I principali motti dell'epoca nazista

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    La presente raccolta di motti dell'epoca nazista ha come unico scopo la conoscenza storica. L'esaltazione di queste frasi, intrise di una retorica violenta e razzista, è completamente estranea a me e al forum "Storia e Politica".
    L'uso di diversi di questi motti costituisce reato in Germania e Austria, con l'eccezione dei contesti (come le scuole) in cui siano pronunciati unicamente a fini di ricostruzione storica.

    Ein Volk, ein Reich, ein Führer ("Un popolo, un impero, una guida")
    Il motto non ufficiale del Terzo Reich. Compariva su manifesti e volantini, generalmente raffiguranti Hitler. Il senso era chiaro: l'intero popolo tedesco, unito nel grande Reich nazista, rispondeva a un unico capo, il Führer, guida suprema della nazione.
    Il motto traeva ispirazione da quello della Germania guglielmina Ein Reich, ein Volk, ein Gott ("un impero, un popolo, un Dio"). E' significativo che i nazisti abbiano sostituito Dio con Hitler, del quale la propaganda del Reich costruì e alimentò un incessante culto della personalità.

    Sieg Heil ("Saluto alla vittoria")
    La formula di saluto utilizzata dai nazisti in occasione dei raduni di massa; negli incontri quotidiani i tedeschi si scambiavano invece il saluto nazionalsocialista Heil Hitler (o altri saluti non caratterizzati politicamente).
    Pronunciata per la prima volta dal ministro della Propaganda Joseph Goebbels, l'espressione riscosse grande successo e negli anni del regime nazista divenne consuetudine per i gerarchi arringare la folla gridando la parola "Sieg" (vittoria), ottenendo come risposta un corale "Heil!".
    Sieg Heil divenne col tempo uno slogan ricorrente sulle bandiere del partito nazista e nel 1933 venne creato un distintivo che rappresentava la corona della vittoria, la svastica e il motto.

    Blut und Ehre ("Sangue e onore")
    Il motto della Hitler-Jugend, la Gioventù hitleriana, l'organizzazione giovanile nazista che preparava i ragazzi tedeschi a servire il Reich con un addestramento militare e paramilitare. La purezza della razza (il sangue) e l'assoluta fedeltà alla Germania (l'onore) erano i valori su cui si fondava la formazione dei ragazzi tedeschi.
    Negli ultimi mesi della seconda guerra mondiale i membri della Hitler-Jugend, anche i più giovani, vennero mandati al fronte per rimpiazzare gli adulti caduti. L'indottrinamento subito fece combattere molti di loro con cieco ardore, spesso fino alla morte, per una causa ormai persa.

    Meine Ehre heißt Treue ("Il mio onore si chiama fedeltà")
    Il motto delle Schutzstaffel, note come SS, le "squadre di protezione" del Reich. Le SS, nate come guardie del corpo di Hitler, si macchiarono dei più orrendi crimini della Germania nazista: l'organizzazione e l'esecuzione dell'Olocausto, le fucilazioni di massa nei Paesi occupati e lo sfruttamento schiavistico dei prigionieri di guerra. Ai loro membri era richiesta una cieca fedeltà agli ordini, anche ai più disumani, e al Führer.
    Il loro leader, Heinrich Himmler, era chiamato da Hitler "der treue Heinrich", "il fedele Heinrich", una sorta di incarnazione del motto delle SS. Negli ultimi giorni di guerra Himmler trattò con gli Alleati occidentali una pace separata alle spalle del suo capo supremo; quando Hitler venne a conoscenza del tradimento del suo "fedele" Heinrich ebbe uno degli accessi d'ira più forti della sua vita.

    Gott mit uns ("Dio con noi")
    Il motto della Wehrmacht, l'esercito del Terzo Reich. Le sue origini sono antiche: era il motto dell'Ordine teutonico, l'ordine monastico-militare sorto in Terra Santa all'epoca della Terza Crociata. Dopo la caduta dello Stato dei cavalieri teutonici divenne il motto dei re di Prussia e, successivamente, quello degli imperatori tedeschi.
    Il richiamo a Dio è estraneo al movimento nazionalsocialista, ostile verso tutte le confessioni religiose fino a essere mostruosamente violento nei confronti di alcune di esse e vicino, in diversi suoi gerarchi, al paganesimo. La ragione per cui i nazisti non cambiarono il motto dell'esercito fu il timore di alienare le simpatie degli ufficiali tedeschi verso il regime.
    Negli anni in cui lo sterminio degli ebrei e di altre minoranze fu implementato con maggiore brutalità, lo slogan "Dio con noi", inizialmente mal digerito dai nazisti, divenne uno degli strumenti utilizzati dal Reich per incoraggiare i cristiani a collaborare con la Shoah.

    Arbeit macht frei ("Il lavoro rende liberi")
    Il motto posto all'ingresso di molti campi di concentramento e di sterminio nazisti, tuttora visibile nei Lager dismessi per finalità di memoria storica. Usato per la prima volta a Dachau, il primo campo di concentramento del Terzo Reich, divenne tristemente celebre per la sua collocazione all'ingresso di Auschwitz, il campo di sterminio nel quale i nazisti commisero le loro peggiori atrocità.
    La scritta all'entrata di Auschwitz fu forgiata da Jan Liwacz, detenuto polacco che saldò la «B» della parola Arbeit sottosopra per esprimere il proprio dissenso morale verso la vergognosa menzogna espressa dal motto. I prigionieri dei Lager nazisti non avevano alcuna possibilità di riacquistare la libertà; anche quelli che erano giudicati abili al lavoro e non uccisi al momento del loro arrivo nei campi finivano per morire per lo sfinimento, la fame e le malattie. Il gesto di ribellione intellettuale di Liwacz dal 2014 è ricordato da una statua a forma di B rovesciata che sorge di fronte alla sede del Parlamento europeo a Bruxelles.

    Bibliografia e fonti
    Nella stesura di questo approfondimento ho consultato numerose pagine di Wikipedia, utili per riordinare anni di informazioni ottenute da libri e documentari.
    Il testo che, con la sua appassionante narrazione storica e le sue numerose immagini di manifesti, uniformi e disintivi, ha ispirato il mio lavoro è Storia del Terzo Reich di William Shirer, edizione Fabbri Editori del 1978.

     
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    In realtà più di uno è semplicemente adottato -in modo più o meno improprio- da tradizioni precedenti, militari e non solo; in questo senso mi appassiona particolarmente l'Arbeit macht frei come caso di studio delle logiche nelle propagande totalitarie.

    Sono abbastanza sicuro di averlo incontrato, in tedesco e direi anche tradotto in altre lingue, in pesieri di varia ispirazione (solitamente progressista o almeno filantropica) di fine Ottocento.

    In fretta e furia ho trovato ora sul web questo articolo, che a prima vista sembra confermare i miei ricordi e fornire qualche indicazione precisa: https://www.open.online/2019/03/24/il-filo...appropriarcene/
     
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    CITAZIONE (LAVORI ARCHEOLOGICI @ 27/11/2022, 10:08) 
    In realtà più di uno è semplicemente adottato -in modo più o meno improprio- da tradizioni precedenti, militari e non solo

    Questo senza dubbio, l'ho anche sottolineato parlando di Gott mit uns e Ein Volk, ein Reich, ein Führer.
    Riguardo ad Arbeit macht frei, più che l'origine del motto (si tratta di una frase riconducibile anche a diverse etiche religiose), a mio avviso è storicamente importante sottolineare l'ipocrisia e la crudele falsità alla base dell'uso che ne fecero i nazisti.
     
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2 replies since 27/11/2022, 09:27   650 views
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