera impressionante per l'opinione pubblica internazionale dell'epoca) in Ungheria e dopo ancora in Cecoslovacchia, casi un po' a parte potrebbero essere la Romania ma anche Yugoslavia ed Albania, mentre in Occidente le dittaure iberiche vivacchiavano già dagli anni Trenta senza nemmeno scomodarsi a prendere parte al conflitto e dal momento che l'Italia aveva trovato nel 2 Giugno '46 un proprio stabile equilibrio e la Francia aveva dolorosamente risolto le proprie gravissime tensioni attraverso il passaggio costituzionale dalla Quarta alla Quinta Repubblica, più o meno le aree di potenziale instabilità non erano altre.
     
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    Per rispondere a Friedrich, Corea del Nord e Cuba sono davvero un relitto della storia, marginali, e che non costituiscono certo un qualche modello rintracciabile in Occidente. Come dice lui stesso, ci sono 6 comunisti eletti tra i 350 deputati del parlamento spagnolo. E non credo che nessuno di questi si rivolga alla Russia di Putin, vivamente apprezzato invece da Salvini.
    Ottima l'analisi di LA. Una neanche tanto sotterranea guerra civile e la mancata riappacificazione nazionale è quello che condusse la Grecia, negli anni sessanta-settanta, al regime dei colonelli.
    Tuttavia, anche in molte democrazie post-fasciste, come l’Italia, la Spagna, le stesse Germania e Austria e nella stessa Francia erede di Petain, la riappacificazione non è stata completa ed è sembrata invece partorire l’evoluzione di un contendente, quello comunista, in vesti sempre più istituzionali e la sommersione dell’altro in rivendicazioni sempre più anti-istituzionali.
    Nelle democrazie citate si stanno affermando partiti di estrema destra che si atteggiano ancora a combattenti per la Patria, ancora restii a legittimare le conseguenze della loro sconfitta storica, e che si ostinano a chiamare “comunisti” la sinistra riformista, sopravvissuta al bagno costituzionale come una componente leale per la difesa delle istituzioni, pagandone anche il prezzo in termini di consenso.
    La “rivoluzione” è stata dismessa dal Partito Comunista italiano nel momento stesso in cui fu firmata la Costituzione, che fu difesa anche nella stagione delle Brigate Rosse. Non essendo mai stata comunista, do atto a quella sinistra di aver saputo emendarsi dai lacci internazionali del filo-sovietismo, mentre la supposta fedeltà ai poteri dello stato è stata ampiamente tradita dai residuati del vecchio regime ancora presenti nell’Italia postbellica. Sarebbe troppo lungo rievocare le brutte alleanze tra politica nostalgica, mafia e servizi segreti. Il fatto è che siamo fuori dalla Guerra Fredda da più di trentanni, e lo scontro è, come dicevo nel precedente post, tra “democrazia delle pari opportunità” e regimi chiusi e intolleranti, non tra il fantasma del Comunismo e quella eterna destra che, incapace di emendarsi, si autodefinisce come fascista, lasciando a piedi o passivamente alla finestra tutta la componente liberale della destra italiana.
    Non essendoci più i grandi vecchi liberali, gli Amendola, Salvemini e gli altri, i liberali odierni che fanno finta di non vedere sono troppi e troppo gregari rispetto ai successi elettorali dei sovranisti, la cui rozzezza farebbe vergognare quella antica e nobile tradizione, che fu anch’essa a suo tempo rudemente zittita dalla destra eversiva.
     
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