Giovani neet

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    Propongo un articolo che riguarda un problema sociale al momento irrisolvibile e sempre più in aumento.

    www.lenius.it/giovani-neet/


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    Credo quasi tutti ormai sappiano a quale fenomeno l'acronimo si riferisce.
    L' articolo giustamente lo definisce ponendo un interrogativo:
    CITAZIONE
    Transizione all’età adulta? Già, quella di NEET è una condizione strettamente associata a questa fase della vita, in cui si passa da giovane ad adulto. Quei barbosi dei sociologi ci spiegano che la transizione nel modello di società occidentale è segnata da cinque tappe: l’uscita dalla casa dei genitori, il completamento del percorso educativo, l’ingresso nel mercato del lavoro, la formazione di una famiglia, l’assunzione di responsabilità verso i figli.

    I motivi che in Italia rendono difficoltosa la transizione sono parecchi, dite la vostra! E concordo abbastanza sulle le tappe, ma -per fortuna- in astratto: sarebbe interessante qualche testimonianza.
     
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    Troppo attaccamento al nido familiare, in primis!
    Ho già raccontato di quella volta che, la sorella di una ragazzina a cui feci la paternale (si era comportata in modo sgarbato con uno più piccolo), mi minacciò dal balcone.
    Se fosse stata una brava sorella, avrebbe dovuto darmi ragione, visto che era giusto insegnare il rispetto e lo spirito di collaborazione, ed era quello che stavo facendo io, cosa che non avevano fatto loro in famiglia.
    Nei paesi latini, funziona così, la famiglia si chiude a guscio, verso il mondo esterno.
    Sting, mentalità anglosassone, anni fa ammise che avrebbe vietato ai suoi figli di fare strada "grazie al cognome", ma solo grazie ad impegno e capacità.
     
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    Io sono stato per circa quattro anni anni un "NEET", anche se tecnicamente avevo quasi sempre qualche occupazione per quanto saltuaria e di poche ore al giorno.
    Sicuramente ci sono vari fattori che rendono difficile la transizione da ragazzo ad adulto: l'attaccamento al nido familiare, la difficoltà di trovare un lavoro stabile e anche quella di lasciare le comodità della vita a casa, fatta di poche preoccupazioni e tanto tempo libero.
    Basandomi sulla mia esperienza, lo scoglio più grande è stato superare l'incredibile distanza che intercorre tra la vita da studente e ciò che offre il mondo del lavoro una volta che questa termina. Si passa, potenzialmente da un giorno all'altro, da una realtà in cui ti è richiesto di studiare, partecipare a conferenze e scrivere, a contesti in cui quasi tutto ciò che hai imparato è inutile o persino screditato. Inoltre bisogna mettersi nell'ordine delle idee che di colpo il tempo per tutte le passioni si riduce drasticamente a fronte di un corrispettivo salariale che, almeno nei primi tempi, è molto modesto, insufficiente per garantire quell'indipendenza a cui naturalmente verso i venticinque anni si aspira. Di fronte a uno scenario simile molti che non sono animati da una necessità impellente di avere un lavoro non appena finiti gli studi tendono a domandarsi "chi me la fa fare?".
     
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    Sì, il quadro è più o meno questo. Tra le motivazioni, darei forse maggior peso all'atteggiamento dei genitori: comprensivo, ok, in quanto spesso esistono difficoltà oggettive di trovare lavori adeguati, alloggi ecc.(peraltro non è scontato, oggi, che la sistemazione della prole possa essere all'altezza della loro), ma anche troppo protettivo e permissivo. L'attuale libertà nei rapporti e le "paghette" prolungate pro svago, riducono senz'altro l'aspirazione all'indipendenza.
    La mia cerchia allargata abbonda di maschi; non ci sono neet, però alcuni vivono in famiglia pur avendo lavori stabili e relazioni consolidate.

    Nella statistica nazionale prevalgono, non di moltissimo, le donne (56%), ma trovo molto significativo quest'altro dato
    CITAZIONE
    Le disuguaglianze di genere si riproducono anche osservando i ruoli in famiglia dei Neet, dove c’è, infatti, un’ampia differenza tra donne e uomini che vede un 23% di madri Neet rispetto ad un 3% di padri Neet.

    L'articolo (www.iodonna.it/attualita/eventi-e-...or-parte-donna/) sottolinea, nella spiegazione, gli stereotipi sociali e il mercato del lavoro.

    Edited by virelle - 12/8/2023, 18:28
     
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    Sicuramente gli agi domestici ritardano l'ingresso nel mondo del lavoro. Se non altro, almeno per quanto riguarda la mia esperienza, rendono più difficile farsi andare bene i compromessi, spesso difficilmente accettabili, che a volte vengono richiesti per ottenere il primo impiego.
    Negli anni in cui cercavo un lavoro stabile mi sono sentito offrire un po' di tutto: retribuzione a provvigione senza fisso, vendita porta a porta mascherata per lavoro in negozio, otto ore di lavoro per 600 euro al mese, contratto di tre mesi a 100 km da casa con successivo nuovo trasferimento ancora più lontano in caso di prolungamento e potrei continuare.

    Per quanto riguarda le disuguaglianze di genere dei NEET nelle coppie, occorrerebbe capire se le madri che desiderano fare le mamme a tempo pieno e che possono permetterselo in virtù dello stipendio del marito / compagno vengono classificate come NEET. Se così fosse, la differenza percentuale risulterebbe meno significativa.
     
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    Rapporto ActionAid "NEET. https://valored.it/news/neet-contrastare-le-diseguaglianze/
    Risultano neet: di rado per scelta e non perché hanno mariti ricchi.
    CITAZIONE
    Il 20% delle NEET sul totale, inoltre, è costituito da madri inattive, mentre soltanto il 3% da madri disoccupate. Questo è indice del peso rappresentato dai carichi di cura che gravano ancora oggi principalmente sulle donne, costringendole a rinunciare al mercato del lavoro.

    D'altronde trovo un po' "capziosa" la domanda. Poche donne desiderano mettere nel cassetto la professionalità "per fare le mamme a tempo pieno"; in un paese meglio organizzato riuscirebbero a svolgere bene entrambi i ruoli.
     
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    Non sono d'accordo con Virelle, una buona madre deve esserlo a tempo pieno e non vedo come possa conciliare una carriera con l'allevare figli,nei ritagli di tempo?
     
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    Dipende da molti fattori ma non necessariamente la madre „a tempo pieno“ è una buona madre, soprattutto quando dovesse in seguito rimproverare ai figli di aver rinunciato alla carriera „per loro“, con il grave pericolo di un deleterio ricatto affettivo. Una madre insoddisfatta non è una buona madre. Va inoltre considerata l‘età dei bambini, il lavoro svolto dalla madre e non certo ultimo, il fatto che anche il padre possa, anzi debba, svolgere un‘importante funzione nei confronti dei figli. Molto dipende anche dalla capacità, ma naturalmente anche dalle possibilità, di organizzare e conciliare i ruoli diversi. E non va dimenticato che vi sono istituzioni che assumono, parzialmente, funzioni „materne“, anche con vantaggi per i bambini, ad esempio per quanto riguarda la socializzazione ed altri aspetti importanti per il loro sviluppo.
     
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    CITAZIONE (Ondablu @ 4/9/2023, 22:00) 
    Non sono d'accordo con Virelle, una buona madre deve esserlo a tempo pieno e non vedo come possa conciliare una carriera con l'allevare figli,nei ritagli di tempo?

    Una madre "a tempo pieno", non rischia di creare il "cocco di mamma", che va in crisi appena lasciato solo?
     
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    dceg per risponderti riguardo all'età del bambino, solitamente una "mamma" in carriera lascia il figlio dai nonni o all'asilo nido o alla baby sitter nei primi anni di vita, proprio per essere al pari dei suoi colleghi e per non rimanere indietro nella sua scalata al successo lavorativo ed è proprio nei primi anni di vita che si forma il carattere del bambino, quindi parliamo di donne egoiste che pur di tenersi il lavoro a determinate condizioni rovinano lo sviluppo sano del bambino. Per rispondere a Welcome to Paradise direi proprio che se una madre è presente nei primi anni di vita, succede che il bambino acquisisce più sicurezza e diventerà un adulto più affidabile di quello che invece da bambino è stato sballottato a destra e sinistra per via delle velleità carrieristiche di una madre egoista ed arrivista.
     
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    Inoltre ripeto la domanda, come è possibile che una madre lavori a tempo pieno e riesca nello stesso tempo a stare vicino ad un figlio, almeno fino all'età adolescenziale, anche considerando che questo figlio socializzi con altri coetanei, chi più di una madre può capire i problemi esistenziali di un adolescente. Certo virelle dice che lo stato dovrebbe essere più presente, io dico no! Le madri dovrebbero essere più presenti e la società di oggi ne è la prova con il dilagare di baby gang che stuprano, rubano e picchiano, le madri dove sono? Tutte a lavorare e lasciano i figli minori in balia di sé stessi. Lo stato dovrebbe aiutare le madri a stare a casa dando aiuti economici, non ad agevolare la carriera di sgallettate che fanno figli a 40 anni e poi li abbandonano dai primi anni di vita fino a quando sono maggiorenni.
     
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    CITAZIONE (Ondablu @ 4/9/2023, 23:09) 
    Inoltre ripeto la domanda, come è possibile che una madre lavori a tempo pieno e riesca nello stesso tempo a stare vicino ad un figlio, almeno fino all'età adolescenziale, anche considerando che questo figlio socializzi con altri coetanei, chi più di una madre può capire i problemi esistenziali di un adolescente. Certo virelle dice che lo stato dovrebbe essere più presente, io dico no! Le madri dovrebbero essere più presenti e la società di oggi ne è la prova con il dilagare di baby gang che stuprano, rubano e picchiano, le madri dove sono? Tutte a lavorare e lasciano i figli minori in balia di sé stessi. Lo stato dovrebbe aiutare le madri a stare a casa dando aiuti economici, non ad agevolare la carriera di sgallettate che fanno figli a 40 anni e poi li abbandonano dai primi anni di vita fino a quando sono maggiorenni.

    Non per litigare, è una cosa che non amo, ma, vorrei portarti l'esempio di una certa Erika di Novi Ligure...
    E li, la madre, era costantemente presente.
     
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    Welcome to Paradise e vabbè ma l'eccezione non fa la regola come nel caso da te esposto,mentre il fenomeno delle baby gang sta diventando una regola.
     
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    CITAZIONE (Ondablu @ 4/9/2023, 23:09) 
    Inoltre ripeto la domanda, come è possibile che una madre lavori a tempo pieno e riesca nello stesso tempo a stare vicino ad un figlio... chi più di una madre può capire i problemi esistenziali di un adolescente. Certo, virelle dice che lo stato dovrebbe essere più presente, io dico no! Le madri dovrebbero essere più presenti e la società di oggi ne è la prova con il dilagare di baby gang che stuprano, rubano e picchiano, le madri dove sono? ... Lo stato dovrebbe aiutare le madri a stare a casa dando aiuti economici, non ad agevolare la carriera di sgallettate che fanno figli a 40 anni e poi li abbandonano...

    Ho l'impressione, scusami, che tu viva in un tempo remoto o in una realtà parallela!

    Qui c'è (non copiabile, avrei scelto delle citazioni) l'ultimo rapporto di Save The Children: https://www.huffingtonpost.it/life/2023/05...avoro-12065729/ che sottolinea il rapporto positivo tra occupazione femminile, fecondità e coesione della coppia.
    Quanto alla migliore "riuscita" dei figli di donne non lavoratrici, ho fortissimi dubbi. Si può essere cattive madri perché sempre (e troppo) presenti, oppure perché troppo impegnate. E, viceversa, buone in entrambe le condizioni. Ho tratto esempi concreti dall'esperienza di prof nei licei e dal volontariato e ti assicuro che le madri casalinghe non capivano "i problemi esistenziali di un adolescente" meglio delle lavoratrici. Talvolta peggio, in quanto più avulse dal contesto sociale.
    Credo inoltre che tra le madri dei ragazzi "malavitosi" non abbondino le donne in carriera, se non altro perché, essendolo, quasi tutte iscrivono (magari esagerando) i figli ad attività pomeridiane varie e questi hanno scarse possibilità di andare in giro "bradi".
    L'unica considerazione condivisibile è l'età avanzata dei genitori (entrambi!), anch'essa collegata al precariato e alla carenza di strutture per l'infanzia.
     
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